“I bambini vengono al mondo per salvarlo- proprio come Gesù nella tradizione cristiana- e per salvare i loro genitori”.
Questa è il senso della storia narrata nel romanzo “ Stjepan , detto Jesus, il figlio” (Salani, 2020) della scrittrice e
psicoterapeuta Maria Rita Parsi che ne ha, per dodici lunghi anni, elaborato e studiato il testo, accompagnato da alcuni
disegni infantili, affinché fosse scritto come un bambino l’avrebbe scritto. Ovvero come la mente e il cuore di un
bambino l’avrebbero visto, pensato, sentito e tracciato.
Così, una storia che ha come tragico inizio lo stupro , durante la guerra dei Balcani, da parte di un soldato serbo, Zlasko , nei confronti di Mariaka , una ragazza bosniaca, si trasforma nel racconto, scorrevole, piacevole, avvincente del viaggio di un bambino alla ricerca salvifica dei suoi genitori. “Mi chiamo Stjepan, detto Jesus- così inizia il romanzo – perché sono nato il 25 dicembre a mezzanotte nel convento delle suore cristiane……” La madre lascia alla bisnonna, Anja, il neonato Stjepan perché quel figlio sarebbe per lei, la quotidiana testimonianza e il ricordo inaccettabile della violenza che ha subito e, pertanto, non le riuscirebbe né di amarlo né di accudirlo. Così , Stjepan cresce con una donna anziana, affettuosa, coraggiosa e allegra, nel villaggio di Dunja. Gli anziani- bene rifugio dei bambini- vengono così posti in primo piano nello sviluppo dei decisivi passaggi della sua crescita come in quella di tanti minori. Crescita serena quella di Stjepan, con lo zio che lo porta a pesca, con la maestra che lo ama quasi fosse una mamma, con i compagni di scuola, il padre di uno dei quali lo salva, perfino, dal poter essere rapito e reso schiavo dal traffico dei minori. E, quando la nonna sta per morire e lui ha, ormai, 9 anni, parte , zaino in spalla, con il suo fedele cane Tasko, la tartaruga Tika e con l’amatissima macchina fotografica, i cui “clik” scandiscono, sin da quando ha imparato ad usarla, come anche i suoi disegni, il tempo da fermare dei passaggi della sua crescita, Stjepan parte alla ricerca di sua madre, seguendo la traccia della provenienza dei denari che Mariaka ha sempre inviato alla bisnonna, per aiutarla a mantenerlo. Ed è, proprio, seguendo il “fil rouge” di quegli invii che Stjepan incontrerà, di volta in volta, tutte le persone che hanno accompagnato la rinascita che Mariaka, ragazza madre stuprata che proprio attraverso il lavoro ed il sostegno di tante persone generose e buone, un po’ alla volta, ha cercato di ritrovare se stessa: il dottor Subinosky,
direttore dell’Ospedale Psichiatrico in cui, facendo la cuoca, si è, anche curata; i gestori del Ristorante degli Specchi,
dove ha continuato a fare la cuoca e la cameriera; gli artisti del Circo della Luna, con i quali ha deciso di partire per
evitare i complimenti dei soldati che a Z. frequentavano il ristorante . Saranno loro, il padrone del Circo in testa, a cercare e a riuscire a mettere in contatto la madre con il figlio, mediando il loro rapporto attraverso l’uso, anticipatorio
ed anticipato, del mondo virtuale. Così, madre e figlio si rincontreranno, si conosceranno, inizieranno ad amarsi. E
andranno a vivere insieme nella grande casa di un professore, conosciuto da Stjepan a scuola, il quale ha un compagno che vive altrove ed ha, anche lui, un ristorante.
Una famiglia arcobaleno: la ragazza madre stuprata, il figlio ritrovato, il professore generoso e, diversamente, amorosamente, padre. Sarà lui ad ispirare la lettera che Stjepan scriverà,poi, a Zlasko, condannato e incarcerato,
per chiedergli di andare a conoscerlo. Una lettera capolavoro che racconta la storia di tutta la sua vita e che inizia con la parola “gosbadine”- “signore” e prosegue dicendo “lei non mi conosce ma…….”
Una lettera che permetterà a Stjepan, detto Jesus, di incontrare suo padre, di guardarlo negli occhi e affermare :
“Sono venuto per dirle che io non sarò mai un uomo come Lei: non stuprerò mai le donne, non farò mai la guerra!”. Gli lascerà, però, la tartaruga Tika,- “prigioniera tutelata” dal suo guscio come lui dal carcere- per tenergli compagnia,
sottolineando: “ Ma tornerò a riprenderla!”. Come dire: “ Io non ti abbandonerò come tu mi hai abbandonato”. E il disperato, pentito, riconoscente “grazie” di Zlasko, colpito al cuore da tanto immeritato rispetto, rimane nelle orecchie di Stjepan: “E quel grazie, ce l’ho ancora nelle orecchie” . E chiude il romanzo, rimanendo anche nelle nostre orecchie
e nel nostro cuore. In questo libro che celebra la “pietas” e la “capacità di perdono” dei bambini nei confronti di utoritàgenitoriali, educative, sociali, politiche, governative, che autorevoli non sono e continuano a non esserlo- si pensi a Kabul!- c’è, anzitutto e soprattutto, la traccia di quel percorso che- quale pugno nello stomaco fatto con la
carezza del cuore- ciascun essere umano è invitato a fare.
Perchè ogni “step” di quel percorso è stato rispettato. Anzitutto il cibo, primo legame con la vita che consente a
Mariaka, coll’essere cuoca, la possibilità di alimentare se stessa e gli altri; gli anziani, nonni e bisnonni, bene rifugio
dei bambini; i compagni di scuola e i loro genitori , la maestra capace di comprensione e di accoglienza; gli amici, abili e/o diversamente abili, testimoni di vita. Medici, pazienti, cuochi, camerieri, artisti del circo, tra i quali il magnifico, accogliente, amoroso Nano, le ballerine e, ancora , Gabriele, l’amico immaginario che solo Stjepan vede e con il quale parla e di cui accetta i consigli. E, poi, gli animali che, a partire da Tika e Tasko, sono sempre presenti perché ogni anima-animale lo è, per i bambini come per gli adulti. E ,perché, per battere Erode ,è sempre necessario un colibrì! E, infine, il professore e il suo compagno ristoratore, uniti seppur separati che danno luce, anche loro, a quell’arcobaleno capace di sconfiggere la più atroce delle tempeste. Tempeste messe in atto dai criminali guerrafondai-stupratori che, con la loro follia, ovunque nel mondo, contagiano e appestano mortalmente il nostro Pianeta. Dare anche a loro la possibilità di redenzione che Stjepan, detto Jesus, concede al padre, Zlasko, è la sola speranza che ci rimane, per salvarlo. Per questo motivo, “ Stjepan, detto Jesus il figlio”, può essere considerato l’erede naturale del “Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupéry. Laddove “l’essenziale è invisibile agli occhi” e “non si vede bene che con il cuore”.