Politica Interna
Il ballotaggio nei Comuni: i risultati Affluenza in caduta libera (dal 60,4% del primo turno al 47,6%), vince il centrodestra in tutta Italia, il M5s segna due punti a Imola e a d Avellino ma non convince, il Pd crolla in tutte le roccaforti rosse a partire da Siena, Pisa, Massa e Terni. Tutto sommato, dunque, tiene l’alleanza giallo verde di governo. Nella coalizione di centro destra si fanno già nuovi conti tra voti che separano la Lega da Forza Italia mentre nel Pd si avvicina sempre di più la resa dei conti per un partito sull’orlo del baratro. Le sfide tra il centrodestra e il centrosinistra sono state combattute fino all’ultimo voto, con gli elettori Cinque Stelle che, in molti casi, hanno fatto la differenza nei 75 ballottaggi celebrati nell’ultima domenica di giugno. Il M5S vince con la sinistra (ad Imola e ad Avellino) ma perde tutti i confronti con il centrodestra a partire da Terni e da Ragusa. «Davide ha di nuovo battuto Golia», ha commentato Luigi Di Maio, mentre Matteo Salvini parla di «storiche vittorie della Lega». Il dato saliente è quello della Toscana, dove il Pd sta per essere sconfitto nella lotta per la sopravvivenza. Perdere Pisa rappresenta un grande problema, la caduta di Massa è dura. Ma perdere Siena è ben peggio. È un colpo esiziale. E non solo perché la roccaforte rossa toscana per antonomasia ha una valenza politica per il Pd pari a quella di Bologna. C’è di più: il centrodestra infatti ha già conquistato sia Grosseto che Arezzo: con Siena diventa maggioranza in tutta la Toscana del Sud. Mettendo così una bella ipoteca sulle future elezioni regionali. Il Carroccio potrebbe trascinare il centrodestra alla conquista della Toscana nel 2020. E poi c’è Firenze, che preoccupa tutti. Lì si andrà a votare l’anno prossimo la situazione è più che mai incerta.
Il ballotaggio nei Comuni: i commenti Scrive massimo franco sul Corriere della sera che “forse è prematuro parlare di tendenza generale. Ma sembra cominciato lo sfondamento del centrodestra a guida leghista nell’elettorato tradizionale del Pd. La caduta di città identificate per decenni con la sinistra di governo come Siena, Pisa e Massa, oltre a Ivrea e Terni, con il partito di Matteo Salvini ancora in netta ascesa, è un simbolo potente. I risultati confermano uno spostamento a destra dell’elettorato; e una capacità di resistenza del Pd che si esprime soprattutto con la vittoria a Ancona: troppo poco, per velare i contorni dell’ennesima sconfitta”. Il Movimento 5 Stelle, da parte sua, “perde Ragusa, che aveva un sindaco grillino, a favore del centrodestra: a conferma che sul piano locale il M55 non è quella macchina «pigliatutto» rivelatasi i14 marzo; e che i consensi vanno e vengono con grande rapidità. Dai primi dati si ha la sensazione che tra i 2 milioni 800 mila elettori di ieri, la «diarchia» contrattuale tra M55 e Lega abbia cercato una replica anche sul piano locale: seppure con effetti controversi. I due elettorati tendono a sostenersi o comunque a non combattersi. Ma, se si tratta di un patto tacito, va a vantaggio della Lega. Salvini riceve l’ennesima conferma di avere il vento in poppa; e di accentuare un ruolo di traino e di guida rispetto a Forza Italia e Fratelli d’Italia”. Per Stefano Folli, su Repubblica, l’esito elettorale ha definitivamente affossato “la speranza, coltivata da certi settori del Pd, di un rovesciamento delle alleanze parlamentari. Un’operazione trasformista in grande stile che dovrebbe spingere i Cinque Stelle, o la maggior parte di essi, ad abbandonare l’intesa di governo con il destrorso Salvini per cercare riparo in un accordo con il centrosinistra […] […] È possibile, beninteso, che l’attuale maggioranza non regga. Ma in quel caso Salvini sembra in grado di trascinare a destra una discreta porzione di elettori a Cinque Stelle, insieme a un segmento significativo dei gruppi parlamentari. E allora, anche ammesso che esista l’intenzione di andare fino in fondo, il cambio delle alleanze sarebbe di ardua realizzazione perché un patto fra il Pd e un M5S allo sbando avrebbe voti insufficienti in Parlamento”.
Politica estera
Il vertice Ue sui migranti Lo scontro Italia-Francia imbriglia l’Unione europea: nulla di fatto al mini-vertice sui migranti […] Conte ha fatto il suo esordio portando sul tavolo la proposta italiana. Un piano in dieci punti «che all’85% è composto da proposte già attuate, in corso di attuazione oppure in discussione» come hanno fatto velenosamente filtrare fonti Ue alla fine del vertice. E nel palazzo della Commissione è montata l’irritazione anche perché Palazzo Chigi ha «promosso quel piano come se fosse rivoluzionario, con un chiaro tentativo di orientare il dibattito», cosa che non è avvenuta. «Non c’è un piano particolare di questo o quel Paese» ha replicato seccamente Macron,aggiungendo che «alcune proposte hanno dettagliato delle cose che sono state fatte dal 2015»”. Il punto di maggiore attrito è stata la proposta italiana “che prevede la ridistribuzione automatica di tutti i migranti che arrivano sulle coste italiane: chi ha diritto all’asilo, ma anche chi non ce l’ha. Una volta sbarcati, dovrebbero essere messi sugli aerei e ripartiti tra gli altri Stati Ue. Soltanto a quel punto andrebbe fatto lo screening per capire chi ha diritto alla protezione e chi no. Molto difficile che i partner accettino, viste le difficoltà a ridistribuire anche solo i richiedenti asilo. Ma la cancelliera tedesca Angela Merkel ha voluto dare una lettura positiva delle discussioni a Bruxelles su un tema così conflittuale, sostenendo di aver visto «molta buona volontà» nel confrontare le varie proposte. Ha ribadito che i Paesi più sotto pressione (come Italia e Grecia) non debbono essere «lasciati soli». E ha fatto capire di voler concordare nel summit sempre a Bruxelles un «comune piano d’azione», anche se limitato ai capi di Stato e di governo dei willigen (volenterosi, in tedesco): escludendo i leader dell’Ungheria e di altri Paesi dell’Est assentatisi al pre-vertice perché contrari a qualsiasi condivisione di rifugiati e migranti.
Le elezioni in Turchia La sconfitta è amarissima per l’opposizione turca. Il piano del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che aveva convocato elezioni anticipate per assumere poteri visti raramente in uno Stato democratico, è riuscito. Nonostante la caduta della lira e l’inflazione galoppante, i turchi hanno scelto ancora una volta lui. Dei 59 milioni di cittadini chiamati alle urne ha votato quasi l’87%, un’affluenza altissima anche per la Turchia. All’uomo che governa il Paese da 16 anni è andato più del 52% dei voti. II suo principale rivale, il socialdemocratico Muharrem Ince ha superato il 30%: un buon risultato ma non ancora sufficiente. Tre fattori hanno contribuito a un trionfo che si è manifestato come tale fin dal primo Recep Tayyip Erdogan.Il Sultano sa entrare in contatto diretto con l’uomo della strada a cui si rivolge, e al quale negli anni ha promesso e assicurato casa, lavoro, sanità, istruzione. Glielo sa comunicare con chiarezza, attraverso una retorica invidiabile agli altri candidati, e alla forza dei canali mediatici ormai quasi tutti nelle sue mani, radio, televisioni, giornali, agenzie di stampa. Infine la sua consumata abilità politica (vedi l’astuta alleanza con i Lupi grigi, che l’ha salvato), ha ottenuto un risultato insperato. Vincendo la doppia sfida elettorale Erdogan ha ora in mano poteri larghissimi, attributi dal nuovo sistema presidenziale. Per lui si profila un mandato di cinque anni con supremazie quasi assolute, sebbene in un Paese sempre spaccato.Niente più primo ministro. Parlamento sotto controllo diretto. Giudici chiamati nominalmente dal capo dello Stato. Con queste prerogative, il presidente metterà sotto controllo le politiche della Banca centrale, pur rischiando il braccio di ferro con i mercati. Il bando di prova sarà la crisi dell’economia, con il crollo della lira turca che negli ultimi due mesi ha perso il 20%
Economia e finanza
L’Italia e il debito pubblico Il rischio di una fuga dei capitali internazionali dai titoli del debito pubblico italiano è stata di recente autorevolmente evocata dall’amministratore delegato di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, che nei giorni scorsi, alla platea dell’Economic Club di New York, ha detto due cose molto chiare. Cioè di credere che il «rischio rappresentato dai debiti sovrani abbia sostituito quello dell’indebitamento delle banche come principale fattore di instabilità» e che «l’Italia costituisca la minaccia più urgente».Per ripristinare la fiducia dei mercati nei confronti dell’Italia, dopo le rassicurazioni del ministro Giovanni Tria, sarà la manovra di bilancio di settembre lo spartiacque per capire le reali intenzioni di governo e quindi orientare gli investimenti. «Se farete un Def serio, torniamo a investire», è la sintesi di un pensiero piuttosto diffuso all’estero secondo le parole di Davide Serra; diversi investitori fanno notare che un’Italia che presentasse una manovra d’autunno con una spesa sostenuta da ulteriore indebitamento difficilmente potrebbe reggere la pressione dei mercati.Il quadro internazionale si fa sempre più difficile , per il rallentamento della crescita e la fine del Quantitative easing. Ma per l’Italia, si prospetta una minaccia in più: la stretta sulla governance dell’euro imposta da Francia e Germania. Il duo Merkel-Macron sta sponsopzzando la creazione di un Fondo monetario europeo al posto del vecchio Esm, che se da un lato garantirebbe un paracadute in casi estremi dall’altro accentua le differenze di risk premium fra Paesi core e periferici perché presuppone una condizionalità a qualsiasi intervento e comunque incalza sui controlli a carico del Sud. Insomma, siamo sempre più sorvegliati speciali quale onere del maxi-debito pubblico.