Insieme per affermare la dignità del lavoro a distanza
“E’ necessario andare verso il definitivo superamento del concetto di lavoro agile inteso come lavoro da remoto. In futuro dovremo valorizzare lo smart workingquale modello di lavoro nuovo per le aziende e per le loro risorse umane”. Parla Alessandro Paone, avvocato giuslavorista ed equity partner di LabLaw Studio Legale, realtà da sempre in prima linea nella materia e nelle sperimentazioni normative in diritto del lavoro. Che annuncia una proposta di emendamento al testo di legge unificato sul lavoro a distanza lanciata d’intesa con “South Working – Lavorare dal Sud®”, associazione di promozione sociale di cui si è molto parlato, sui giornali e nei talk show, durante la pandemia da Covid che ha costretto gli italiani a fare esperienza di forti restrizioni alla mobilità. South Working – Lavorare dal Sud è un progetto di Global Shapers – Palermo Hub, per studiare il fenomeno dello smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, in particolare dal Sud Italia, con i suoi pro e contro. L’obiettivo di fondo? Aiutare lavoratori che vogliano intraprendere questa modalità di lavoro. “Vogliamo presentare – spiega l’avvocato di LabLaw – una proposta di emendamento altesto di legge unificato sullo smart working approvato in Commissione Lavoro presso la Camera dei deputati, in vista della discussione parlamentare per l’approvazione della nuova legge chiamata a regolamentare la materia dopo la significativa esperienza in periodo di pandemia”.Si tratta di una proposta trasversale che vuole mettere in chiaro il definitivo superamento del concetto di lavoro agile inteso come lavoro da remoto, con il fine di valorizzare lo smart working quale modello di lavoro per le aziende che possono costruire nuove strutture organizzative. “Andando incontro alle persone – aggiunge Paone – per sviluppare una nuova culturadigitale sfidante ed inclusiva”.
La modalità del lavoro a distanza consente di superare ilimiti territoriali, che non saranno più percepiti come tali. Ne trae vantaggio l’intero mercato del lavoro, perché sarà possibile consentire, a chi lo desidera, di continuare a lavorare in modo agile anche per lunghi periodi dai territori di preferenza. Ma i vantaggi principali riguardano chi intende restare al Sud. Al Mezzogiorno e alle aree interne del Paese viene offerto uno strumento per il miglioramento qualitativo e quantitativo del modo di produrre. La forza lavoro potrà essere così trattenuta sul territorio, con l’offerta concreta di un futuro professionale adeguato, riducendo flussi migratori che impoveriscono molte aree dell’Italia. Si tratta di un modello di lavoro agile per obiettivi, ben diverso dal telelavoro, sulla centralità del ruolo della contrattazione collettiva e sulla necessità di dotare tutti i territori di infrastrutture adatte al lavoro, nella forma di spazi di coworking, utili per consentire confronti e aggregazioni in grado di elevare culturalmente qualunque area del nostro paese. “La nostra proposta – è il commento di Elena Militello fondatrice e presidente dell’associazione South Working- è ispirata a una visione volta a garantire la coesione territoriale e contribuire a ridurre gli enormi divari tra regioni e tra grandi città e aree interne del Paese, tra grandi distretti urbani e aree marginali”. Il Focus sul South Working del Rapporto SVIMEZ 2020 stima circa 58.000 lavoratori e lavoratrici potenzialmente interessate all’argomento nel lungo periodo, mentre una recente ricerca dell’Associazione Italiana Direttori del Personale ha fatto emergere un’apertura al South Working nel 15% delle aziende intervistate. “Parliamo – conclude – di una modalità di lavoro già ampiamente adottata in via sperimentale, spesso migranti intellettuali, lasciando le proprie reti sociali e familiari per cercare migliori opportunità di studio e di lavoro lontani dai propri territori di origine”.
I South Worker meritano quindi un riconoscimento normativo a livello centrale per superare le resistenze anti-moderne e garantire un approccio di reciproco vantaggio tra tutti i portatori di interesse, basato sulla volontarietà per i lavoratori, sull’aumento di produttività per i datori di lavoro e sul recupero dei legami di comunità per i territori interessati ad attrarre capitale umano. L’esperienza acquisita in questi due anni di telelavoro emergenziale da casa, ci spinge a riflettere sulla possibilità di incentivare la diffusione di spazi di lavoro condiviso (coworking) su tutti i territori, permettendo ai Comuni delle aree marginali di dotarsi di questo servizio. “Questi spazi – riprende Militello – sono pensati come presidi di comunità, ossia luoghi in cui evitare l’isolamento della propria casa e consentire una florida relazione tra i South Worker e le comunità locali, troppo spesso rimaste indietro per uno spopolamento emorragico, non più inevitabile. Per questo motivo i fondi per i Comuni, nella misura di 10 milioni per l’anno in corso, verrebbero stanziati a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione”. Le modifiche proposte sono finalizzate a centrare gli obiettivi cui deve tendere lo smart working nei moderni contesti economici sperimentati dopo la pandemia. Tre sono le direttrici: la centralità della contrattazione collettiva, quale strumentazione abilitatrice dello smart working a livello generale. C’è poi il team della reintroduzione del concetto giuridico di lavoro per obiettivi, poiché altrimenti si rischia un ritorno al passato favorendo la creazione di lavori a distanza di basso valore aggiunto.Da ultimo, favorire l’occupazione in qualunque territorio mediante il lavoro agile: è una leva di coesione territoriale straordinaria, in questo modo è veramente possibile migliorare la struttura quali-quantitativa de nostro mercato del lavoro. Intere aree del paese, oggi impoverite da anni di grandi migrazioni altrove, nelle città dove ci sono industrie e commerci più strutturati in grado di garantire un futuro a partire da un reddito stabile, potranno trattenere o alimentarsi di persone che percepiranno redditi provenienti da qualunque parte dell’Italia e del mondo. Una rivoluzione economica a km 0, che garantisce futuro dove oggi si è costretti a cercarlo altrove.