Il cranio di Sofocle? Tutta una bufala. Il reperto di cui si iniziò a parlare nel 1893, caso mai completamente acclarato, non è del celebre drammaturgo ateniese. L’importante scoperta è del Fapab research center, il centro di ricerca internazionale per lo studio dell’antropologia forense, della paleopatologia e della bioarcheologia con base ad Avola, nel Siracusano. I risultati della prestigiosa ricerca, che ha portato all’inedita conclusione, sono stati presentati al XV congresso organizzato da SiciliAntica a Caltanissetta dal titolo “Teatro, Musica e Danza nella Sicilia antica”. Ed è stato proprio uno degli autori dello studio, il prof. Francesco Maria Galassi, paleopatologo di fama internazionale, associato alla Flinders University (Australia) nonché direttore del Fapab, a comunicare la notizia destinata a mettere un punto a oltre un secolo di ricerche e speculazioni.
Chiari i motivi dell’esito dello studio e tanti gli spunti originali della ricerca, che si è avvalsa della collaborazione di Michael Edward Habicht, archeologo svizzero e collega di Galassi alla Flinders University. «Anzitutto – spiega il prof. Galassi – il cranio ritrovato dal funzionario danese Ludwig Münter, quando nel 1893 effettuò scavi ad Atene, apparteneva a un individuo adulto ma certamente non senile e tantomeno di 90 anni, età in cui morì Sofocle. Inoltre, sull’osso parietale destro del cranio è possibile individuare una “frattura depressa”, esito di un trauma che, vista la localizzazione anatomica, potrebbe ragionevolmente rappresentare la causa di morte di questo individuo. Secondo alcuni antichi aneddoti, invece, Sofocle sarebbe morto strozzato da un acino d’uva. Un’ulteriore traccia traumatica è riscontrabile sull’osso frontale, dove si nota anche un piccolo osteoma, ovvero un tumore benigno».
Il prof. Galassi aggiunge: «Benché autorevoli studiosi abbiano scritto che il cranio, nel 1893, terminata l’esposizione di Chicago, dove era stato portato dal dottor Herman Mynter, fratello di Ludwig, sia finito in Danimarca, 8 anni dopo e cioè nel 1901, si trovava ancora negli Stati Uniti. E ciò si evince dal ritrovamento di un articolo in un giornale di lingua svedese, pubblicato a Worcester (Massachusetts) per la locale comunità scandinava. Il cranio fu quindi portato da Herman Mynter in un’altra Expo, quella Pan-Americana di Buffalo, nello Stato di New York. Ed è qui che la vicenda del cranio dello pseudo Sofocle e del dottor Herman Mynter si intreccia con un momento drammatico della storia americana: l’assassinio del presidente statunitense William McKinley da parte di un anarchico. Fu proprio Mynter a soccorrere e operare il presidente americano, cui nulla valsero tuttavia le cure. Dopo questi fatti, il reperto osteologico è caduto nell’oblio e se ne sono perse le tracce, ammesso che si sia preservato. Anche se – il prof. Galassi è certo – la possibilità di ritrovarlo e di sottoporlo a un esame multidisciplinare diretto arricchirebbe la comprensione di questa controversa pagina della storia bioarcheologica».
Con questi dettagli il Fapab research center demolisce quella che il prof. Galassi non esita a definire «una prassi assai consolidata nel secolo decimonono, quella di voler identificare come autentici, nonostante la scarsità di elementi probanti, resti umani antichi rinvenuti nel territorio o nelle vicinanze del luogo di sepoltura dei grandi personaggi del passato. Ci siamo imbattuti in situazioni simili durante lo studio del presunto cranio di Atalarico, re degli Ostrogoti, e durante l’analisi delle presunte spoglie di Malatesta Novello, signore di Cesena: in entrambi i casi dimostrati essere dei falsi».
Il prof. Galassi ricorda: «In effetti Ludwig Münter ricevette aspre critiche per il metodo di indagine archeologica assai poco rigoroso, ma non si fece intimidire da ciò e anzi coinvolse nella ricerca il patologo Rudolph Virchow, un vero e proprio mostro sacro della scienza a quei tempi. Benché non potesse certificare i resti come quelli di Sofocle, Virchow parlò comunque di un individuo morto nella seconda metà della vita e affetto da una deformazione cranica patologica nota come plagiocefalia. Questo carattere, secondo Virchow, era indice di una predisposizione alla criminalità o di eccentricità poetica! L’analisi morfologica moderna precisa che, se si tratta veramente di plagiocefalia, che nulla ha a che vedere con la criminalità, questa può essere solo della tipologia acquisita e non congenita».
Oltre a queste considerazioni, Virchow lasciò nella sua pubblicazione del 1893 litografie molto accurate del cranio in questione. Proprio a queste immagini, sui cui si è fondata la ricerca attuale, si deve un altro grande risultato di Galassi e Habicht: la ricostruzione del volto del presunto cranio di Sofocle. «Sulle litografie di Virchow – rivelano i due studiosi – abbiamo applicato la tecnica dell’approssimazione facciale per tentare di recuperare la morfologia del volto di un individuo a partire dal cranio. Questa tecnica è di frequente utilizzo anche oggi in contesti forensi e da parte della Polizia quando realizza l’identikit di una persona scomparsa. Nei prossimi mesi, all’approssimazione facciale, verrà aggiunta una vera e propria ricostruzione facciale computerizzata e si restituirà così un volto al presunto cranio di Sofocle».
«La nostra comprensione della storia – commenta Elena Varotto, antropologa dell’Università di Catania e vicedirettrice del Fapab – passa anche dallo studio dei resti mortali dei nostri predecessori. Le loro spoglie e la ancora spesso inesplorata documentazione a disposizione rappresentano archivi di straordinario valore».