Politica interna
Il Governo sfida la Ue sui migranti. Il Corriere della Sera: “Linea dura del vicepremier sul caso Diciotti, la nave italiana ferma da tre giorni nel porto di Catania con i migranti, per lo più eritrei, ancora a bordo. «L’Europa decida entro oggi – avverte Luigi Di Maio – o non verseremo a Bruxelles i 20 miliardi di contributi». Oggi infatti a Bruxelles c’è un appuntamento cruciale per gli sherpa dei governi Ue che cercano di risolvere il caso Diciotti. Ma i segnali che arrivano dalla commissione Ue e da Berlino («Non abbiamo ancora deciso») non sono incoraggianti. Se infatti la Ue non «batte un colpo», come auspicherebbe il premier Conte, e il Quirinale persevera nella sua vigile azione di attesa, il caso Diciotti rischia l’effetto boomerang per il Viminale che si troverebbe da solo in prima linea a dover fare un passo indietro. A quel punto ministro, questore, prefetto, comando generale delle capitanerie di porto dovrebbero chiarire qual è stata l’esatta catena di comando che ha provocato il «trattenimento» a bordo di 150 immigrati e 60 uomini di equipaggio”. Sempre Il Corriere della Sera intervista Salvini: «Ostaggi? Gli ostaggi sono stati gli italiani. Lo sono degli immigrati e dell’Europa, da troppo tempo. Con questo governo non lo saranno più. E’ finita un’epoca». Matteo Salvini continua a ripetere il suo no al far scendere gli immigrati dalla nave Diciotti. D.: Ministro, che vuol fare? Come se ne esce? R.: «Con un bell’aereo che arriva da una delle capitali europee all’aeroporto di Catania. Gli europei dimostreranno il loro cuore grande caricando tutti gli aspiranti profughi. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta con i giovani». D.: Oggi l’Europa si riunirà sul tema. Cosa direte? R.: «L’Europa deve sapere che il governo italiano è irritato. Basta con parole tante e risultati pochi. L’Ue si era impegnata a prendere 35mila immigrati: si sono fermati a 12 mila. Se la serietà è questa, non ci si può stupire che noi abbiamo deciso un punto fermo. Con le Ong ci siamo riusciti, ora dobbiamo costringere l’Ue a farsi carico di ciò che le spetta». «L’Italia è contribuente dell’Europa per circa 6 miliardi l’anno. Ne abbiamo in cambio problemi su pesca, agricoltura, turismo, commercio, banche…». D.: L’Italia taglierà i contributi all’Unione? R.: «Stiamo entrando nella discussione sul bilancio, in cui le decisioni richiedono unanimità. Per noi, l’unanimità Bruxelles non la vedrà neanche col binocolo. E non siamo gli unici» e «alla faccia del Pd, non siamo certo soli. La maggior parte dei Paesi pretende lo stop all’immigrazione. A metà settembre ci sarà la riunione dei ministri dell’Interno europei, e lì lo si vedrà. Io, nei prossimi giorni, incontrerò Viktor Orbán a Milano». Tajani sul Messaggero: «Mi auguro sia una battuta, non può esserci una rincorsa al consenso tra Di Maio e Salvini sulla pelle della credibilità italiana. Bloccare i fondi per il bilancio vuol dire bloccare anche i fondi strutturali per il Sud per l’agricoltura o i prestiti alle imprese. Piuttosto nei negoziati in corso sul budget della Commissione bisogna essere duri coi Paesi di Visegrad che non vogliono profughi. Le minacce servono ad avere qualche titolo sui giornali, non risultati concreti. E poi non sono Salvini e Di Maio a trattare nel Consiglio europeo, ma il premier Conte. Non si capisce quale sia la linea del governo. Presidente della Camera, ministro dell’Interno e premier dicono ognuno una cosa diversa».
Pd. Maurizio Martina, segretario del Pd, oggi apre la festa nazionale dell’Unità a Ravenna. Obiettivo: «Colmare la distanza con le persone» e ripartire dopo i fischi di Genova. Tour delle periferie, i viaggi a Catania e Genova e oggi alla festa dell’Unità di Ravenna … Dall’intervista al Giorno – Carlino – Nazione: «La distanza si colma tornando tra i bisogni delle persone. Ieri sono stato ancora a Genova nel quartiere Certosa colpito dal crollo e ho incontrato i residenti ascoltando le loro necessità e provando a dare una mano. Occorre fare così ovunque, giorno per giorno». A Ravenna ci sarà anche un confronto Delrio-Fico. Martina: «II presidente Fico è la terza carica dello Stato e come tale viene invitato a un confronto sull’Italia. A noi interessa confrontarci nel merito delle grandi questioni che ha di fronte il Paese anche perché chi ha paura del confronto dimostra di essere solo debole». Tra gli ospiti ci sono anche gli ex amici di Leu: correrete uniti alle prossime Regionali?, è la domanda. R.: «Alle Regionali occorre lavorare a un centrosinistra largo e unitario. Alle Europee, con legge proporzionale, il Pd si prepara con le proprie energie aprendosi e rinnovandosi per dare forza proprio alla proposta alternativa di chi vuole distruggere l’Europa». Repubblica invece intervista Calenda: «Non è dal Pd fischiato a Genova che i dem devono ripartire ma dalla rifondazione di un progetto ideale solido e organico per i progressisti e dalle persone, allargando anche agli elettori moderati che non si riconoscono nel progetto di democrazia illiberale di Salvini e di Di Maio. Per questo occorre andare oltre il Pd». Carlo Calenda, l’ex ministro dello Sviluppo economico, attaccato su Ilva dal vicepremier e suo successore al ministero Luigi Di Maio, contrattacca («Di Maio ha messo su un circo») e propone una strategia per il centrosinistra. D.: Calenda, davvero nel Pd si riconoscono sempre meno persone? R.: «Penso che purtroppo sia così». D.: La colpa? R.: «È frutto di errori fatti, pur avendo secondo me governato bene. Ma siamo rimasti legati alla retorica progressista degli anni Novanta. Ottimistica. Abbiamo dato la sensazione di stare dalla parte dei vincenti, alienandoci un pezzo di Paese». D.: II segretario del Pd, Maurizio Martina, dice che bisogna ripartire proprio dai fischi che ai funerali delle vittime del crollo del ponte sul Polcevera a Genova sono stati indirizzati ai dem. È d’accordo? R: «lo dico di no. In Italia il passato e chi ne ha fatto parte è sempre colpevole, a prescindere. Non è un tratto positivo del Paese». «Il nuovo è accolto con entusiasmo. Per alcuni mesi. È successo con Berlusconi e con Renzi. Il Pd deve ripartire dalle idee: dalla fondazione di un nuovo pensiero progressista». Si segnala infine Il Corriere sullo scontro Fico-Salvini. Movimento spaccato. Mentre Di Maio preferisce rilanciare la sfida all’Europa con Danilo Toninelli, «fisso al telefono» dalla Costa Azzurra ma non sul numero di Fico, la ministra Lezzi lo difende: la Lega non dia lezioni alla terza carica dello Stato.
Economia e finanza
Ponte di Genova. Repubblica riferisce che “la Commissione ispettiva del Mit finisce nella bufera. Un suo componente, l’ingegnere genovese Antonio Brencich, si dimette per ragioni di opportunità e per la stessa ragione il ministero revoca l’incarico di presidente all’architetto Roberto Ferrazza, provveditore di Piemonte e Liguria, nominando al suo posto Alfredo Principio Mortillaro, dirigente ministeriale. Si apprende inoltre che Autostrade aveva chiesto uno studio due settimane prima del crollo. Al momento non ci sono ancora indagati ma è in fase di compilazione un primo elenco in vista dell’incidente probatorio. Ieri in procura è stata depositata la prima costituzione di parenti delle vittime. Complessivamente saranno oltre cento le parti offese. Da segnalare le ricerche di una trentina di bombole di acetilene che si trovavano in un cantiere sul viadotto. I consulenti della procura hanno definito come anomale le modalità del crollo e ritengono come più probabile un cedimento strutturale, in particolare degli stralli, ma l’ipotesi di un’esplosione innescata da un fulmine non sarà del tutto esclusa fino a quando non verranno ritrovate le bombole”. Il Sole 24 Ore parla di “un’associazione temporanea di imprese, con Fincantieri e magari altre controllate di Cassa depositi e prestiti che affianchino Autostrade. È questa la soluzione su cui punta il governo per la ricostruzione del viadotto sul Polcevera, dopo il crollo del ponte Morandi. E dovrebbe essere il decreto legge su Genova – quel provvedimento “speciale” invocato da Regione, Comune e imprese per accelerare i tempi dei lavori – a consentirlo. Attribuendo al commissario straordinario ad hoc (che sarà nominato a breve, come annunciato dal premier Giuseppe Conte), il potere di affidare i cantieri a un’Ati, secondo criteri ben precisi. «La partecipazione di Fincantieri sarebbe garanzia di terzietà nella ricostruzione», spiegano fonti qualificate dell’esecutivo, oltre a «marcare il ruolo di Cdp come guida dello sviluppo industriale del Paese». Al testo, che potrebbe arrivare in Consiglio dei ministri la prossima settimana, si lavora a Palazzo Chigi, in stretta collaborazione con i tecnici del Mef, delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico”. Sempre Il Sole segnala: “Boccia: nazionalizzare è un errore, tempi certi per fine dell’emergenza. «Un’eventuale legge per la nazionalizzazione delle autostrade o per l’annullamento della concessione sarebbe un grave errore». Lo dice Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, oggi ospite del Meeting di Rimini. Boccia evidenzia poi i pericoli che le incertezze sul ripristino delle condizioni di agibilità possono avere sulle aziende genovesi, mettendole a rischio. È necessario uscire presto dall’emergenza”.
Ilva. Il Sole 24 Ore: “La gara per l’llva di Taranto «è illegittima ma non si può annullare». Per questo è un «delitto perfetto» messo in atto dal precedente governo «con eccesso di potere». Così il vicepremier ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, sulla questione dell’Ilva dopo il parere espresso dall’Avvocatura dello Stato, che ha rilevato forti criticità nella procedura di assegnazione del complesso siderurgico al gruppo ArcelorMittal. Il parere dell’Avvocatura, tuttavia, non è stato reso pubblico da Di Maio. E nonostante i vizi e le pesanti criticità che, secondo il ministro, condizionerebbero la gara, ArcelorMittal resta l’opzione numero uno, forse l’unica, per il futuro dello stabilimento pugliese”. Repubblica: “Una procedura illegittima ma non annullabile: il ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, fa un passo indietro sull’Ilva, e denuncia, tra le contestazioni delle controparti politiche e dei sindacati, il «delitto perfetto», che lega le mani al governo. Il parere dell’avvocatura dello Stato, spiega Di Maio in conferenza stampa, conferma le conclusioni dell’Anac: quella che ha assegnato l’Ilva ad Arcelor Mittal è una «gara sicuramente fatta male», viziata innanzitutto da una grave lesione del diritto di concorrenza. Ma l’illegittimità non basta per l’annullamento, occorre infatti anche un altro requisito, spiega: la «tutela dell’interesse pubblico concreto e attuale». «Se oggi, dopo due anni e 8 mesi, esistessero aziende che ci dicono “vogliamo partecipare alla gara”, noi potremmo revocare questa procedura per motivi di opportunità», indennizzando però «il privato che aveva vinto». Un costo che non ha senso addossare allo Stato, dal momento che, riconosce Di Maio, «oggi non abbiamo aziende che vogliono partecipare». Un ragionamento che non convince nessuno, a cominciare dall’ex titolare del Mise, Carlo Calenda: «Se la gara è viziata annullala. – twitta – “Potremmo se ci fosse qualcuno interessato” e le altre fesserie del genere che ci stai propinando da mesi, dimostrano solo confusione e dilettantismo». Sconcertati anche i sindacati”. La Stampa oggi riporta: la Bei è pronta a valutare il finanziamento sino a metà del piano di rilancio industriale e ambientale dell’Ilva. «Dobbiamo prima attendere di vedere come va a finire la questione della proprietà», precisa Dario Scannapieco, che della Banca europea degli investimenti è vicepresidente. «Quando ci sarà chiarezza – insiste -, siamo disponibili a sederci con gli amministratori e vedere che si può fare». Certo «ora non ci sono contatti, il quadro è incerto, e non è il momento». Però, assicura il banchiere romano, «la Bei ci sarà, perché l’Ilva è il secondo datore di lavoro del Sud dopo lo Stato e la nostra istituzione è nata pensando al Mezzogiorno: per ragioni etiche, morali e storiche non possiamo mancare la partita».
Politica estera
Trump: “Se cado io, crollano i mercati”. La Stampa: «Il mio impeachment farebbe crollare imercati». Il presidente Trump lancia la sua controffensiva sui casi Cohen e Manafort, quasi sfidando i democratici a cercare di incriminarlo, nella convinzione che questa minaccia di instabilità mobiliterebbe non solo la sua base alle elezioni midterm di novembre, ma forse anche diversi elettori indipendenti che guadagnano col boom dell’economia. Il problema, però, è che le inchieste sono aperte, il suo ex avvocato ha promesso nuove rivelazioni, e il quadro giuridico per il capo della Casa Bianca potrebbe peggiorare. “Pensa alla grazia per Manafort”, si legge. E in questa dinamica s’inserisce anche David Pecker, editore del National Enquirer, che, secondo una ricostruzione degli investigatori, ha pagato la storia dell’ex modella di Playboy Karen McDougal, per poi non pubblicarla. Ad ogni modo la strategia del capo della Casa Bianca è chiara. Primo, minimizzare i reati, che almeno nella forma attuale sarebbero difficili da provare nel processo, perché si dovrebbe dimostrare che lui aveva ordinato di pagare le due donne con finanziamenti elettorali per influenzare l’esito delle presidenziali del 2016. Probabilmente è vero, ma complicato da provare. Secondo, demolire la credibilità di Cohen, il suo accusatore oggi più pericoloso. “Basta”, con questa parola che gli ha inculcato da bambino la nonna italiana, Michael Avenatti, 47 anni, avvocato della pornostar Stormy Daniels, lancia la sfida a Trump. E non solo nelle aule di giustizia. «Correre per la presidenza? Certo — ammette il legale che ha lavorato anche nello staff di Obama — ci sto pensando seriamente». Oggi la sua intervista al Corriere.
Caso Diciotti e Libia. Oggi su La Verità parla Massimo Kothmeir, il comandante della barca delle polemiche: «A bordo non avevamo bambini. Non c’è emergenza sanitaria, la situazione è più che soddisfacente, i migranti mangiano, stanno bene. E non hanno la sensazione di essere sequestrati dal governo». «Abbiamo spiegato loro che la loro vicenda è legata anche a una situazione politica di tipo internazionale che avrebbe comportato anche una più lunga permanenza a bordo. A me hanno restituito una sensazione di totale comprensione». «La vita altrui non vale più niente e non c’è più politica ma solo le dichiarazioni di Salvini, da bullo di periferia, non certo da ministro». Emma Bonino pensa a soluzioni europee ma, dice a Repubblica, «i nostri partner europei ci guardano allibiti: una nave italiana in un porto italiano è bloccata da un ministro italiano secondo il quale i migranti a bordo sono tutti illegali – ma chi gliel’ha detto? – e che si inventa il modello australiano di respingimento». D.: Bonino, c’è stato un sequestro di persone sulla nave Diciotti? R.: «Lo appurerà la magistratura. Da cittadina provo un senso di profondissima indignazione. Questa situazione è un groviglio di fili, nessuno dignitoso». L’iniziativa: «So che si sta studiando una denuncia alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che già ci ha condannato sui respingimenti collettivi. Ricordo che la maggioranza dei migranti della Diciotti sono eritrei, quindi fuggono da una dittatura, e si è venuti meno alla convenzione sui rifugiati». Sul rilascio dei minori bloccati: «Quei ragazzi dovevano essere inseriti in strutture idonee secondo la legislazione europea ed italiana». Su Avvenire parla Caterina Ajello, procuratore dei minori di Catania.
Dossier libico. Oggi sulla Stampa il rebus nomine: “Si profilano diversi avvicendamenti nelle figure chiave che finora hanno gestito il dossier libico. Un giro completo di valzer tra uomini dell’intelligence e della diplomazia italiana. Prima mossa del premier Giuseppe Conte, che ha coinvolto i ministri interessati, è un nuovo assetto dei servizi segreti. Si profila la nomina di un nuovo direttore dei Dis, il Dipartimento che sovrintende il comparto dell’intelligence: esce di scena il prefetto Alessandro Pansa, prorogato nel marzo scorso per un anno, ma già in età di pensionamento; al suo posto si fanno più ipotesi, ma la più accreditata vede in arrivo l’attuale segretario generale della Farnesina, l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, dama di ferro del ministero degli Esteri, giro di perle e determinazione massima. La Belloni è benvista al Quirinale e nei più diversi ambienti della politica. Cambi in vista anche alla guida dell’Aise, l’agenzia che cura l’intelligence all’estero. È in uscita il generale Alberto Manenti, anche lui prorogato per un anno dal governo Gentiloni, anche lui in età da pensione. Nulla di personale, si dice. Fisiologico avvicendamento. È un fatto, però, che tra Salvini e Manenti non ci sia feeling. Ebbene, per l’incarico di Manenti ci sono diversi aspiranti, a cominciare dai suoi vice Gianni Caravelli, Giuseppe Caputo, Carmine Masiello. Il primo è il più accreditato. L’ambasciatore, infine. A reggere la sede di Tripoli c’è l’ottimo Giuseppe Perrone. E tuttavia qualcosa negli ultimi tempi si è inceppato se il generale Haftar ha diramato il 1° agosto scorso una pesante nota ufficiale per dichiararlo «persona non grata»”.