“Il Mezzogiorno torna a crescere dopo sette anni di crisi…”. “Il Sud cresce più del Nord-est…”. “Sud, che sorpresa, il Pil vola…”. Sono una dozzina gli articoli apparsi martedì 28 giugno sui principali giornali italiani (si va dal Corsera all’Avvenire, da Repubblica al Gazzettino, dalla Stampa a QN) che si dilungano in commenti al dato Istat in cui si rileva che il Sud nel 2015 con un + 1 % fa meglio dell’Italia nel suo complesso (0,8%).
La notizia è vecchiotta perché, appunto, riguarda l’anno scorso. Viene alla luce solo oggi. Con una avvertenza: l’incremento non è dovuto all’industria, ancora ferma al palo, ma all’agricoltura che nelle regioni meridionali “ha registrato un vero boom”: più 7,3%
Il giudizio sul dato non è unanime. Se da una parte molti lo salutano come il primo vero segnale positivo dopo anni di crisi, altri sottolineano che si tratta di un effetto rimbalzo che non può mancare dopo un periodo così lungo di difficoltà. Insomma, come sempre, una notte lunga e nera deve pur finire con i primi bagliori dell’aurora.
Più nel dettaglio, i numeri positivi si riferiscono in particolare al comparto agricolo e ai servizi. L’industria manifatturiero nel Sud invece appare ancora ferma al palo. Non si capisce come gli effetti benefici del Jobs Act abbiano favorito il settore primario e molto meno l’industria. E’ un punto su cui sarebbe utile una riflessione. Infatti quasi tutti gli articoli si chiudono con un appello della Cgil, un invito a “chiudere i Patti previsti nell’ambito del Masterplan. Mancano all’appello Regioni come Puglia e Sicilia e città metropolitane come Napoli…
Ma basterà? Può bastare? E’ una domanda alla quale sicuramente darà una risposta il Rapporto Mezzogiorno di Svimez, di prossima pubblicazione. Intanto possiamo anticipare che una spinta molto più significativa alla crescita del Pil nazionale sarebbe venuta se il governo, come hanno detto molti osservatori (La Malfa e Lo Cicero, per citare a memoria, oltre che Adriano Giannola), avesse messo in campo una vera politica industriale per il Mezzogiorno, con relative opzioni strategiche sui settori su cui puntare.
Resta in piedi, infatti, la principale critica che va fatta al Masterplan, anzi alle linee guida che il governo presentò nel novembre 2015, cornice entro cui andavano sottoscritti i Patti per il Sud. E’ infatti meritorio che, dopo anni di sottovalutazione delle potenzialità del Mezzogiorno, Renzi si sia posto il problema di definire per ciascuna area territoriale gli interventi prioritari, le azioni da intraprendere per accelerare, gli ostacoli da rimuovere e così via, con una dote di 95 miliardi disponibili entro il 2023. Anche se non si tratta di nuove risorse ma di dotazioni già esistenti a valere sui fondi strutturali 2014-2020 e del Fondo per lo sviluppo e la coesione. Anche se – come ha sottolineato più volte l’economista Lo Cicero – la logica dei Patti del Masterplan ricalca pedissequamente quella dei patti territoriali della programmazione negoziata (anni Novanta), riproponendone le caratteristiche negative. Intervenire con metodiche e iniziative per accelerare la spesa non può surrogare il disegno strategico di una politica per lo sviluppo del Mezzogiorno. Ed è questa forse la ragione per cui cresce l’agricoltura, i servizi e il turismo. Ma nel Sud l’industria non riprende a correre.