La Convenzione di Istanbul ha certamente il potenziale per migliorare la tutela e il sostegno delle donne maltrattate. Per onestà intellettuale va precisato che molto dipenderà dall’attuazione da parte degli Stati membri e dall’interpretazione e valutazione degli obblighi da parte dell’organismo di controllo e monitoraggio a ciò deputato. Il 7 aprile 2011, il Consiglio d’Europa, composto di 47 Stati membri, ha adottato la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza domestica e contro le donne, nota ai più come la Convenzione di Istanbul.
Quest’ultima è entrata in vigore il 1° agosto 2014 e finora 30 Stati membri del Consiglio d’Europa (tra cui l’Italia) l’hanno ratificata, accettando così l’autorità di controllo del gruppo di esperti in materia di violenza domestica e contro le donne (GREVIO). GREVIO è un organo composto di quindici esperti indipendenti che controllano il rispetto della Convenzione attraverso una procedura di segnalazione. Il dispositivo normativo europeo può essere considerato un importante passo avanti in Europa giacché proibisce esplicitamente la violenza di genere, ma ritengo ci siano anche alcuni rilievi critici degni di evidenza. La Convenzione di Istanbul è in vigore da quattro anni e GREVIO ha finalmente pubblicato le prime analisi sulle relazioni di riferimento degli Stati membri aderenti. Per ogni parte della Convenzione, è stato chiesto a un esperto di fare analisi e di valutare il reale potenziale del trattato. Uno dei settori attenzionato è stato quello riguardante “la protezione e il sostegno per le donne vittime di violenza domestica”. È bene premettere che la Convenzione di Istanbul, come la maggior parte dei trattati multilaterali, è un testo frutto di compromessi realizzati in modo da far aderire il maggior numero possibile di Stati membri. Di conseguenza, gli Stati non hanno dovuto superare grossi ostacoli per ratificare, perché nessuno li obbligava a prendere misure rigorose o controverse.
Paradossalmente, la violenza domestica, il delitto più comune contro le donne, è l’unico menzionato genericamente nella Convenzione, per cui è trattato in modo blando dal punto di vista sanzionatorio. La stragrande maggioranza delle vittime è di sesso femminile mentre i perpetratori sono spesso di sesso maschile. Un approccio troppo guardingo dal punto di vista della tutela della vittima non è d’aiuto poiché in media le donne si trovano in una posizione socio economica più debole dagli uomini il che le rende non solo più vulnerabili per la violenza domestica, ma rende anche più difficile interrompere una relazione familiare se pur altamente conflittuale. Sebbene la violenza domestica debba essere criminalizzata, in pratica accade spesso che molte donne vittime non vogliano denunciare i loro partner e non vogliano separarsi o divorziare. Vorrebbero semplicemente che la violenza si fermasse. L’articolo 23 si concentra sui mezzi di tutela per le vittime di violenza domestica.
Una soluzione opportuna, in linea con l’idea di uguaglianza tra uomini e donne, sarebbe quella di imporre all’autore di un atto violento di lasciare immediatamente la residenza di famiglia a seguito di provvedimento giudiziale preventivo che imponesse una distanza specifica ed efficace tra la vittima e il carnefice. Questa possibilità è menzionata nella Convenzione solo in caso di indagini di polizia, azioni giudiziarie e/o misure protettive. L’allontanamento temporaneo dell’autore di reato, invece, dovrebbe essere immediatamente esecutivo e accompagnato da ordini di blocco e ordini di restrizione o protezione realmente efficaci ed effettivi assimilabili alle misure di sicurezza ante delictum. A tal proposito sarebbe auspicabile che gli Stati elaborassero nuovi strumenti su come rendere la permanenza nella casa di famiglia più sicura per le donne dopo che l’aggressore è stato allontanato. La tecnologia moderna consente di adottare vari tipi di misure.
A nostro giudizio uno dei più efficaci sarebbe il braccialetto elettronico che consenta di attivare un allarme qualora si violasse un ordine di protezione. Si potrebbe dotare sia la vittima sia il reo di questo braccialetto elettronico che si attivi automaticamente quando la distanza tra i due superi la soglia consentita dal provvedimento di protezione. Ritengo che adottando questo piccolo accorgimento molte vittime di violenza domestica potrebbero essere salvate. Ovviamente il lavoro da fare in questo contesto è tanto e occorrono sinergie e strumenti sia preventivi sia repressivi, realmente efficaci, il che comporterà in futuro grandi investimenti da parte degli Stati membri che al momento non sembra sussistano.
(Vincenzo Musacchio, giurista e già docente di diritto penale)