Politica interna

L’investitura di Napolitano. «Paolo Gentiloni è divenuto punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo e non solo nel breve periodo della governabilità e della stabilità politica dell’Italia». Lo ha detto ieri il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. Durante una cerimonia all’Ispi, l’istituto di studi di politica internazionale, il presidente emerito ha scelto parole impegnative per motivare un premio che veniva conferito al premier: «Un’attitudine all’ascolto e al dialogo e uno spirito di ricerca senza preclusioni da ministro degli Esteri e poi da presidente del Consiglio». Qualche giorno fa Romano Prodi, ieri Giorgio Napolitano, domenica prossima Walter Veltroni. Tutti intorno e vicini a Paolo Gentiloni, in una grande “ola” quasi a voler sottolineare che la faccia del Pd non è solo quella di Renzi ma pure quella del meno divisivo “Paolo”.

Violenze sul voto. Affermare che è «tutto sotto controllo» significa non trasformare la campagna elettorale in un’emergenza, ovvero difendere la normalità della democrazia. Ma vuole anche dire che l’attenzione del Viminale è massima, «sui fatti gravissimi e sui meno gravi». La violenza irrompe infatti nella campagna elettorale. A Palermo fermati due antagonisti, irruzione di Forza nuova a La7, accoltellamento a Perugia. Preoccupazione al Viminale per la marcia antirazzista dell’Anpi a Roma e il corteo di Forza nuova a Palermo. E non è un caso che lo stesso Minniti e il collega della Giustizia Andrea Orlando, ieri abbiano voluto pubblicamente evidenziare «il rischio concreto che le mafie possano condizionare il voto libero degli elettori» come ha scandito il titolare del Viminale alla presentazione della relazione annuale dell’Antimafia. Il vero rischio, dice il ministro dell’Interno, è «lanciare un allarme che finisce per autoalimentarsi. Cadremmo in una trappola mortale». E ancora: «Nessun atto violento è rimasto impunito».

Economia e finanza

Tajani e il caso Ema. La contestata assegnazione dell’Agenzia per le medicine (Ema) sfocia in un duro contrasto istituzionale ai vertici dell’Unione Europea. L’ultimo atto è la lettera che ieri il presidente dell’Europarlamento, Antonio Tajani, ha spedito al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Tajani ha infatti scritto una lettera d’accusa al presidente lussemburghese contestandogli di non avere assolto al meglio il suo dovere di fare valutazioni, controlli e proposte. Tajani chiede a Juncker di mettere a disposizione del Parlamento europeo tutte le carte: non solo la proposta avanzata dal governo olandese con le parti secretate ma anche le valutazioni della Commissione. Il presidente dell’Europarlamento rivendica inoltre il ruolo di co-legislatore dell’istituzione da lui presieduta «per permettere al Parlamento di deliberare in maniera pienamente consapevole e informata».

Embraco e dumping fiscale. La vicenda Embraco è uscita dai confini della vertenza aziendale. Il governo italiano ha deciso di farne un «caso esemplare e riguarda il modo in cui si sta insieme nell’Unione Europa». Parola del premier Paolo Gentilonim che è sceso in campo accanto al ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, perché «se vogliamo investire sull’avvenire e sul capitale umano non possiamo permettere che all’interno dell’Ue ci siano forme di dumping fiscale e sociale». Intanto, in una «dichiarazione comune» cinque associazioni dell’imprenditoria italiana (Abi, Mia, Assonime, Confindustria e Febaf) indicano in 11 punti strategie e passi avanti da compiere per ridare vigore e slancio al progetto europeo. Tra le sollecitazioni quella di «contribuire arafforzare con le sue politiche» il funzionamento del mercato «per combattere il dumping sociale e promuovere standard comuni di protezione del lavoro nei paesi membri». Ieri il commissario alla concorrenza Margrethe Vestager ha dichiarato che i fondi Ue «servono a creare lavoro e non a spostarlo». Ha aggiunto poi che si riserva di capir meglio il merito della proposta italiana di creare un fondo per gestire gli effetti sociali della globalizzazione.

Politica estera

Stretta di Macron sull’immigrazione. La ricetta di Macron: carcere o espulsione per chi entra illegalmente nel Paese. II Capo dello Stato francese ha deciso. Per mano del prediletto ministro dell’Interno, Gérard Collomb, ha messo sul tavolo del governo un pacco di leggi nuove e piuttosto esplosive su immigrazione e diritto d’asilo, che sarà discusso dall’Assemblea nazionale il prossimo aprile e che nelle sue intenzioni dovrebbe servire a contemperare un effettivo diritto d’asilo con ingressi nel Paese sempre più controllati e legali. Non sarà facile farlo passare, viste le critiche e le opposizioni che sono venute non solo dalla rete delle associazioni umanitarie e dalle forze di sinistra radicale ma dalle fila stesse del partito del Presidente. Accoglienza ai rifugiati e diritto alla sicurezza dei cittadini. Integrazione e rispetto delle regole. Protezione dei deboli e procedure legali vincolanti per chi vuole entrare in Francia. Un po’ di sinistra, un po’ di destra, come è nello spirito del movimento En Marche! che nel maggio dello scorso anno ha sostenuto la marcia trionfale verso l’Eliseo di Emmanuel Macron.

Generazione «basta armi». 
I politici — locali e nazionali — ascoltano, promettono ma poi non mettono un freno alla diffusione di pistole e fucili. Ora però, dopo l’ultimo massacro in un liceo della Florida, perfino il presidente Trump, sostenuto dalla lobby degli armaioli dice di voler considerare qualche misura restrittiva.  Il movimento degli studenti diventato giorno dopo giorno una grande onda di protesta che secondo alcuni potrebbe cambiare la sensibilità degli americani sulle armi. Donald Trump ora sta assumendo un atteggiamento più riflessivo: ha già dato ordine al ministero della Giustizia di adoperarsi almeno per la messa al bando dei cosiddetti bump stocks, congegni che consentono a un fucile tradizionale di funzionare come un’arma automatica capace di sparare colpi a raffica. Ieri, poi, il presidente ha deciso di ricevere alla Casa Bianca venti studenti e genitori della scuola della strage, promettendo «durezza sui background checks» (controlli sul passato dei potenziali acquirenti di fucili e pistole”.