Politica interna
Trattative per il nuovo governo. La politica italiana era già abbastanza imbrogliata prima delle elezioni del 4 marzo; adesso lo è di nuovo. La destra di Salvini, Meloni e Berlusconi è certamente la più forte ma anche molto divisa, se fosse un blocco unito insieme supererebbe il 30 per cento. L’altro grande partito che da solo supera il 30 per cento è quello dei Cinque Stelle. Alla fine c’è il Partito democratico. Per ora, convenienze di partito e rigore costituzionale vanno di pari passo, nell’escludere un soccorso senza il quale nessuno può accampare diritto a governare. Il capo dello Stato non ha altro vincolo e potere che non sia l’affidamento dell’ incarico a chi non dimostri i titoli, politici e numerici, di una possibile fiducia delle camere al proprio governo. Nel frattempo il leader del M5S, Luigi Di Maio, ha (ri)preso l’iniziativa delle consultazioni «con tutti», ponendo però una condizione: «Inaccettabili candidati condannati o sotto processo…». Questa nuova condizione sulle candidature escluderebbe comunque dalla corsa per la presidenza l’azzurro Paolo Romani condannato in primo grado per peculato perché come assessore a Monza prestò il telefonino di servizio a sua figlia.
Candidatura di Torino alle Olimpiadi 2026. La sindaca ha scansato il voto di domani in Consiglio comunale, dove la sua maggioranza vacilla sotto i colpi di una pattuglia di grillini contrari senza se e senza ma alla candidatura olimpica. Lunedì scorso quattro consiglieri comunali del M5S avevano deciso di manifestare il loro no all’ipotesi di una candidatura bis di Torino ai Giochi olimpici invernali del 2026 disertando l’aula e facendo mancare per la prima volta il numero legale. La prima conseguenza di quella rottura fu la scelta di Chiara Appendino di rimandare l’invio della lettera di manifestazione di interesse al Coni. Ieri, invece, quel passo ufficiale è stato fatto, accompagnato dall’appoggio di tutto il gruppo consiliare ma rischia di essere ininfluente. Il Comitato olimpico nazionale, infatti, ha da tempo puntato le carte sulla candidatura di Milano immaginando di affidare a Torino e ad alcuni Comuni delle Valli olimpiche un ruolo visibile ma secondario.
Politica estera
Russia tra voto e crisi con GB. Alla vigilia delle elezioni di oggi la generazione Putin si presenta in ordine sparso. Qualcuno si fa comunque emozionare, altri si arrovellano nell’indecisione fino all’ultimo. Altri ancora hanno le idee ben chiare, pro o contro il sistema che sta entrando in una fase nuova oggi: inizia l’ultima parte del regno di Putin. Intanto resta lo scontro diplomatico con la Gran Bretagna: nel giorno di silenzio elettorale Mosca rilancia sull’ex spia avvelenata con il nervino. Rispondendo all’espulsione di 23 diplomatici russi che Londra ritiene agenti dei servizi, Mosca ha dato ad altrettanti funzionari britannici una settimana di tempo per lasciare il Paese, ordinando inoltre la chiusura del British Council – e quindi i contatti culturali tra i due Paesi – e ritirando il via libera all’apertura di un consolato generale britannico a San Pietroburgo. Questa è la risposta alle provocazioni venute da parte inglese e alle accuse prive di fondamento contro la Russia. Se seguiranno ulteriori azioni di natura ostile nei suoi confronti la Russia si riserva il diritto di adottare ulteriori provvedimenti.
Licenziamenti in USA. II ministro della Giustizia, Jeff Sessions, licenzia l’ex numero due dell’Fbi, Andrew McCabe, il più stretto collaboratore dell’ex direttore James Comey, cacciato nel maggio del 2017. Per Donald Trump «è un grande giorno per la democrazia». In realtà è un altro attacco all’Fbi, un atto chiaramente intimidatorio. La giustificazione ufficiale è un rapporto dell’ufficio disciplinare dell’agenzia, non ancora reso noto. McCabe è accusato di aver fatto filtrare informazioni alla stampa; di aver gestito in modo scorretto le indagini sulle email di Hillary Clinton e soprattutto di non essere stato «sincero» con la commissione di indagine interna. Ma le drammatiche modalità’ dell’uscita di scena riportano alla ribalta un altro “affaire” che scotta alla Casa Bianca, il Russiagate. È McCabe stesso a lanciare il j’accuse, insinuando che si tratta d’una vendetta politica per screditare un testimone cruciale in particolare su ipotesi di ostruzione della giustizia commesse dal presidente. Dice di esser stato «preso di mira» perché è in grado di corroborare il resoconto delle interazioni tra Trump e l’ex direttore dell’Fbi.
Economia e finanza
Economia italiana dopo il 4 marzo. Tre transizioni sono all’opera contemporaneamente. In Italia le elezioni del 4 marzo hanno messo in discussione il precedente equilibrio bipolare della seconda repubblica. In Europa il vecchio equilibrio su cui si era retto il processo di integrazione è stato messo in radicale discussione. Infine le scelte commerciali e militari della Presidenza Trump stanno scuotendo dalle fondamenta il vecchio equilibrio transatlantico. In nome del proprio interesse nazionale, quella presidenza ha introdotto misure che stanno indebolendo l’Europa, politicamente ed economicamente. Nel nostro contesto italiano, in particolare, gli ultimi dati dell’economia reale mostrano che almeno in tre regioni del Nord i livelli della produzione industriale e delle esportazioni sono in continua crescita. La Lega ha catalizzato su di sé i consensi delle piccole imprese e delle partite Iva: si allungano le catene di fornitura oltre il perimetro del vecchio distretto e un numero maggiore di Pmi ne entra a far parte guadagnandone in stabilità e longevità
I dazi USA e la web tax UE. Cè un consenso pressoché unanime, sia tra gli economisti che tra i capitani d’industria, sul fatto che i dazi sull’acciaio e l’alluminio di Donald Trump sono una cattiva idea, e che la guerra commerciale più generale che queste tariffe potrebbero scatenare rischia di essere distruttiva. Secondo il diritto commerciale statunitense, che è scritto in modo conforme ai nostri accordi internazionali, un presidente può imporre dazi sulla base di certe condizioni, rigidamente definite. Ma è evidente che i dazi sull’acciaio e sull’alluminio, giustificati sulla base di ragioni, palesemente fasulle, di sicurezza nazionale, non superano l’esame. Trump però è un vero nazionalista, lo si vede anche sulla partita della web tax: attacca gli europei e difende i suoi campioni nazionali. Non importa se Amazon, Apple, Google, Facebook e Microsoft amino appoggiare le cause progressiste, la web tax non s’ha da fare. Il messaggio arriva dalla Casa Bianca durante il summit del G20 a Buenos Aires. Sotto tiro c’è il progetto dell’Unione europea di tassare i giganti digitali..