Alessandro Corti
Era ora che anche la Sanità pubblica battesse un colpo. Dopo anni di tagli e di ticket, di malati curati nei corridoi (se non sui pavimenti) e ospedali a corto di medicinali. La decisione del governo di innalzare i cosiddetti “livelli essenziali di assistenza”, adeguandoli a nuovi standard e, soprattutto, alle nuove necessità e patologie, va sicuramente elogiata. Era dal 2001 che il sistema sanitario era costretto a “galleggiare” fra le esigenze del risanamento finanziario e la tutela della salute.
Il problema, a questo punto, è però un altro: chi paga il conto dei vaccini gratis per tutti o la procreazione medicalmente assistita? Cioè, le casse pubbliche, dissanguate dopo dieci anni di crisi, saranno davvero in grado di reggere uno sforzo sacrosanto per difendere uno dei diritti messi nero su bianco nel dettato costituzionale? O, alla fine, la coperta risulterà, come sempre, troppo corta?
Partiamo da un dato. La spesa sanitaria italiana è più o meno in linea con quella europea, il 7,2% del Pil. Spendono decisamente di più Danimarca, Finlandia e Francia. Ma i livelli di assistenza media e i servizi garantiti negli altri Paesi europei sono decisamente più elevati rispetto a quelli erogati in Italia (al di là dei presidi di eccellenza e della professionalità dei nostri medici, che non hanno nulla da invidiare ai colleghi europei). Se a questo, poi, aggiungiamo le differenze fra le regioni e, soprattutto, il mancato decollo dei cosiddetti costi standard, che avrebbero dovuto garantire una spesa uniforme e una netta riduzione degli sprechi, scopriamo che il sistema sanitario italiano ha ancora molta strada da fare per competere con i Paesi più sviluppati.
E’ vero che, negli ultimi anni, il gap è aumentato anche perché buona parte del peso del risanamento finanziario si è concentrato soprattutto su pensioni e sanità. Tanto che, la spesa per ospedali e medicine, in media, è diminuita ogni anno del 2% mentre, l’aumento dei ticket, come ha denunciato la Corte dei Conti, ha spinto molti italiani a rinunciare, addirittura, alle cure, in attesa di tempi migliori.
Ora, se davvero il governo vuole imprimere un cambio di marcia nel settore della sanità, non può limitarsi ad innalzare la spesa. Un copione già visto in passato è che ha portato ai famigerati piani di rientro delle Regioni. Ora, per evitare che le amministrazioni periferiche tornino a battere cassa e a scaricare, quindi, sui cittadini i nuovi livelli di assistenza decisi a livello centrale, sarebbe opportuno una strategia coordinata e coerente. Che non si limiti solo a rendere gratuiti i vaccini ma anche a individuare adeguate fonti di copertura e, soprattutto, ad eliminare sprechi e diseguaglianze. Altrimenti si correrà davvero il rischio di pagare nei prossimi anni, anche con gli interessi, il costo di interventi giusti ma che il nostro welfare non era in grado di sostenere.