Di Simona D’Albora
La verdura campana è buona, questo è il dato positivo, a una prima analisi una buona notizia che ne nasconde una molto meno buona, si perché a sapere che i prodotti provenienti dalla terra erano buoni erano anche coloro che sversano rifiuti tossici in quell’area che col tempo ha assunto il nome di Terra dei Fuochi. Nel corso di un convegno, organizzato dai Lions Club Napoli Virgiliano, dal tema Inquinamento Ambiente e ricadute sulla catena alimentare si è discusso proprio di questo.
Nell’ambito del monitoraggio sui terreni, che è ancora in corso, che ha portato per il momento al sequestro di 9 campi agricoli, e che ha evidenziato che i prodotti agricoli non sono contaminati emerge l’unico dato inquietante, a riferirlo il generale Sergio Costa, comandante provinciale di Napoli del Corpo Forestale di Stato: “ Si i prodotti, dalle analisi non sono inquinati, ma quello che emerge è che è più inquietante che i camorristi sapevano fare le piombature, in una delle nostre ricerche abbiamo trovato i fusti a chilometri di distanza dalla superficie, non erano nemmeno interrati ma si trovavano nella falda acquifera.” Quindi il dato preoccupante è sempre lo stesso: le falde acquifere inquinate dai rifiuti tossici, in una regione che ha problemi di edilizia abusiva.
Ma il dato positivo che fa emergere il generale Costa è che per la prima volta dopo 30 anni di gap si è affrontato il problema in maniera diversa e allo stesso tavolo per organizzare il monitoraggio e decidere il futuro dei terreni agricoli si sono seduti tre ministri: dell’agricoltura, ambiente e salute. Questo per rendere chiaro che la Terra dei Fuochi coinvolge più aspetti della nostra realtà e che va affrontato tendendo presente più aspetti della realtà.
A confermare il riscontro positivo sui prodotti agricoli, il professor Massimo Fagnano, docente di Agraria all’Università Federico II di Napoli che in collaborazione con il Corpo Forestale di Stato si sta occupando del monitoraggio dei suoli, che ci tiene a sottolineare: “anche se i prodotti sono buoni, sui terreni inquinati non si può coltivare”. Dati alla mano: non esiste un ortaggio, un frutto o una verdura inquinata, ma lancia un allarme: “ Si è scatenata una vera psicosi collettiva sui prodotti agricoli, che portano comportamenti pericolosi come consumare meno frutta e meno verdura o prodotti di importazioni da altre zone meno controllate. Ritengo ci sia stato un interesse a creare un allarmismo eccessivo sui nostri prodotti, pensiamo solo che fino a qualche anno fa eravamo leader proprio nei prodotti ortofrutticoli. Ma attenzione che i prodotti siano sani non vuol dire che non ci sia inquinamento dell’aria e delle falde acquifere”. In realtà l’unica perplessità riguarda i presunti agricoltori complici della criminalità, a sottolinearlo Antonio Marfella: “Non mi spiego, infatti –afferma- come alcuni di loro sapessero già che i loro prodotti fossero buoni se non con il fatto che sapevano che le piombature sotterranee effettuate dalla criminalità erano state fatte bene. Mi viene in mente la storia del magistrato che intercetta la telefonata del camorrista che dice alla moglie di preparargli l’insalata con i pomodori di quel campo. Noi ci siamo scervellati, avevamo delle ipotesi: o che fosse un messaggio in codice, o che fosse tutto scemo, poi abbiamo capito, sapeva come era stata fatta la piombatura e che i prodotti erano incontaminati. Questo vuol dire che i fusti sono interrati talmente in profondità che sarà difficile se non impossibile bonificare. Che i prodotti agricoli siano sani, infatti alza il livello del problema, l’inquinamento esiste ed è a una profondità che fa più danni. Io a questo punto porrei l’attenzione su un altro aspetto, ci sono regioni più industrializzate che stanno peggio di noi, solo la Toscana ha livelli di inquinamento bassissimi, ma in Toscana si sta consumando un’altra guerra sul piano paesaggistico per la regione, c’è una guerra in atto sul punto che limita l’estrazione del marmo. Ma quando mai in Campania si è mai posto il problema di regolamentare, anzi, fa comodo che la situazione rimanga così a chi vuole utilizzare le cave per altri scopi. E allora dobbiamo ragionare anche su questo, dobbiamo avere un quadro complessivo del problema. “ In quest’ottica sono favorevole alla richiesta di prestare le 7 opere della Misericordia all’Expo, -conclude Marfella – perché rappresenta bene la realtà, nessuno infatti, quando Caravaggio dipinse il quadro aveva capito il valore igienico sanitario dell’opera, la capirono 40 anni dopo, quando scoppiò la peste. Caravaggio non aveva visto la peste, ma il degrado igienico sanitario. Aveva guardato la situazione nel suo insieme e aveva compreso i rischi che si correvano.”