Politica interna
Il Pd prova a ripartire. Per il Partito democratico quanto è accaduto domenica 24 giugno 2018 e qualcosa di ben diverso da una sconfitta, sia pure assai grave. E qualcosa di molto vicino a una autentica espulsione dalla storia che significa anche la fine di una storia. Una storia cominciata male e proseguita peggio: staccandosi progressivamente dalla realtà di carne e sangue del Paese e identificandosi con tutti i peggiori settori di establishment disponibili. Il centrosinistra va ricostruito dalle fondamenta se non si vogliono collezionare altre batoste elettorali a partire dalle Europee della primavera prossima. Sul come, sui tempi del ricambio, e soprattutto sul chi possa guidare la nuova fase del Pd, però, le opinioni sono diverse. Neppure sulla data del congresso i Dem si muovono compatti. E in questa confusione s’inserisce Nicola Zingaretti che non ha preferenze sulle date, non ha fretta, ma il suo motore è in moto. Dentro il Pd, diviso, confuso, prostrato, parte con un consenso che coinvolge quasi tutti i dirigenti storici. Zingaretti proverà a fondare la sua corsa verso la leadership sulle differenze, sull’allargamento, sull’apertura all’esterno. Anche se associazioni, movimenti e personalità di altri partiti non votano al congresso del Pd. E mentre Carlo Calenda presenta il suo Manifesto del Fronte repubblicano, evita di partecipare a questo bailamme Matteo Renzi. Non che se ne stia in disparte, tutt’altro, sta attento a non cadere nella logica dei leader sconfitti che si metto- no a organizzare una propria corrente. Si riorganizza, in qualche modo, come si è anche visto dall’attivismo di Luca Lotti e di Maria Elena Boschi che l’altro giorno alla Camera è passata da un colloquio a un altro. Guarda lontano, Renzi, alle Europee del 2019, cinque anni precisi dopo il suo exploit del 41 per cento, con l’intenzione di far decollare una nuova esperienza politica più consona ai tempi.
Tagli ai vitalizi. Un taglio netto, fino all’82,8 per cento, di 1.295 vitalizi di ex deputati. Arriva oggi alla Camera (ma non si voterà oggi) il tanto annunciato provvedimento a firma 5 Stelle, che dovrebbe far risparmiare 18 milioni di euro (in attesa del Senato) e che contiene importanti correttivi. Realizzati dopo le osservazioni del collegio dei Questori e dopo un’interlocuzione tra l’ufficio di presidenza di Roberto Fico e il presidente dell’Inps Tito Boeri. Un atto rivendicato con orgoglio dal Movimento. Chiesto a gran voce da Luigi Di Maio, scritto da Riccardo Fraccaro e portato nell’ufficio di presidenza da Fico, che ha dovuto attendere la nomina dei tre segretari d’Aula. Secondo i calcoli, la riduzione più massiccia, dal 50 all’82,8 per cento, riguarderebbe 11 titolari: non i big che hanno fatto più legislature (e quindi pagato più contributi) ma ex parlamentari che sono stati poco in Parlamento. In alcuni casi, vitalizi di 4.000 euro scenderanno drasticamente fino a 6-700 euro. La pratica del taglio dei vitalizi, attualmente, viaggia su un binario parallelo rispetto al Senato. Il cui compito, in una iniziale divisione di competenze, era quello di approfondire i profili giuridico-costituzionali, mentre alla Camera spettava l’onere di «individuare i presupposti metodologici». Dopo un primo confronto, i questori dei due rami del Parlamento avevano stabilito di rivedersi. Ma la mossa del presidente Roberto Fico stravolge il cronoprogramma. L’auspicio, spiegano dalla presidenza, è che i due percorsi alla fine coincidano, ma il rischio è che ci si trovi con due regimi diversi. Anche perché l’obiettivo del numero uno di Montecitorio è quello di fare presto, la deadline massima è infatti approvare la delibera prima della pausa estiva.
Politica estera
Intesa Conte-Macron sui migranti. La lifeline a Malta. A largo di Malta la Lifeline ha atteso ieri, per tutta la giornata, di sbarcare a La Valletta i 233 migranti a bordo. Dall’Italia giungevano segnali di una imminente fine del braccio di ferro. Ad accendere la speranza era stato, in mattinata, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «La nave della ong Lifeline attraccherà a Malta». Una soluzione, diceva una nota, concordata in una telefonata con il presidente Muscat: «l’Italia farà la sua parte e accoglierà una quota dei migranti a bordo». Un accordo che, nelle intenzioni del governo, dovrebbe fare da apripista rispetto al vertice europeo che comincia domani ed è stato preceduto da una cena riservata e «informale» tra Conte e il premier francese Emmanuel Macron, avvenuta alla Casina Valadier di Roma lunedì sera. «Sì ci siamo visti. Sono stato sollecitato dopo il nostro incontro di domenica dal presidente Conte. I nostri protocolli si sono messi in contatto e si è convenuto che un incontro riservato fosse rispettoso nei confronti del Vaticano. E’ stato uno scambio privato, per questo non era in agenda» ha precisato Macron. Con Conte, hanno parlato di «questioni di attualità, eurozona e migranti. Non abbiamo parlato di politica italiana o della posizione italiana, il tema delle migrazioni riguarda tutti» ha dichiarato Macron. «Lo sforzo diplomatico del premier di Malta e delle istituzioni europee sta portando ad un accordo ad hoc per la distribuzione dei migranti tra un certo numero di Stati membri disposti. Quattro hanno già confermato la loro partecipazione, mentre altri due stanno valutando il caso», fa sapere il portavoce del governo de La Valletta confermando l’intenzione di aprire un’inchiesta e adottare possibili azioni nei confronti della Lifeline accusata di aver «ignorato le istruzioni delle autorità italiane». Nel frattempo Matteo Salvini non intende cedere di un millimetro. Nel mirino del leader leghista c’è sempre Parigi, soprattutto Macron che continua a sostenere che in Italia non esiste un’emergenza immigrazione. «Allora che apra subito le porte di casa sua ai 9 mila immigrati che la Francia si era impegnata ad accogliere dall’Italia con gli accordi firmati in Europa. Troppo facile farsi la foto col Papa senza rispettare gli accordi e respingendo donne e bambini alle frontiere». Di migranti, infatti, Macron ha parlato anche con papa Francesco, un incontro che, ha definito «illuminante».
Usa: ok al travel ban. La Corte Suprema degli Stati Uniti ha dato al presidente Trump un’importante vittoria, confermando la legalità del bando all’ingresso nel Paese dei cittadini provenienti da diverse nazioni a maggioranza musulmana, e non solo. Il massimo tribunale americano non ha espresso un parere sulla linea politica o le dichiarazioni del capo della Casa Bianca, ma ha affermato che ha il diritto di regolare l’accesso sulla base della protezione della sicurezza nazionale. «La Corte Suprema conferma il travel ban. Wow», esulta Trump su Twitter. È una «vittoria enorme per il popolo americano e per la Costituzione», precisa poi in un comunicato diffuso dalla Casa Bianca, definendo quello attuale un «momento di forte rivincita, dopo mesi di commenti isterici dei media e dei politici democratici». La decisione mette infatti fine ad una lunga battaglia legale cominciata nei primissimi giorni dell’era Trump. Dopo solo una settimana dal suo ingresso al 1.600 di Pennsylvania Avenue il Commander in Chief ha deciso di sbarrare le porte dell’America ai cittadini provenienti da alcuni Paesi a maggioranza islamica. Una mossa con cui ha mantenuto fede alla promessa della linea dura su immigrazione e lotta al terrorismo, ma che ha fatto scoppiare un putiferio. La decisione della Corte ha fatto infuriare i democratici: «Recuperariamo i nostri valori», afferma il senatore del New Jersey Cory Booker, mentre il collega del Delaware Chris Coons precisa che pur se il provvedimento è costituzionale «non vuol dire che sia giusto».
Economia e finanza
Cresce la povertà. La notizia è sintetizzabile così: nonostante dal 2015 l’economia sia ripartita a un ritmo discreto la povertà assoluta in Italia nel 2017 è aumentata rispetto all’anno precedente. Lo dicono i dati dell’Istat che servono a fare chiarezza su un tema che, dopo anni di grave dimenticanza, gode ora di un’assoluta centralità nel dibattito politico. Infatti vivono in una condizione di povertà assoluta circa 1,8 milioni di famiglie che corrispondono a più di 5 milioni di persone. Nel giro di soli dodici mesi il peggioramento è stato sensibile: era indigente il 6,3% delle famiglie e oggi siamo saliti al 6,9%, gli individui poveri assoluti erano il 7,9% della popolazione e a fine ’17 siamo arrivati all’8,4%. Parte di questo incremento è puramente tecnico-statistico, legato al computo dell’inflazione (due decimali) ma colpisce che tutto ciò avvenga in una fase di ripresa e non di recessione e che, come annota l’Istat, entrambi i valori siano i più alti dal 2005, inizio delle serie storiche. Minorenni e i giovani fino ai 34 anni costituiscono quasi la metà – 2.320.000 – di tutti coloro che si trovano in povertà assoluta in Italia. È un dato ormai strutturale. In un Paese in cui ci si lamenta che non nascono abbastanza bambini, una percentuale altissima delle giovani generazioni non ha abbastanza da vivere. E se qualche giovane si azzarda a formare una famiglia prima dei 35 anni, corre seri rischi di povertà per sé e peri suoi familiari. Se a questi dati si accostano quelli sui Neet – oltre due milioni di giovani tra 15 e 29 anni che non studiano né lavorano né fanno tirocini – emerge lo spaccato di un paese che sta lasciando andare alla deriva, insieme ad una parte sostanziosa delle giovani generazioni, anche le proprie stesse risorse per il presente e il futuro.
Decreto dignità. Un’inversione di rotta rispetto al Jobs act con limiti più stringenti per i contratti a termine, multe per le aziende che vanno all’estero dopo aver preso fondi pubblici e il divieto totale di spot sul gioco d’azzardo con sanzioni fino ai 500 mila euro. Tra gli annunci che si susseguono di giorno in giorno, il primo provvedimento politico del governo di Giuseppe Conte sta prendendo forma. È il «decreto dignità», lanciato dal ministro dello Sviluppo e del Lavoro, Luigi Di Maio, che salvo sorprese dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri proprio questa sera. Tra i temi più importanti del decreto c’è il lavoro. L’ultima bozza infatti conferma la libera stipulazione del primo contratto a tempo determinato di durata fino a 12 mesi senza causali, che scattano dal primo rinnovo. Con l’indicazione delle causali, già dal primo contratto sarà possibile apporre un termine fino a 36 mesi, per esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive. Per ogni rinnovo, a partire dal secondo, si applicherà un costo contributivo crescente di 0,5 punti (la versione precedente del Dl prevedeva un aumento di 1 punto per ogni rinnovoapartire dal primo). Le proroghe scendono dalle attuali 5 a 4. Un altro tema centrale riguarda le aziende che delocalizzano. Quelle che hanno ricevuto aiuti di Stato e scelgono di andare all’estero entro dieci anni riceveranno infatti sanzioni da due a quattro volte il beneficio ricevuto. Infine dal 2019 scatterà inoltre il divieto di «qualsiasi forma di pubblicità, di sponsorizzazione o di promozione di marchi o prodotti di giochi con vincite in denaro, offerti in reti di raccolta, sia fisiche sia online», pena una sanzione da 50 mila a 500 mila euro. Gli incassi andranno al fondo per il contrasto al gioco d’azzardo patologico.