Politica Interna
M5S e Lega: vicini all’intesa sul premier. Esulta la Lega, disponibile a un terzo nome: un burocrate di Stato o un prof universitario. Sembra proprio che a questo punto l’abbia spuntata Matteo Salvini che ai suoi a Milano comunica: «Di Maio finalmente ha mollato. Adesso aspetto che mi comunichi il nome». Dunque, Matteo Salvini ieri ha ottenuto all’unanimità il via libera del consiglio federale leghista sul contratto per il «governo del cambiamento» con il Movimento 5 Stelle. II leader leghista ha chiesto a ciascuno dei presenti di esprimersi sul lavoro fin qui svolto. Salvini non ha fatto il nome del possibile premier, ma ha osservato che il programma di governo «è quintessenzialmente leghista» e «accoglie la politica del “prima gli italiani” e il 90% delle richieste» del partito. E quindi, ai tanti che gli chiedevano di non rinunciare alla premiership ed insistere in questo senso con i 5 Stelle, lui avrebbe risposto con una metafora di navigazione: «Quando la rotta è ben definita, non è così importante chi guida». Importante è che però l’esecutivo in gestazione non sia un governo Di Maio, anche se nella Lega serpeggia ancora la preoccupazione che il Quirinale possa suggerire una soluzione più netta con il capo dei 5 Stelle alla guida. Salvini, riferisce chi gli ha parlato, avrebbe anche tratteggiato il profilo del premier di area stellata da proporre a Sergio Mattarella: quella di «una figura di alto profilo, magari un professore universitario, non organica al partito». Da questo punto di vista, l’identikit non sembra distante da quello di Andrea Roventini, indicato dai Cinque Stelle per il ministero dell’Economia, o anche da quello di Giuseppe Conte, docente di Diritto privato a Firenze e a Roma. Il Movimento, dal canto suo, non si sbilancia su Palazzo Chigi e rivendica di aver inserito nel programma di governo tutti gli impegni promessi.
Berlusconi a Salvini: «Torna nel centrodestra». Silvio Berlusconi, dopo aver a lungo mantenuto la consegna del silenzio, arriva ad Aosta per le Regionali di domenica e dice la sua in maniera esplicita sull’esperimento Di Maio-Salvini. Un intervento che ruota su due cardini – la delusione e la distanza – fa chiarezza sulla sua posizione e fa alzare la tensione con l’alleato leghista nel momento in cui la chiusura del «contratto» è ormai vicina. “Nell’ultima telefonata fatta a Salvini gli ho consigliato di tornare a casa. Salvini non ha mai parlato a nome della coalizione, ha sempre soltanto parlato a nome proprio e della Lega. La coalizione con un programma comune è assolutamente un’altra cosa e non ha nulla a che vedere con il Movimento Cinquestelle. In questo momento rispetto a quel tavolo c’è molta distanza”. Berlusconi fa una previsione non esattamente ottimistica sulla durata dell’esecutivo giallo-verde: «Credo che questo governo si farà. Ma se si farà non avrà modo di avere grandi successi e quindi immagino che a breve andremo di nuovo a elezioni. Siamo qui per prepararci a quello». Di fronte allo stallo per l’individuazione del premier, Berlusconi rilancia la sua candidatura per un governo di centrodestra «puro». Ma l’idea che Salvini possa accettare l’invito di Berlusconi a «tornare indietro» per «tornare al voto insieme», e diventare così premier del centrodestra dopo la vittoria, confligge con il progetto del segretario leghista che non crede più né alla coalizione né alle promesse. Salvini nel giro di due anni mira a intestarsi il superamento del berlusconismo e pareggiare nei consensi il movimento grillino. E Giorgia Meloni sceglie una diretta su Facebook per fare chiarezza sulla posizione di Fratelli d’Italia sulla autocandidatura di Silvio Berlusconi come premier di un eventuale governo affidato alla coalizione di centrodestra. «Berlusconi di nuovo alla presidenza del consiglio? Diciamo che andrebbe bene un po’ di ricambio», rivendicando comunque la coerenza con quanto promesso in campagna elettorale.
Politica Estera
Merkel e Putin contro Trump: «Lotteremo per Nord Stream 2». Fino a poche settimane fa, l’agenda del primo incontro in Russia tra Angela Merkel e Vladimir Putin non era promettente. Avrebbe solo dovuto dimostrare che il dialogo era ancora aperto nonostante le tensioni. Ieri invece la cancelliera tedesca e il presidente russo, sembravano più vicini che mai. I due leader vogliono difendere l’accordo sul nucleare iraniano abbandonato unilateralmente da Washington e proteggere dalla minaccia di sanzioni statunitensi il nuovo gasdotto “Nord Stream 2” che porterà il gas russo in Germania, aggirando l’Ucraina e passando per il Mar Baltico. A rendere possibile un allineamento che sembrava impensabile è stato Donald Trump. L’amministrazione statunitense ha minacciato sanzioni contro le compagnie che lavoreranno al gasdotto. Non solo: secondo il Wall Street Journal, in aprile il presidente avrebbe lanciato alla Germania un ultimatum: abbandoni il progetto e, in cambio, negozieremo un accordo commerciale con l’Ue. Washington adduce molteplici ragioni contro “Nord Stream 2”. Di sicurezza: il timore che Mosca possa installare apparecchiature di sorveglianza nel Mar Baltico. E diplomatiche: l’aumento della dipendenza energetica dell’Ue dal gas russo e l’Ucraina privata dei futuri oneri di transito. In realtà in gioco vi è anche la possibilità che gli Stati Uniti forniscano gas naturale liquefatto all’Europa scalzando di fatto la Russia. «Io capisco il presidente degli Stati Uniti – ha detto Putin in conferenza stampa -. Lui difende gli interessi del business, e vuole promuovere il suo prodotto sul mercato europeo. Noi lavoriamo dalla nostra parte. Consideriamo il progetto vantaggioso, e lotteremo per Nord Stream». Merkel, da parte sua, ha chiesto «garanzie» perché il «ruolo dell’Ucraina come Paese di transito» venga preservato.
Erdogan guida la rivolta anti-Israele. «Il mondo islamico e l’umanità intera hanno fallito l’esame su Gerusalemme». Le parole di Recep Tayyip Erdogan scuotono la galassia musulmana. Prima il Sultano arringa la folla nella piazza di Yenikapi, a Istanbul. Poi sferza i delegati dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic), riuniti in serata nella città sul Bosforo. E sono parole dure, quasi di autoaccusa verso l’articolato pianeta che raccoglie 57 Stati, da lui convocati come presidente di turno della conferenza. Ma le critiche più aspre si indirizzano infine su Israele, e anche sugli Stati Uniti che nella Città santa hanno spostato la propria ambasciata, considerandola ora una capitale indivisa. «Gerusalemme non è solo una città, ma un simbolo, la direzione della Mecca per la preghiera islamica», continua il leader turco, ricordando gli oltre sessanta manifestanti palestinesi morti a Gaza. «Dal 1947 Israele fa ciò che vuole, e oggi continua con la stessa noncuranza. Non possiamo nasconderci questa realtà. E con la decisione presa dagli Stati Uniti è stata portata una nuova minaccia a Gerusalemme. Presenteremo il caso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma ogni passo verso la giustizia si blocca per volere dell’America. Su Gaza la sola cosa che capisce un oppressore senza scrupoli è la forza. La Turchia chiede quindi che Israele sia portato davanti alla Corte internazionale per i diritti umani». E qui, il primo boato della folla. Il capo di Stato, ha voluto sottolineare con forza che essere contro il sionismo non significa essere contro gli ebrei. Ma, per il resto, il suo discorso è stato incendiario. «I sionisti che vedono i musulmani come nemici non possono esser perdonati», ha detto, sottolineando che l’Islam deve essere unito nella difesa di quella città che ora ufficialmente è la capitale dello Stato di Israele».
Economia e Finanza
Milano perde 22,5 rniliardi in cinque sedute. ll programma di governo tra Lega e Cinquestelle continua ad agitare i mercati: troppi piani da realizzare in deficit andando contro le regole europee e, gravando sui conti pubblici. Infatti il bilancio finanziario della prima settimana di prove tecniche per la formazione del “governo del cambiamento” ad opera di Lega e Movimento 5 Stelle è in profondo rosso. Gli investitori – a cui in generale non piacciono fonti di incertezza né tantomeno pulsioni anti-europeiste – sono preoccupati per la tenuta del debito italiano qualora venisse applicato alla lettera il documento programmatico di 57 pagine presentato ieri dai due partiti. Stando ai primi calcoli i costi non coperti si aggirano intorno ai 50 miliardi. Così, nel dubbio, anche ieri le vendite hanno fatto la parte del leone tanto sui titoli di Stato quanto sulle azioni. Il rendimento del BTp a 10 anni è salito al 2,22%, il top da luglio 2017. Lo spread con il Bund si è portato a 165 punti tornando sui livelli di inizio anno. Quanto alla Borsa, la capitalizzazione delle azioni quotate sul listino milanese è scesa ieri dell’1,5% e in settimana di oltre II 3%, a 652 miliardi: 22,5 miliardi in meno rispetto alla chiusura dell’11 maggio. «Il pericolo principale per le banche derivante dal programma di Lega e M5s arriva dall’allargamento dello spread sui titoli di Stato che può creare tensioni sulla raccolta e sui costi di rifinanziamento», spiegano gli analisti di Banca Akros. Uno spread più alto porta con sé una immediata perdita di valore dei Btp in pancia alle banche, soprattutto quelle italiane che ne posseggono circa 350 miliardi. L’effetto negativo sulle banche nasce paradossalmente anche da un altro punto qualificante del programma Lega-MSS: la flat tax. Questo perché l’abbattimento delle imposte impedirebbe alle banche di godere dei crediti fiscali già contabilizzati per le perdite passate.
M5S – Lega: le raccomandazioni dalla Ue. Sarà la settimana del confronto, e dello scontro, sull’economia tra Ue e Italia. Mercoledì la Commissione pubblicherà le raccomandazioni annuali per il nostro Paese. Giovedì e venerdì si terranno a Bruxelles le riunioni dei ministri finanziari dell’Unione. Con il caso Italia in primo piano: nelle Cancellerie e tra le istituzioni Ue serpeggia la preoccupazione per i programmi economici del nascituro governo giallo-verde. Oltre 100 miliardi di spesa che cozzano non solo contro le ricette Ue, ma con quello che il Paese può sopportare sui mercati senza rischiare il tracollo proprio e dell’intera zona euro. E così le raccomandazioni Ue sono destinate a innescare polemiche e scontri con il governo che verrà. Si parte da quella fiscale, che sottolineerà come il debito pubblico resti un elemento di forte rischio per la zona euro. Per questo più che a spendere si dovrebbe pensare a proseguire il consolidamento. Come? Tappando il buco nei conti 2018 di oltre 5 miliardi (0,3% del Pil) e correggendo nella manovra di ottobre il deficit 2019 di circa 10 miliardi (0,6%) a meno di non far salire l’Iva. Non tanto il classico invito ad accelerare la riduzione dei crediti deteriorati in pancia alle banche e a proseguire le riforme di pubblica amministrazione e giustizia, quanto il promemoria sull’importanza della Fornero, da non toccare per salvaguardare la tenuta del sistema pensionistico e quindi del Paese sui mercati. Ma al di là delle modifiche di sostanza restano due numeri complicati da mettere in fila se le prove di alleanza supereranno anche il test dei gazebo e soprattutto la prova del Quirinale. Sono le cifre del deficit, che resta la chiave di volta per il programma economico e per il suo impatto sulla dinamica del debito, e quelle dei tagli di spesa, chiamati a ridurre un po’ il tratto di strada messo a carico dell’indebitamento netto. Una sfida da 50 miliardi, che non rientrano sotto l’ombrello delle ipotesi di «copertura» immaginate dal contratto e che saranno da mettere a carico in larga parte della spending review se davvero iI ricorso al deficit sarà «limitato».