Antonio Troise
Euroscettici sì, ma non troppo. E, sicuramente, non al punto da farci del male da soli. E’ vero che gli ultimi sondaggi sull’Europa segnalano una reputazione in caduta libera. E fin qui, si tratta di un trend, per così dire, scontato dopo gli anni della grande recessione, con Bruxelles che ha indossato le vesti della matrigna costringendo i Paesi più deboli a stringere la cinghia. Ma la vera novità dei dati diffusi ieri da Eurobarometro è un’altra: questa volta, a guidare la classifica dei cittadini che non ne vogliono più sapere dell’Unione ci sono proprio gli italiani. Un numero per tutti: se si votasse oggi, solo il 44% dei cittadini sarebbe disposto a restare in Europa. Un risultato impressionante se si pensa che il dato medio di tutti i paesi dell’Unione si attesta sul 66%. Certo, non è proprio una cifra impressionante. Anzi: il sondaggio ha il merito di fotografare il malcontento che serpeggia nel Vecchio Continente.
A guidare la classifica dei cittadini che non ne vogliono più sapere dell’Unione ci sono proprio gli italiani
Ma, i numeri italiani segnalano anche un’altra cosa: l’insofferenza verso l’Europa egoista che si volta dall’altra parte per evitare di affrontare il tema dei migranti. O quella inflessibile e rigorosa nel difendere gli interessi dei Paesi più ricchi, sia pure a costo di infliggere nuovi sacrifici a quelli più poveri. Insomma, un’Europa considerata non più come una madre generosa dei padri fondatori ma un posto da dove scappare. Certo, non siamo ancora ai livelli dell’Inghilterra, almeno il 30% degli italiani non ha ancora un’idea chiara su quello che bisognerebbe fare. Anche perché, nello stesso tempo, almeno il 65% del campione utilizzato da Eurobarometro, difende a spada tratta la moneta unica e non ha alcuna intenzione di abbandonarla. Un dato contraddittorio? Fino ad un certo punto.
Il primo voto, quello sull’Europa, è sicuramente “di pancia”, alimentato dalle correnti sovrainteso che ormai impazzano nell’Unione e che in Italia hanno fatto sicuramente breccia. Ma il secondo voto, quello sull’euro, è invece di “testa”. E’ il frutto di un ragionamento più che l’espressione di un rancore o dello spirito di rivincita. E’ l’esatta cognizione di quello che succederebbe ai nostri patrimoni e ai nostri redditi nel caso in cui tornassimo alla lira, e questo al di là delle posizioni ostili alla moneta unica che ancora esistono nel sottofondo della maggioranza giallo verde. Siamo, insomma, degli euroscettici a metà. Del resto, come scriveva qualche anno fa il filosofo Bernard-Henri Lévy, “l’Europa non è un luogo, ma un’idea”. Se negli ultimi anni i partiti sovranisti hanno preso il largo, la responsabilità è soprattutto di un’Unione che si è ripiegata su se stessa e sui suoi egoismi nazionali. Ma, nello stesso tempo, c’è la consapevolezza che tornare indietro sarebbe un salto nel buio pericoloso e costoso. Uno scenario da non dimenticare in vista del prossimo voto europeo di maggio.
fonte: L’Arena di Verona