Politica interna
Decreto sicurezza. Alla fine è passato. Dopo giorni di dubbi sulla costituzionalità, contrasti sotterranei e progressive limature, il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto Salvini su sicurezza e immigrazione all’unanimità. Cosa che il vicepremier Matteo Salvini porta a riprova della «inesistenza delle polemiche che abbiamo letto sui giornali». «Si tratta del decreto legge più condiviso, più modificato, più aggiornato nella storia almeno di questo governo», specifica. Ma si affretta a sottolineare che «il testo non è blindato» e in Parlamento «potranno esserci modifiche importanti». Addio al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, salvo poche eccezioni: dopo lo stop della settimana scorsa, i Cinque stelle si piegano alla ragion di governo e al diktat dell’alleato, gli concedono la bandiera elettorale per la lunga campagna per le Europee. Bruxelles fa sapere che verificherà la compatibilità con le regole europee. I vescovi: “La politica non strumentalizzi le paure”.
Ponte di Genova. «Dai miei uffici è tutta una fumata bianca» ironizzava ieri il presidente Giuseppe Conte, per dire che il suo governo rispetta i tempi e sforna provvedimenti. In realtà il decreto «Disposizioni urgenti per la città di Genova», atteso con ansia dai cittadini del capoluogo ligure devastato dal crollo del ponte Morandi, è diventato un caso. A dispetto delle rassicurazioni del premier e dei suoi vice, il Quirinale lo ha atteso invano per tutto il fine settimana e ieri il presidente Mattarella ha ascoltato le richieste d’aiuto dei genovesi con le opposizioni che, a distanza, tuonavano contro il «decreto fantasma». L’ipotesi che più circola in queste ore nel governo è che a concorrere per l’edificazione dell’opera possa essere un “raggruppamento temporaneo di imprese” composto da due soggetti pubblici — Fincantieri e Italferr — e un soggetto privato. Il problema, però, è che questa procedura rischia di incorrere in una sfilza di ricorsi di aziende escluse dalla competizione. Ricorsi al Tar, innanzitutto. E presso la Commissione europea, per violazione dei codici degli appalti. È questa la ragione principale che paralizza ancora l’esecutivo.
Economia e finanza
Manovra. Sono ore di febbrili negoziati per elaborare entro la settimana la nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) che prelude alla legge di bilancio. La cronaca però è catalizzata da una novità che accade lontano da Roma. In Francia il governo conferma il taglio delle tasse pari a 24,8 miliardi di euro, una misura, voluta da Emmanuel Macron per dare una spinta all’economia, finanziata con l’aumento del rapporto tra il deficit e il Pil, dal 2,6 al 2,8%. Una mossa che presta a Di Maio la sponda per la strategia dei prossimi giorni. Il vice premier e ministro dello Sviluppo Economico parla di infatti di «manovra del popolo» che «aiuta gli ultimi e fa la guerra al potenti». Dopo il pressing di Lega e 5 stelle, il ministro dell’Economia avrebbe fatto qualche timida apertura sul numero del rapporto deficit/Pil da inserire nella Nota e nella manovra. L’1,6 è la cifra base. Il Tesoro pensa che si potrebbe sfiorare il 2, soglia psicologica per la maggioranza gialloverde e soprattutto per Di Maio, solo a una condizione: usare lo scostamento in favore degli investimenti. «Auspichiamo di non esagerare con il ricorso al deficit, perché significa più debito pubblico per il paese», ha detto il presidente di Confindustria.
Draghi sull’Italia. Mario Draghi ha risposto ieri con fermezza ad alcuni europarlamentari tedeschi che in audizione a Bruxelles hanno accusato la Bce di aver fatto favori all’Italia e di aver invece danneggiato la Germania e Deutsche Bank con la politica monetaria. Il presidente della Bce non ha commentato casi specifici, ma ha ricordato che le banche europee hanno «problemi ereditati dalla crisi», aggiungendo che in alcuni casi si tratta dei crediti deteriorati, ma in altri dei «titoli illiquidi di livello 2 e 3, le cui svalutazioni sono estremamente importanti». Entrambi i problemi vanno risolti per vedere ulteriori progressi nell’Unione bancaria. In un momento di nervosismo nella maggioranza che sostiene il governo Conte quanto alla prossima Finanziaria, Draghi ha espresso nuovamente la propria preoccupazione per un dibattito che ha un impatto notevole sui mercati finanziari e quindi sul costo del debito per imprese e famiglie. «Non sono solo i tassi del credito bancario ad essere aumentati – ha spiegato – ma sono diventate più esigenti le condizioni relative alle garanzie e alle clausole contrattuali. Questa è la situazione. Mentre le imprese degli altri paesi continuano a pagare tassi che erano quelli di prima, forse anche più bassi».
Politica estera
Brexit. Un secondo referendum su Brexit potrebbe diventare realtà sei delegati al Congresso annuale del partito laburista in corso a Liverpool si schiereranno a favore. È previsto per oggi il voto sulla seguente mozione: «Se non potremo ottenere elezioni anticipate, il Labour deve sostenere tutte le altre opzioni possibili, compresa una campagna per un voto popolare». Ci si muove per piccoli passi, nel Labour che vive e sopravvive di ambiguità, e quindi ieri c’era, tra i “remainers” chi festeggiava – finalmente ci stanno ascoltando! – e chi si disperava: non ci sarà una campagna laburista contro la Brexit. I disperati hanno avuto di che disperarsi ulteriormente quando il cancelliere ombra John McDonnell, nella sua giornata sulle televisioni e sul podio da rivoluzionario in capo, ha detto: non vogliamo chiedere agli inglesi se oggi, dopo venti mesi di negoziati con Bruxelles, vogliono rimanere in Europa. Potremmo semmai chiedere agli inglesi se l’accordo eventuale sulla Brexit è buono, o se ne vogliono uno nuovo, negoziato dal Labour.
Trump difende il suo giudice. La nomina di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema si complica con nuove accuse di comportamenti sessuali inappropriati. Ma la seduta di conferma del giudice davanti alla Commissione Giustizia del Senato resta prevista per giovedì: finora i repubblicani hanno rifiutato di rimandarla come chiedono i democratici. Le accuse riguardano gli anni Ottanta, quando Kavanaugh frequentava le superiori e l’università. Il giudice ha smentito tutte le accuse («Calunnie grottesche e grossolane»): non si lascerà «intimidire», non si ritirerà. Il presidente Donald Trump ha difeso strenuamente il suo candidato definendole bugie politiche: «Sono con lui fino in fondo, le accuse dopo trent’anni sono totalmente politiche». Da giorni il presidente difende a spada tratta Kavanaugh, ma i suoi tweet compulsivi («Perché non aveva sporto denuncia?») rischiano di essere un boomerang. A sei settimane dalle elezioni di mid-term occorre stare molto attenti. Soprattutto perché nell’anno del #MeToo nessuno può avere la certezza di farla franca.