In un pomeriggio, pongo delle domande alla professoressa Maria Rita Parsi sul suo ultimo libro: “Stjepan detto Jesus, il figlio”.
1)Come è sorta l’idea di questo libro?
Ho voluto affrontare le più estreme e tragiche situazioni umane ,simbolicamente cogliendo l’atroce occasione contemporanea della guerra nei Balcani: la violenza nei confronti delle donne, stuprate per operare una pulizia etnica tesa a distruggere il nemico, passando per il corpo delle donne; la solitudine dei bambini di fronte alla mancanza di amore, rispetto, autorevolezza di chi dovrebbe amarli, guidarli, educarli , prepararli ad affrontare e superare i passaggi primari e decisamente complessi del percorso della loro vita. E, ancora, per ribadire la speranza di poter trasformare anche gli eventi più traumatizzanti posti alla radice dell’esistenza di un minore ,attraverso il sostegno della collettività, il rapporto con gli anziani, l’accoglienza e le cure di persone che, pur non essendo parenti, sono compagni di strada: il dott. Subinosky, i proprietari del Ristorante degli Specchi, gli artisti del Circo della Luna, il professore omosessuale e il suo compagno.
2)Il ritorno alla narrativa, per lei, è un’emozione?
Ho impiegato dodici anni per scrivere questo romanzo. E, nonostante il centinaio di libri, prevalentemente saggi, da me scritti, anche in collaborazione con colleghi ed esperti, già a partire dal 1976, ognuno dei miei cinque romanzi ha costituito, per me, un’esperienza emotiva unica e radicante. Considero “Stjepan detto Jesus il figlio”, come il mio testamento spirituale e credo che questo libro sia stato, per me, l’ emozione più grande della mia vita.
3)Oggi le donne subiscono ancora maltrattamenti in Occidente. In Afghanistan il recente governo dei Talebani esclude le donne dalla vita civile e politica. Il suo libro è anche un viaggio nel mondo delle donne. La sua voce in proposito?
Considero i talebani, quelli dell’Afganistan e i tanti che talebani non si considerano ma che mentalmente, in Oriente come in Occidente, lo sono, dei “miserabili più dannati dei dannati della terra”. Dannati messi al mondo da donne infelici e frustrate, non soltanto perché , in certi paesi, costrette al burqua o al velo ma perché, ovunque e altrove, prigioniere di pregiudizi, giudizi, perversioni e sottomissioni suggerite, in ogni parte del mondo, dalla “fragilità maschile” e dall’invidia “dell’onnipotenza del grembo materno”. Grembo che è il primario laboratorio neurobiochimico dal quale “prende vita la forma della vita” di ciascun essere umano. Maschio o femmina che sia! Anche il seme dell’uomo rende, certamente , un servizio all’avvio di ogni umana vita ma è la donna che -per nove ,otto, sette mesi- dà vita , nel suo grembo , alle forme umane di ogni feto che, poi, nascerà. E nessun ‘altra possibilità c’è per popolare il mondo se non il grembo, la gravidanza, il parto. E, di seguito l’allattamento , le cure e lo svezzamento che le madri- si spera, in serenità- provvederanno a fornire ai neonati. Tenere sotto controllo- quel potere è, per tanti maschi-allevati nel credo di un potere maschilistico, irriverente, falsamente onnipotente e malignamente narcisistico – la maniera per garantirsi una supremazia sulle donne . Supremazia che passa attraverso l’ingabbiamento del loro corpo e la denigrazione della loro mente. In realtà questi maschi hanno paura dell’autonomia femminile e dell’abbandono che ne potrebbe derivare. Anche in considerazione dell’assoluta “dipendenza” che lega ogni primaria esperienza di vita del neonato alla madre. Emanciparsi da quella dipendenza non essendo donne e, dunque, non avendo il grembo, è, per tanti uomini e, certamente, seppure in modo diverso, per tante donne- una ragione di vita e, assai spesso, un faticoso percorso di crescita lungo quanto la loro stessa vita. Ma, proprio a dimostrazione del fatto che, per i tanti sopracitati individui e popoli ,questo affrancamento non si è reso e, ancora oggi, non si rende possibile, basta pensare a come il corpo delle donne viene sfruttato, venduto, posseduto in modo brutale ed inumano. E a come, in tante parti del mondo, si neghi alle donne piacere con l’infibulazione . E a come, ad esempio, il loro corpo venga imbustato ed ingabbiato, in Afganistan ed altrove, nel burqa. Per attuare un fantasmatico “travestimento” che è espressione del bisogno di “travestirsi” proprio di chi lo impone. Pertanto i talebani e tutti gli altri che lo sono senza asserire né avere coscienza di esserlo, altro non sono che dei “travestiti” che, per celare la loro impotenza e paura, travestono le donne da fantasmi per non cedere ai fantasmi della loro impotenza, fragilità, ingovernabile dipendenza e paura. E le donne che subiscono tali maltrattamenti, sin dalla nascita, a livello profondo ed inconscio, non possono che odiarli, pur temendo di esprimere il loro odio per il timore di essere perseguitate e/o uccise. Così, quando allevano i figli a diventare terroristi come i loro padri, mariti e fratelli, è alla morte che li consegnano quale “braccio armato” della loro vendetta. L’odio e la sottomissione altro non possono partorire!
Rosa Mannetta