Vincenzo Benessere ha fornito al nostro giornale una sua interpretazione di quali sono le conseguenze connesse alla stipula del Patto per Napoli. Già attivista di “Massa Critica” e componente della Consulta popolare di Audit sulle risorse e il debito pubblico della Città di Napoli, ha rilasciato al sito ilmondodisuk.it un’ampia e documentata intervista su come recuperare risorse che limitino i danni per la città dovuti alla sua storia esposizione. Qui di seguito pubblichiamo un estratto delle sue dichiarazioni. Per leggere l’intervista integrale: Intervista/Vincenzo Benessere (consulta Audit): «Napoli ha un debito fuori dal comune. I fondi del Pnrr vanno monitorati dal basso: attenzione alle mani dei privati sulla città» – il mondo di suk
DA DOVE PARTIAMO
Come e da dove ha origine il debito del Comune di Napoli? Si inscrive nella più complessiva questione della crisi in cui versano gli enti pubblici in Italia. Questa crisi deriva dalle strategie di spending review e dalle ricette di austerità adottate a partire dal biennio 2008-2009, in cui esplose la bolla dei mutui subprime. Questo processo, tuttora in corso, è in realtà generato da una più complessiva crisi strutturale del neoliberismo. Tuttavia, il debito del Comune dipende solo in parte da questa crisi, in quanto trae origine da altri problemi. In breve, dai commissariamenti straordinari, dai contratti derivati sottoscritti con istituti di credito e dai mutui stipulati con Cassa Depositi e Prestiti, i cui tassi di interesse sono una vera e propria speculazione a danno dei cittadini.
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I CINQUE COMMISSARIAMENTI
Per prima cosa, il nostro debito comunale nasce dal ricorso a numerosi commissariamenti straordinari di cui lo Stato ha fatto ampio utilizzo, fino ad abusarne. Finora, Napoli ha attraversato ben cinque periodi commissariali: quello seguito al terremoto del 1980, quello legato alla crisi dei rifiuti, quello inerente il commissariamento di Bagnoli futura, quello riguardante il dissesto idrogeologico e, infine, quello del traffico. Dalla sommatoria di questi commissariamenti, e dalla loro gestione, Napoli ha ereditato circa 300 milioni di euro di debito. Il “circa” non è casuale, ma è motivato dal fatto che possiamo parlare con esattezza soltanto dei debiti relativi al sisma, la cui letteratura e i cui documenti disponibili sono più ampi. In questo, tramite un ricorso, l’amministrazione de Magistris rigettò in capo allo Stato alcuni di quei debiti, che grazie al governo Gentiloni vennero decurtati da 120 a 80 milioni di euro. Riguardo agli altri commissariamenti, a partire da quello sui rifiuti, non si riesce ancora ad effettuare un calcolo preciso dei debiti maturati, in quanto i numeri sono ballerini. Tra l’altro, alcuni documenti non sono disponibili e vi sono delle cause in corso.
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IL PROBLEMA DEI DERIVATI
I Derivati sono contratti stipulati tra il Comune e le banche per pagare il debito preesistente. Per semplificare, sono debiti sul debito. I derivati sono strumenti strani e speculativi, molto utilizzati da numerosi comuni italiani. Napoli non si è limitata a sottoscrivere derivati per cifre facilmente restituibili, come nel caso dei comuni di Milano e Torino, indebitatisi fino a 80 milioni di euro. Napoli ha 180 milioni di euro di debito, anche se la cifra potrebbe lievitare ancor di più a causa dei tassi di interesse. Il punto è che i prodotti derivati sono di fatto contratti dalla difficilissima comprensione. Il loro funzionamento, tuttavia, è chiaro: all’inizio, danno una grande liquidità, ma quello che bisogna restituire dipende dalla fluttuazione del mercato. Tra il 2008 e il 2010, l’andamento dei mercati finanziari è stato sfavorevole. Il che ha portato a una lievitazione fuori controllo degli interessi debitori. La Corte dei Conti spesso ha messo in guardia le amministrazioni locali dai contratti derivati e, infine, le Sezioni Unite della Cassazione li hanno dichiarati strumenti illeciti, come nel caso del Comune di Cattolica, perché se non ci sono regole di stipula – come l’autorizzazione del consiglio comunale- non possono essere ritenuti validi. Anche nel caso di Napoli non vi è mai stata l’approvazione del consiglio comunale, motivo per cui quei contratti derivati sarebbero de iure nulli. Ma qui arriviamo alle dolenti note: né l’amministrazione de Magistris, prima, né quella Manfredi, dopo, hanno impugnato la cosa e contestato questa speculazione in modo incisivo.
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PAURA DELLE RITORSIONI
Sollecitata in proposito, l’Amministrazione cittadina ha risposto per iscritto. In sintesi, sebbene ci sia la decisione della Cassazione, teme ritorsioni da parte delle banche. La paura è comprensibile, perché effettivamente queste cose sono già accadute. Quando, come Consulta popolare di Audit sulle Risorse e sul Debito, abbiamo consegnato un documento di analisi sulla natura speculativa dei contratti derivati, il Comune di Napoli è stato contatto da una banca, che l’ha “messo in guardia” da eventuali azioni ritorsive. L’Amministrazione non vuole agire in autotutela, perché, a detta dei suoi rappresentanti, potrebbe generare un danno maggiore. Loro preferiscono pagare da qui al 2035 interessi passivi scaturiti dai derivati, nonostante questi contratti siano stati dichiarati nulli. Per riassumere: siamo di fronte al danno e alla beffa…
…Nello specifico, il Comune di Napoli paga una rata annuale intorno ai 90 milioni di euro di interessi su questi 800 milioni di mutui. Finora, nessuno ha avuto intenzione di andare a trattare con Cdp per abbassare almeno della metà gli interessi sui mutui esistenti. In sintesi, lo Stato taglieggia il Comune, che è un’articolazione dello Stato stesso! Naturalmente, non tutti i comuni italiani hanno queste problematiche. Napoli dovrebbe riflettere su queste peculiarità, perché la gestione del problema finora è stata pessima…
CHE FARE?
Cosa si potrebbe fare? A Napoli, ci troviamo un debito totale intorno ai 5 miliardi di euro, ma 1,4 miliardi di questo disavanzo ha una natura finanziaria. Se riuscissimo a decurtare questa componente speculativa, il Comune avrebbe sì un debito alto, ma non diverso da quello di Milano. Si pensi, ad esempio, che Roma ha 13 miliardi di euro di debito. Il debito dei comuni italiani è inscritto nella comatosa questione degli enti locali, che viene fuori da un taglio tremendo delle risorse da parte Stato centrale e da una modalità di fare il bilancio completamente diversa. In breve, anche se si vuole tendere a omogeneizzare la contabilità delle amministrazioni pubbliche, i parametri sono eterogenei e non sono paragonabili. È una brutta gatta da pelare e la questione andrebbe affrontata in tutt’altro modo…
… Sono i grandi contribuenti che devono più soldi al Comune. Alcuni di questi, per giunta, sono grandi assetpubblici, come l’Università, che deve circa 30 milioni alle casse comunali. Per non parlare dei grandi gruppi privati. Chi doveva già pagare, continuerà a fare il furbo ed evadere. Da un punto di vista di classe, questa cosa è inaccettabile. Bisogna trovare soluzioni per riscuotere soldi dove ci sono, andando a prenderli dalle cartelle esattoriali che devono versare più di un milione di euro al Comune (parliamo di circa 90 soggetti). Tra l’altro, la riscossione di soldi da 90 soggetti comporterebbe un lavoro burocratico completamente diverso rispetto all’andare a riscuotere circa 150 mila multe non pagate, su cartelle da 800 o 1000 euro. Il che non vuol dire che anche questi soldi non vadano recuperati. Il rischio è che si faccia i forti coi deboli e i deboli coi forti. Bisogna andare prima da chi deve più denaro, perché 308 milioni di euro non possono essere presi dai soliti contribuenti.