Politica interna
Pd e 5 Stelle avanti tra i dubbi. Roberto Fico dichiara concluso con «esito positivo» Il suo mandato esplorativo. Dopo una giornata di consultazioni con le delegazioni di Pd e M5S, il presidente della Camera, sentito il capo dello Stato Sergio Mattarella, lascia ai due partiti il compito di proseguire e verificare le condizioni per far partire finalmente un dialogo per formare un governo. Ma i tempi si allungano, perché la direzione del Pd è stata fissata per il 3 maggio, e sarà quella la sede nella quale i dem, che sono divisi, dovranno decidere se «accedere al confronto» con il M5S. Maurizio Martina, reggente del Pd, si barcamena nella difficile situazione: «Sono stati fatti passi avanti, ma non nascondiamo le differenze e le difficoltà». Deciderà la direzione e sarà decisivo l’atteggiamento di Renzi. Ieri nella grande muraglia renziana si era aperta una crepa, ma poi verso sera il barometro è cambiato. «Non sono convinto, ragazzi — ha imposto un nuovo stop Renzi —. Non è un problema di formule, è che la sostanza non regge. I nostri elettori ci verrebbero a prendere a casa e sarebbe la fine del Pd». Non c’è solo l’arrabbiatura per l’ottimismo dichiarato da Fico con largo anticipo sulla direzione del 3 maggio. C’è anche, come ha osservato Graziano Delrio, che «le parole di Di Maio sui risultati dei governi Renzi e Gentiloni non sono un buon viatico». L’idea poi che Renzi non si toglie dalla testa è che i governisti stiano sottovalutando Salvini, il quale «dopo il Friuli-Venezia Giulia tornerà alla carica da vincitore e farà il governo con i 5 Stelle». A quel punto Renzi schiererà i suoi all’opposizione e da quella trincea proverà a risalire la china. La domanda che assilla in queste ore il Pd ruota attorno a uno scenario catastrofico per i destini del Nazareno: il voto anticipato. La finestra per tornare alle urne il 24 giugno si chiuderà il 9 maggio. E il Quirinale non ha voglia di elezioni così ravvicinate. Quella di ottobre, invece, è ancora spalancata e preoccupa l’intera galassia dem.
Salvini crede ancora possibile un accordo con i 5Stelle. Nessuno scommette un euro sul via libera di Matteo Renzi: in casa leghista ci si prepara alla svolta e alla rottura con Forza Italia. II conto alla rovescia è iniziato. «Si apre una fase nuova», spiega Salvini che critica il Presidente della Repubblica per il tempo concesso al «surreale» dialogo M5S-Pd. «Una perdita di tempo per consentire un raccapricciante esecutivo alla faccia del voto degli italiani». La svolta di Salvini è maturata negli ultimi giorni quando è stata sempre più chiara l’intenzione di Berlusconi di boicottare ogni possibile intesa con i pentastellati e di lavorare «per un altro, ennesimo inciucio con il Pd». Senza escludere, da parte dell’ex Cavaliere, l’ipotesi del governissimo o di esecutivo del presidente che sarebbe «un altro esperimento dei tecnici sulla pelle degli italiani». Questa è la convinzione del segretario della Lega, che è consapevole di non godere della benevolenza del Capo dello Stato. Sa che mai gli darebbe l’incarico come premier del centrodestra per cercarsi i voti che gli mancano in Parlamento. Ma al Quirinale, dice Salvini, dovranno farsene una ragione se fallirà, come è probabile, il tentativo di scongelare Renzi e tornerà in primo piano la possibilità di costruire una maggioranza M5S-Lega. Intanto Berlusconi torna ad attaccare a testa bassa il movimento. In Friuli-Venezia Giulia per sostenere i candidati del centrodestra alle regionali, ha risposto al leader Cinque Stelle Luigi Di Maio senza tanti giri di parole. «Mi sembra una cosa molto grave attaccare un’azienda di comunicazione come Mediaset che è un patrimonio di tutti», ha affermato il leader di Forza Italia, replicando al numero uno grillino che ha detto «è arrivato il momento di metter mano a questo conflitto di interessi e di dire che un politico non può essere proprietario di mezzi d’informazione». «Mediaset è un’azienda quotata in borsa e che vive dell’ascolto più largo possibile – ha continuato il Cavaliere – quindi non c’è la possibilità che una tv commerciale possa prendere partito per qualcuno perché eliminerebbe dalla sua audience tutti gli altri. Se Di Maio ha detto una cosa simile, è un linguaggio preoccupante perché si vuole toccare l’avversario politico in quella che è la sua attività privata. E una cosa da anni ’70, da esproprio proletario. E conferma ancora una volta come il M5s sia un pericolo per la nostra democrazia».
Politica estera
Arrestato migrante in attesa di asilo. Erano quasi le tre del pomeriggio di venerdì scorso quando Magie Touray, gambiano, classe 1996, arrivato in Italia tredici mesi fa con un barcone proveniente dalla Libia e alloggiato in un centro d’accoglienza con un permesso di soggiorno provvisorio che sarebbe scaduto agli inizi di luglio, ha visto interrompersi prematuramente la sua carriera di presunto militante del Daesh. Touray era appena uscito dalla moschea di Pozzuoli, e in un attimo, senza avere il tempo di rendersene conto, si è trovato circondato e immobilizzato da carabinieri del Ros e agenti della Digos della questura di Napoli. Da poco meno di ventiquattr’ore gli investigatori non avevano più dubbi che fosse lui l’uomo inquadrato in un video — diffuso via chat sulla piattaforma Telegram — mentre pronuncia il giuramento al califfo Abu Bakr Al Baghdadi, e quindi allo Stato Islamico. Per l’intelligence e l’Antiterrorismo lo straniero era ormai pronto all’azione. Pedina di una «rete» internazionale che dalla Libia passa per l’Italia e ha diramazioni in Francia e Spagna. Le ricerche dei possibili complici sono tuttora in corso, compreso un senegalese che si sarebbe trasferito proprio in Francia. I dettagli contenuti nell’ordinanza del giudice di Napoli ricostruiscono il viaggio di Touray e le ultime mosse fino a quello che avrebbe dovuto essere l’atto finale: «Un’auto contro la folla in cambio di 1.500 euro».
Dialogo tra le due Coree. Kim Jong-un e il primo capo del regime nordista a varcare pacificamente la linea del 38° parallelo per stringere la mano al presidente nemico, Moon Jae-in della Sud Corea. E il cerimoniale sudista ha studiato una coreografia spettacolare, piena di simboli, per questo vertice di Panmunjom: il tavolo del colloquio è ovale, distanza tra Moon e Kim 2018 millimetri, calcolata per far risaltare nel legno massiccio la data storica del 2018; poltrone con la sagoma della penisola unita. I sudcoreani vogliono un grande spettacolo televisivo: tutto in diretta, dall’arrivo di Kim in automobile al momento nel quale scavalcherà a piedi il gradino di cemento sulla Linea di demarcazione militare che spacca la Penisola da 65 anni. E poi passeggiata con Moon, i due che pianteranno insieme un pino nella terra di nessuno e saluteranno una nuova targa commemorativa con la scritta: «Pace e serenità sono seminate qui». È una prima volta di grande importanza politica, visto che i due precedenti summit intercoreani si erano svolti a Pyongyang. Un’ora dopo, l’inizio dei colloqui finalizzati questa volta non solo a ridurre le tensioni, ma a porre le prime basi di un trattato di pace che sostituisca l’armistizio in vigore dal 1953. La Peace House, appena all’interno del territorio del Sud, è stata rinnovata per ospitare l’incontro all’insegna di una simbologia di pace e unificazione. Per quanto la concreta prospettiva di un vertice agli inizi di giugno tra Kim e il presidente americano Donald Trump abbia relativamente smussato la portata clamorosa di questo summit, è chiaro che si tratta di una giomata molto importante per il futuro della penisola.
Economia e Finanza
Nel Def debito al 130,8%. Un bilancio pubblico ed un’economia in discreta salute e in condizioni migliori rispetto al passato, quasi al riparo dalle censure europee, ma con un futuro reso incerto dalle incognite sul previsto aumento dell’Iva dal 2019. Se dovesse rimanere in programma, la crescita dell’economia rallenterebbe leggermente nei prossimi anni, scendendo dall’1,5% di quest’anno, all’1,4% del 2019, poi all’1,3%, con l’inflazione in decisa ripresa (almeno mezzo punto). Nelle previsioni ufficiali della crescita vince la prudenza, che fissa un aumento del PII dell’1,5% quest’anno e poi una discesa da un decimale all’anno nel 2019 e nel 2020. Sul debito pesa invece l’effetto degli interventi salvabanche, che si riflettono su un passivo 2018 al 130,8% del Pil, cioè un punto sotto i livelli dei 2017 ma otto decimali sopra le previsioni di autunno. Nessun effetto strutturale, invece, sul deficit, che dopo iI 2,3% del 2017 conferma la propria discesa all’1,6% e allo 0,9% II prossimo anno, per arrivare al pareggio sostanziale nel 2020. Senza II sostegno agli istituti di credito, II 2017 avrebbe chiuso con un indebitamento netto all’1,9% del PII, due decimali sotto rispetto alle previsioni che secondo il governo cancellerebbero Il rischio di una richiesta di correzioni da Bruxelles. II Def approvato ieri dal consiglio dei ministri offre quello che secondo il premier Paolo Gentiloni è il consuntivo di un’azione di governo «fondata su serietà, sostegno all’espansione e credibilità dei conti». Alla prudenza delle tabelle fa da contraltare la «convinzione personale» del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan su una crescita potenziale italiana più alta, «vicina al 2%», ma a patto che «le riforme di questi anni siano confermate e rafforzate». Intervistato dalla Stampa il responsabile dell’Economia dice che «è’ vero che l’Italia cresce meno degli altri, ma è anche vero che il ritmo è elevato, se considerato nella prospettiva Sono fiducioso che nel Def del prossimo governo si troveranno misure alternative per evitare l’aumento dell’Iva dei vent’anni alle nostre spalle. Al netto della situazione congiunturale, le potenzialità di sviluppo italiane sono ancora significative. Possiamo crescere di più».
La Bce sull’economia che rallenta. Mario Draghi e il Consiglio dei Governatori della Bce prendono molto sul serio il rallentamento di inizio anno della crescita europea. Al punto che, di fronte all’impossibilità di interpretarne in questa fase iniziale le caratteristiche, nella riunione di ieri tenuta a Francoforte hanno evitato di discutere del corso della politica monetaria nei prossimi mesi. Prima di decidere il sentiero futuro, la Banca centrale europea dovrà capire a cosa è dovuta e che qualità ha quella che Draghi ha definito «la perdita di slancio»dell’economia. II percorso Bce che i mercati immaginavano fino a qualche settimana fa potrebbe dunque cambiare: i tempi dell’uscita dalle misure non convenzionali allungarsi e dunque allontanarsi anche l’aumento dei tassi d’interesse. Nella riunione di ieri, i governatori hanno lasciato invariati sia gli acquisti di titoli sui mercati sia le previsioni sul costo del denaro che resterà ai livelli attuali (a zero) fino a «ben dopo» la fine degli acquisti netti. Interessante però l’invito di Draghi a essere prudenti nell’iniziare a ridurre lo stimolo monetario: lo aveva già sottolineato più volte e ora l’andamento dell’economia dà forza alla sua linea. Ieri, ha in sostanza posto le basi per un possibile (per ora solo possibile, dipenderà dai numeri) allungamento del Quantitative Easing. Prudenza, persistenza, pazienza: l’imprevista frenata della crescita economica rafforza la convinzione della Banca centrale europea di dover continuare la propria strategia. Una strategia di ultra espansione monetaria, che il presidente Draghi riassume con tre parole: prudenza, persistenza e pazienza. La vigilia dell’annuncio delle decisioni di politica monetaria europea era stata movimentata dal combinato disposto di dati macroeconomici meno brillanti delle attese e da una turbolenza verso il basso dei mercati finanziari Di tale situazione ha preso atto la Bce per confermare anche ieri al cento per cento la strategia monetaria disegnata e messa in atto a partire dal giugno 2014; anzi, l’aumento dell’incertezza appare un ulteriore argomento per confermarne la robustezza. Andrea Bonanni sottolinea su Repubblica che “nella bolla autoreferenziale in cui si crogiola la politica italiana da ormai 55 giorni, e parole pronunciate ieri da Mario Draghi a Francoforte arrivano sicuramente attutite. Avrebbero invece dovuto risuonare forte e chiaro. Il presidente della Bce ha infatti detto tre cose molto importanti per riportare con i piedi per terra un Paese che, dalle elezioni in poi, sembra partito sul set di un reality di quart’ordine”.