di CLAUDIO D’AQUINO
Il 2015 si è aperto con due manifestazioni di “popolo”, entrambe di estremo valore simbolico. Hanno posto (a Parigi) un sigillo toccante su fatti molto tragici e inquietanti per l’intera Europa e il mondo occidentale e sulla commovente dipartita di Pino Daniele (Napoli), l’artista che più di ogni altro, negli ultimi anni, ha dato voce all’anima della sua città.
A Parigi cinquanta capi di Stato, non solo europei, hanno aperto il corteo dei due milioni di persone che hanno sfilato per dire al mondo: “Nous sommes Charlie”. La Merkel alla sinistra di Hollande, Abu Mazen fianco a fianco con Netanyahu. E come sempre in situazioni del genere, il significato di simili manifestazioni, la lettura che se ne può trarre è a più livelli. Parigi dice no all’integralismo islamico, no al terrorismo di qualsiasi marca, ma dal momento che a questa vox populi si unisce la presenza di capi di Stato e di governo, sembra che tutto lasci intendere che forse questo giorno segna anche l’atto di nascita degli Stati Uniti d’Europa o l’esordio di fatto dell’Europa dei popoli. Staremo a vedere.
Che cosa è successo a Napoli invece? Centomila persone si sono radunate – non una, ma due volte – in piazza del Plebiscito, il luogo di raccolta per eccellenza delle adunate oceaniche in questa città. Ma si è trattato di un paio di flash mob dei quale si perdono le scaturigini. Quasi fosse sorti dal nulla. A parte questo, non compaiono in quel contesto rappresentanti delle istituzioni, con o senza fascia tricolore. E meno che mai dirigenti di partito. Probabilmente indotti a stare alla larga dalla piazza dall’episodio che ha visto Massimo D’Alema male accolto, a Roma, nei pressi della camera ardente allestita per il cantante scomparso.
Anche qui è possibile una interpretazione a più livelli? Parrebbe di sì.
La considerazione che si può fare è la seguente: tra tutti i mali che affliggono Napoli e che sono alla base della “nottata che non passa”, e del giorno che non vede mai l’alba, forse il principale è l’eterna, irrimediabile scollatura tra élite e massa. Insanabile frattura che non ha mai permesso a questa città (lo ricordava Fabrizia Ramondino nel suo libro Dadàpolis) di trovare il suo Popolo.
A Napoli lazzari e borghesi sono stati sempre corpi separati e inconciliabili della città.
Le opinioni che nascono “dal basso”, nel “basso” cominciano e finiscono.
Le opinioni nate “dall’alto”, non si ispirano e non includono mai “il basso”, ma se ne tengono a dovuta distanza (anche fisica: Chiaia, Posillipo, Capri). E queste ultime con le prime non si incrociamo e non si intrecciano, quasi viaggiassero su rette parallele che non si incontrano mai, nemmeno all’infinito.
Solo a Napoli può accadere che centomila persone in piazza non formino un popolo. Se non la domenica allo stadio. Nel catino del San Paolo per qualche ora sì. Certo anche lì ci sono debite differenze, espresse anche in termini logistici: un conto è stare in curva, altro è i distinti e le tribune numerate. Però la voce è corale e il popolo è popolo almeno per una volta. Signori e plebei a Napoli sono sono, ma solo nel gridare al mondo che “l’arbitro è cornuto…”.