Politica interna
Indagine al Viminale. II procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio prepara l’atto d’accusa contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Per il magistrato, ci sono già elementi a sufficienza in quella cartella blu su cui sabato pomeriggio sono stati scritti i nomi di Salvini e del suo capo di gabinetto Matteo Piantedosi. Elementi di contestazione, ovvero prove dei reati commessi: sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Entrato in campo il tribunale dei ministri di Palermo, per Matteo Salvini si apre la nuova fase, «inusuale» dicono i suoi, di ministro dell’Interno e di indagato. Entro 90 giorni, il collegio presieduto da Fabio Pilato e composto da Filippo Serio e Giuseppe Sidoti, due Gip e un magistrato della sezione fallimentare, dovrà quindi decidere se archiviare il caso (ipotesi in cui emetterà un decreto impugnabile solo in Cassazione per motivi di diritto) oppure rimandare gli atti all’ufficio inquirente, in questo caso la procura di Palermo diretta da Francesco Lo Voi. «Quando ho iniziato a fare politica, non avrei mai pensato di poter essere accusato di sequestro di persona. Io mi ricordo da bambino i sequestratori. Erano quelli che rapivano le persone e chiedevano il riscatto. Io, invece, ho agito per difendere i confini del mio Paese. E se questo è il prezzo che devo pagare, ok. Ma nessun magistrato pensi di potermi fermare con un’inchiesta» ha dichiarato il ministro.
Di Maio su Salvini e Europa. II vicepremier Luigi Di Maio non mette in discussione il mandato da ministro dell’Interno di Matteo Salvini dopo l’apertura dell’indagine per sequestro di persona, arresto illegale e abuso di ufficio. In un lungo intervento su Facebook il leader del M5S prende le difese del titolare del Viminale spiegando che l’apertura del fascicolo giudiziario è semplicemente «un atto dovuto in quanto ministro dell’Interno, in quanto titolare delle decisioni in quella materia». Tuttavia in un passaggio nemmeno tanto velato si registra che la difesa di Di Maio nei confronti di Salvini non è totale. Il ministro del Lavoro bacchetta infatti l’alleato leghista quando scandisce che «c’è pieno rispetto» per l’azione della magistratura per cui «non dobbiamo attaccare i pm». Il vicepremier ha annunciato poi che il governo è pronto a combattere la sua battaglia su una serie di tavoli, dal veto al bilancio pluriennale della Ue fino alla non ratifica del Ceta. «Ma se l’Europa ci desse dei segnali di aiuto – dice Di Maio potremmo ravvederci». Nelle principali cancellerie del Vecchio Continente si sono stancati di tendere continuamente la mano a un governo capace soltanto di strattonare. E c’è chi già pronostica un atteggiamento «senza sconti» di Bruxelles sui conti pubblici, la grande battaglia dell’autunno.
Politica estera
Dossier contro il Papa. Per la Chiesa la miccia è sempre legata agli scandali pedofilia. E come una bomba a orologeria ora spunta una velenosa lettera dell’ex nunzio apostolico (ambasciatore della Santa Sede) a Washington, monsignor Carlo Maria Viganò. Nel documento di 11 pagine si legge che le autorità vaticane erano a conoscenza fin dal 2000 dell’esistenza di accuse contro Theodore McCarrik, promosso alla fine di quell’anno arcivescovo di Washington e creato cardinale da Giovanni Paolo II l’anno successivo. Nel 2018 McCarrik – dal 2006 senza incarichi – è stato accusato e di recente sospeso anche dal collegio cardinalizio su iniziativa di papa Francesco, dopo che si è avuta notizia di una denuncia concreta di abuso su un minore da parte del prelato. Nel giugno 2013 Viganò, durante un’udienza privata, a una domanda di Francesco su McCarrick avrebbe risposto che contro il cardinale c’era un dossier di accuse depositato alla Congregazione per i Vescovi. Viganò non afferma di aver trasmesso denunce contro McCarrick al nuovo Papa. Ma quelle poche parole scambiate gli sono sufficienti per affermare che Francesco non si sarebbe comportato correttamente: avrebbe in qualche modo aiutato il cardinale. «Ho letto questa mattina quel comunicato. Sinceramente devo dirvi questo: leggete voi attentamente e fatevi un vostro giudizio. Non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parli da se stesso. Voi avete la capacità giornalistica di trarre le conclusioni» ha dichiarato il Pontefice in una recente intervista.
Addio a John McCain. «L’America è in lacrime», ha detto per tutti il senatore Lindsay Graham in morte di uno dei suoi migliori amici e di uno degli uomini più in vista del Paese. John McCain se n’è andato alla sua maniera, sabato 25 agosto alle ore 16,28. Venerdì scorso aveva chiesto lui stesso ai medici di interrompere le cure, ormai inutili, contro il tumore al cervello. Qualche mese fa, quando ormai aveva capito che non ce l’avrebbe fatta, McCain aveva dichiarato pubblicamente: «Non voglio Trump al mio funerale». McCain è sempre stato un originale, un battitore libero, un disturbatore di equilibri, un “maverick” rispetto all’establishment. Mai però avrebbe pensato che la bandiera dell’anti-establishment finisse in mano a un affarista-showman, usata per infangare le regole della democrazia e la civiltà del dibattito pubblico. Ogni volta che ha potuto, McCain si è messo di traverso a Trump.
Economia e finanza
Ponte Morandi. Il ponte di Genova sarà ricostruito «da un’azienda di Stato» mentre la società Autostrade, che gestiva quello crollato il 14 agosto, «deve al massimo metterci i soldi». Così ieri il vicepremier, Luigi Di Maio. Che ha anche confermato la volontà di revocare la concessione alla società privata Autostrade. Le parole del vicepremier rilanciano l’ipotesi che sia Fincantieri a costruire il ponte. Giovedì scorso si è svolto un incontro fra il presidente della Liguria e commissario per l’emergenza, Giovanni Toti, il sindaco di Genova, Marco Bucci, e Autostrade, nel quale Toti ha chiesto alla società di presentare entro 5 giorni lavorativi (in pratica entro il prossimo giovedì) i piani per rimediare al disastro del 14 agosto. Autostrade, come annunciato, presenterà insieme un progetto per la demolizione dell’area interessata al crollo, che avrebbe una durata di 3 mesi, e un progetto di costruzione di un nuovo ponte in acciaio, che impiegherebbe i successivi 5 mesi. Non risulta, invece, che richieste formali di piani per il nuovo ponte siano state fatte a Fincantieri. Nel frattempo, in attesa che venga presentato un testo di queste regole, che dovrebbero imporre ai concessionari di investire di più e legare i rincari tariffari ai miglioramenti effettivi delle autostrade, una cosa è certa: gli effetti si vedranno solo nei prossimi decenni. Anche se le nuove regole entrassero in vigore oggi, i loro primi effetti si vedrebbero tra un anno e solo su tre autostrade: Sestri Levante-Livorno, Viareggio-Lucca e Parma-La Spezia. Di qui inizia una serie di scadenze che arriva fino al 2056, quando è prevista la fine della concessione per la Ragusa-Catania.
Le linee del Rei, possibile base del Reddito di Cittadinanza. Quattro progetti di “inclusione” che mettono in campo i servizi sociali dei Comuni, i centri per l’impiego o – nei casi più critici – équipe multidisciplinari o servizi specialistici, come quelli che si occupano di dipendenze o salute mentale. È la ricetta che emerge dalle Linee guida sui progetti personalizzati per le famiglie che chiedono il Reddito di inclusione, la misura nazionale di contrasto alla povertà introdotta dal Dlgs 147/2017, che ha debuttato il 1° dicembre dell’anno scorso. Un aiuto economico da 188 a 540 euro al mese per le famiglie in povertà assoluta. Dal 1° gennaio 2019 il riconoscimento del reddito di inclusione avverrà solo dopo che la famiglia avrà sottoscritto il progetto e si sarà impegnata a seguirlo. Sullo sfondo, tuttavia, c’è il contratto di Governo sottoscritto da 5 Stelle e Lega, che prevede il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese: bisogna vedere se e in che modo la nuova misura potrebbe innestarsi su quella esistente o sostituirla. Intanto il reddito degli italiani continua a puntare come un miraggio i livelli pre-crisi. Anche nei capoluoghi di provincia – dove storicamente i dati sono migliori – gli importi dichiarati al Fisco nel 2017 (redditi 2016) sono di quasi il 2% più bassi, in termini reali per contribuente, di quelli del 2009. Anche se in prevalenza sono le aree del Sud ad accusare le perdite più rilevanti, la geografia non segna demarcazioni nette.