Potreste incontrarlo in bicicletta, sotto la pioggia, ma più facilmente nel suo appartamento – atelier, al centro storico di Napoli coi suoi calchi in gesso, gli utensili, le resine ed i pezzi di cuoio a reinventare se stesso e le maschere per una nuova Commedia dell’arte.
Robin Summa, figlio d’arte, ossia di quell’Italiano Pierangelo Summa (1947 – 2015), noto regista teatrale, prima di lui artigiano delle maschere e burattinaio, ha attirato, tra l’altro, l’attenzione di un giovane fotografo: Antonio Florio, che frequenta l’ultimo anno del corso magistrale di Ingegneria Edile – Architettura, il quale, appassionato di fotografia, gli ha dedicato un reportage,
Non sorprende: Il nostro artista appare egli stesso come un personaggio della Commedia dell’arte, con il suo inserirsi, da francese, nipote di italiani, nel ventre di Napoli, per cui il fotografo lo ha “fermato” in varie sequenze di ”bianco e nero” che lo ritraggono alle prese con i suoi fantasmi. Quelli della gloria di un pulcinella, anima napoletana, il quale ritrova se stesso e nasconde se stesso sotto la maschera. Una maschera che, morendo, passerà al figlio, in pieno palcoscenico.
È stato proprio con l’intento di riportare in vita quella maschera che Robin ha voluto ridare vita alla Commedia dell’Arte, l’antica tradizione italiana nata nel 1500 la quale, attraverso i secoli, ha creato una quantità straordinaria di personaggi e maschere, simboli e incarnazioni di specifiche città e regioni rendendo nota l’Italia nel mondo intero. Come? Tra l’altro, nell’agosto 2020, inaugurando la bottega di maschere di teatro“La Maschera è Libertà”, presso Vico Pallonetto a Santa Chiara 36, Napoli, nell’immediate vicinanze della Chiesa Santa Chiara e di Spaccanapoli, nell’antico centro storico della città.
“La maschera è libertà. Storia di un’insurrezione teatrale. Vol. 1: origini della Commedia dell’Arte e qualche suo personaggio,” il Quaderno Edizioni, 2019, diviene un libro, di cui l’autore dice: “(…) è un omaggio a mio padre, è la trascrizione delle sue lezioni sulle maschere che ho scoperto e riordinato”.
Come lo descrive il fotografo Antonio Florio nel suo reportage/scoperta?:
“Tornando dalla piscina, una sera come le altre, una piccola bottega illuminata ha catturato la mia attenzione. Con quasi tutto chiuso, era una delle poche luci rimaste accese alle dieci di sera di un Martedì. La curiosità, e il non sapermi fare gli affari miei, mi ha spinto ad entrare. Robin si è mostrato subito disponibile alla mia proposta di poter organizzare un’intervista, di poter aver modo di ascoltare quella che era la sua arte. Ancora più disponibile si è mostrato il giorno in cui sono andato ad intervistarlo condividendo con me e con due amiche il pranzo che aveva organizzato in bottega. In questo piccolo ma intenso incontro ho avuto modo di capire quanto l’arte sia fluida, versatile, nomade e di quanto ne siamo ricchi senza neanche accorgercene.”
Ma cosa sono le maschere per l’artigiano che le plasma? “Oggetto d’arte, se non soprattutto, oggetto popolare vivo e spesso sovversivo, la maschera contiene già in sé una storia e si nutre anche del rapporto che l’attore intrattiene con essa e con “l’altro”, ossia il pubblico, quindi la società”.
Quelle maschere sono state anche presentate, a gennaio del 2020, all’Institut Francais di Napoli, nella mostra “Pullecenella e noi: maschere rinascenti”, nella sala “Noir et blanc”. Robin Summa ama molto proprio quella maschera, in quanto la ricorda come quella preferita dal padre. Inoltre la ritiene essere: “La figura più forte della Commedia, perché contiene in sé molte emozioni contraddittorie: amore, violenza, lavoro.”
E forse è per questo che il fotografo Florio riconosce nelle maschere di Robin Summa una parte della sua anima, di quella voglia di penetrare nel bianco e nero della città di Napoli che lo ha condotto ad esporre la sua prima mostra fotografica presso il Nuovo Teatro Sanità con il titolo “I miei sogni sono così distanti dai tuoi?”, dove ha raccolto diciassette testimonianze e diciassette ritratti di ragazzi migranti e di ragazzi napoletani. In fondo tutte complesse maschere pulcinelliane simili tra di loro. L’intenzione del fotografo era quella di scardinare il preconcetto dell’Altro; di rendere l’Altro parte integrante del Noi.
Questa vicinanza psicologica con il creatore di maschere l’ha condotto a seguirlo come fotografo
Robin Summa, nato a Pithiviers, in Francia e immersosi in quella Napoli così ricca di contraddizioni ha scelto di vivere nella patria di Pulcinella. Una maschera dalla strana provenienza in quanto forse si chiama così perché il suo nome sarebbe derivato da “piccolo pulcino”; ha un naso adunco ed è nato da un uovo di gallina, animale sacro a Persefone, sposa di Ade e regina degli Inferi. Storia affascinante e misteriosa. Non è stata la sua prima scelta quella di intraprendere la strada del padre, pur avendo espresso a lui . il suo desiderio di imparare il mestiere delle maschere. Di Robin dice l’amico Florio: “Dopo aver lavorato per un periodo come insegnante di lettere ha capito di voler cambiare del tutto vita. Napoli gli era sempre stata descritta dal padre, prima che morisse nel 2015, come una città da scoprire. Quando Robin nel 2019 ha deciso di mandare tutto a quel paese, di lasciare del tutto la filosofia, si è trasferito a Napoli senza ancora sapere cosa ne sarebbe stato di lui. A Napoli, in maniera del tutto naturale, senza aver programmato nulla, il mestiere delle maschere inizia ad assumere una consistenza: Robin trasferisce a Napoli i calchi fatti dal padre e inizia a lavorare, per gioco, in un appartamento vicino Porta San Gennaro.Quel gioco nel giro di poco tempo ha assunto le sembianze di questa bottega.”
Tra giovani artisti vicini all’animo mobile, adattabile,sofferente per le presenze straniere che lo hanno modificato, dei napoletani, evidentemente si sono riconosciuti.
Terminiamo con una frase tratta da “La maschera è libertà.” Pierangelo Summa a cura di Robin Summa: “La maschera non è un travestimento da festa (ma è la festa),un elemento di decorazione (ma è viva), un aspetto del viso (ma è un personaggio intero), una caricatura (ma è l’essenza del personaggio), quella che nasconde (ma quella che rivela),
nuova (ma c’era già da sempre). La maschera è lo sguardo dell’altro: è “er” satiro
che ride nascosto frammezzo alla mortella.”
Bianca Fasano