di Grazia Zanotti Cavazzoni
Henry Beyle, in arte Stendhal ( forse dal nome della città natale dello storico dell’arte tedesco J.J. Winckelman) morì a Parigi il 23 marzo del 1842 ed è sepolto nel cimitero di Montmartre.
Sulla lapide la scritta , dettata dallo stesso scrittore, è in italiano:
“Arrigo Beyle, milanese. Scrisse, amò, visse.”
Lo scrittore ha voluto così rendere immortale il suo profondo legame con l’Italia, paese che riconobbe come sua patria di elezione.
Stendhal soggiornò molti anni in Italia. La prima volta dopo la caduta di Napoleone ( che seguì nella campagna d’Italia e il cui mito rivivrà nei suoi romanzi). Visse principalmente a Milano interessandosi di musica e pittura e partecipando intensamente alla vita culturale della città. Dopo sette anni ritornò a Parigi, in quanto sospettato dalle autorità austriache di simpatie carbonare. In seguito alla rivoluzione del 1830 e all’avvento in Francia di Luigi Filippo, si ritirò in Italia, prima a Trieste, poi a Civitavecchia con la nomina di console.
Il lavoro consolare gli lasciava molto tempo libero che egli impiegò, oltre che nella scrittura dei suoi capolavori, in lunghi viaggi e soggiorni in Francia e in Toscana
Nel 1841, ottenuto un congedo per motivi di salute, tornò a Parigi dove morì improvvisamente un anno dopo.
OPERE
Le prime opere di Stendhal, di carattere saggistico, testimoniano i suoi profondi interessi artistici e musicali e la sua passione di viaggiatore (Vita di Haydin, di Mozart e di Metastasio; Storia della pittura in Italia; Roma , Napoli e Firenze; vita di Rossini; Passeggiate romane). Scrisse poi il trattato “Considerazioni sull’amore” ; “Racine e Shakespeare” (1823-24). Nel 1827 pubblicò il suo primo romanzo “Armance” e nel 29 la novella “Vanina Vanini”. Nel 1930 fu dato alle stampe il romanzo “Il rosso e il nero” che inaugurò la stagione del grande romanzo realistico.
Negli anni seguenti scrisse molte altre opere, alcune delle quali rimasero incompiute e furono pubblicate solo dopo la sua morte.
“La certosa di Parma”. l’altro suo grande romanzo dopo “Il rosso e il nero”, fu pubblicato nel 1839.
La sindrome di Stendhal
Mi sembra interessante ricordare con le parole dell’autore la descrizione della famosa sindrome che prende il suo nome e che testimonia l’appassionato amore dello scrittore per l ‘Arte.
Nel suo libro di viaggi “Roma, Napoli, Firenze” (1817) Stendhal descrisse gli effetti di un disturbo psicosomatico che provò in prima persona al cospetto delle grandi opere d’arte italiane:
“Ero già in una sorta di estasi per l’idea di essere a Firenze, e la vicinanza dei grandi uomini di cui avevo visto le tombe. Ero arrivato a quel punto di emozione dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle belle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da S. Croce avevo una pulsazione di cuore, la vita in me era esaurita, camminavo col timore di cadere. “
La sindrome di Stendhal fu studiata e descritta nel 1979 dalla psichiatra fiorentina Graziella Margherini dopo aver osservato i sintomi di alcun turisti ricoverati all’ospedale all’uscita dagli Uffizi.
E’ evidente, secondo la Margherini, la connessione tra la sindrome di Stendhal e il concetto di perturbante studiato da Freud. Lo stesso Freud racconta di essere stato vittima della sindrome di Stendhal in visita al Partenone di Atene e di essere fuggito a Roma davanti al Mosè di Michelangelo per gli stessi motivi.
Per tornare ai giorni nostri, Dario Argento nel 1996 si ispira alla sindrome di Stendhal per il film omonimo; Francesco Guccini ne “L’orizzonte di K.D” (1970) mette in musica questa stessa condizione destabilizzante e straniante.
IL ROSSO E IL NERO
Pubblicato nel 1830, è il secondo romanzo di Stendhal, dopo Armance.
La storia riprende, sviluppa e arricchisce un fattaccio di cronaca: nel 1827 il figlio di un maniscalco fu condannato a morte per aver assassinato l’amante, moglie di un notaio di provincia.
Il nucleo centrale del romanzo è nel dramma di Julien Sorel ( un giovane di origini modeste, ma intelligente, ambizioso e di bell’aspetto deciso a tutti i costi a farsi una posizione nella Francia reazionaria postnapoleonica) e delle due donne che, legandosi a lui, determinano il proprio destino e quello di lui.
Gli elementi romanzeschi sono più o meno gli stessi che si incontrano nei romanzi dell’epoca. La novità sta tutta nella fantasia di Stendhal che infonde una corrente di vita ad alto potenziale nelle ombre smorte della cronaca e illumina e umanamente giustifica le passioni nei loro moti più intimi.
Il romanzo è anche il ritratto di una certa società e di un certo tempo; la scena si sposta di volta in volta dal villaggio alla città, dal seminario alla metropoli, dalla strada alla prigione. Sullo sfondo si profila la Francia morale e politica sotto la restaurazione borbonica e gesuitica.
Tutti gli studiosi sono d’accordo nel considerare il Rosso e il nero (e anche gli altri romanzi) come una specie di autobiografia romanzata, nel senso che l’autore è sempre presente nei suoi personaggi, in terza persona, ma con tutti i suoi sogni , le sue pene e le sue aspirazioni. Pare che Stendhal fosse piuttosto bruttino e anche, nonostante le sue velleità, un mediocre dongiovanni, per cui si è portati a pensare che i suoi affascinanti personaggi maschili, e in particolare il bel tenebroso Julien Sorel, siano una personificazione dei suoi sogni.
Per questo la sua narrazione è così viva, così aderente alla semplicità e al mistero della vita.
Significato del titolo
Il titolo rappresenta i significati multipli del romanzo: il rosso è la passione e il nero il dolore e la morte; nero è anche il vestito del seminarista Julien Sorel, mentre rosso è il colore degli abiti dei militari, carriera agognata da Julien. Il rosso potrebbe anche rappresentare la Rivoluzione francese e il nero la Restaurazione.
Ma si può anche interpretare il titolo come un pericoloso gioco d’azzardo in cui il protagonista si lancia per raggiungere il suo scopo di ascesa sociale.
Il rosso e il nero-la scrittura
Stendhal è stato uno scrittore multiforme: narratore, giornalista, critico e storico dell’arte e della musica. Ciò che colpisce il lettore attento, è che qualunque scritto si legga, al di là della differenza dei generi e dei temi, la sua scrittura risulta omogenea, in quanto l’autore emerge chiaramente sia come narratore, che esperto d’arte e di musica, osservatore politico e psicologo. Nascosto dietro le pagine, Stendhal, con uno stile inconfondibile, instaura quasi un dialogo col lettore e si concede momenti di meditazione autobiografica che esprimono vivacità e onestà intellettuale
Lo scrittore pare rifiutare lo stile elegante, non si concede mai il vezzo del “ben parlare” ( cosa che rimproverava al Manzoni tragico), Il suo segreto è di lasciarsi parlare così come si parla con se stessi, il che, per uno scrittore francese prima di Proust, è il colmo del coraggio, una rivoluzionaria, quasi eretica eterodossia.
Stendhal non indulge in descrizioni minuziose e dotte degli ambienti e dei paesaggi, come avviene nei narratori suoi contemporanei, ma si concentra sulla psicologia dei personaggi, sulle azioni dettate dai moti imprevedibili nel loro cuore.
Il risultato artistico e l’effetto sul lettore sono quelli che ha indicato Gide in termini splendidamente precisi:
“ il grande segreto di Stendhal, la sua grande malizia, è di scrivere di getto; Il suo pensiero commosso conserva la freschezza di vita e di colore della farfalla appena sbocciata, colta dal collezionista al suo uscire dalla crisalide. Donde quel qualcosa di brioso, d’impetuoso, di nonconformista, di subitaneo e di nudo che sempre c’incanta nel suo stile.”
Diego Valeri, nell’introduzione a “Il rosso e il nero” commenta la citazione di Gide dicendo che il “pensiero commosso” è una crisalide che sa dove vuole arrivare, ma deve difendersi da tutte le tentazioni e le insidie che il gusto del tempo e l’abitudine del mestiere non cessano di opporle; e se riesce a restare per sempre “farfalla appena sbocciata” ci riesce sì per il favore delle Muse, ma anche per determinata volontà di obbedire soltanto alla legge della metamorfosi sua propria.
In molti testi di Stendhal si trovano testimonianze di questa coscienza e di questa volontà. Cominciando a scrivere a 18 anni la “Storia della sua vita giorno per giorno” egli si poneva esplicitamente il principio di non preoccuparsi degli “errori di francese “ e di “ non cancellare mai”. Quarant’anni dopo, ricordando il tempo in cui fu dato alle stampe il “Trattato dell’amore” dice : “ Confesserò arditamente che a quell’epoca avevo l’audacia di sprezzare lo stile elegante….”
Una ulteriore testimonianza l’abbiamo nel Rosso e il Nero quando Julien, arrampicandosi su una montagna, si rifugia in una grotta e si abbandona al piacere di scrivere i suoi pensieri “ ….la sua penna volava, egli non vedeva più niente di ciò che lo circondava…” Un altro episodio significativo è quando Julien consegna al Marchese De La Mole un suo scritto con un errore d’ortografia per cui viene bonariamente deriso.
Stendhal però non era uno scrittore occasionale, come il suo Julien, ma un letterato che aveva sempre presente un pubblico da sedurre, da scandalizzare o da convincere.
Nei personaggi stendhaliani troviamo sempre qualcosa di inaspettato , problematico, mutevole. Certamente l’autore sa in partenza chi sono Julien , Madame de Rénal e Mathilde de La Mole, ma nel corso della vicenda essi rompono gli schemi iniziali, si sottraggono alla tutela del loro animatore, sembrano muoversi da soli, conservando sempre la possibilità di modificarsi nell’urto e nel reciproco scambio di sentimenti e pensieri
Julien si presenta via via, nei successivi incontri e confronti con la vita, come un timido, un ambizioso, un arrivista, un’anima appassionata, un cerebrale, un cinico, un artista, un Tartufo, un Napoleonide, una vittima, un delinquente, un saggio; Mathilde come una “parigina” fredda e superba, una semplice fanciulla, un’eroina che sogna la gloria, una povera reietta che mendica l’amore, un’invasata, una pazza. La stessa Madame de Rénal, che è una donna lineare e tutto cuore, ha le sue rivoluzioni repentine e i suoi misteri: ama con abbandono sublime, ma si lascerà indurre alla denuncia contro Julien, ; è buona, dolce, pia, ma facilmente dimentica l’esistenza del marito e sogna, senza grande rimorso, di restare vedova.
Non sono le solite ambivalenze dei personaggi dei romanzi, ma sono scatti che si determinano sul momento e sembra quasi che l’autore non vi abbia parte; sono sorprendenti illuminazioni che scaturiscono dal contatto delle diverse e opposte energie .
Julien, nonostante i diversi aspetti della sua personalità in evoluzione, è coerente nella convinzione del mondo ostile, del tragico fato che incombe sulle anime dotate di forte personalità. Alle radici del suo carattere c’è la ineluttabile infelicità dell’uomo solo, che si placherà soltanto alla fine quando, strappato dal suo stesso delitto alla lotta contro il mondo, non avrà che da aspettare la morte liberatrice; la sua solitudine, ormai accettata e perfino amata, può sembrare quasi uno stoico suicidio. Allora sarà finita l’avventura e le appassionanti alternative del rosso e del nero. Le ultime pagine del romanzo sembrano scorrere veloci, quasi sbrigative, non essendoci più posto per le invenzioni della vita o di Stendhal.
Questo romanzo tiene il lettore in una continua vaga ansietà come fosse davanti alla vita, colta nel suo caldo fluire, sempre diversa e imprevedibile.
Il rosso e il nero – La critica
Il romanzo alla sua uscita non ottiene dal pubblico francese il successo sperato dall’autore, ma incuriosisce la società letteraria che si divide tra stroncature ed elogi.
P. Mérimée scrive in “Lettres a Stendhal” : “….uno dei vostri crimini é aver messo a nudo alcune pieghe del cuore umano troppo sporche per essere vedute. Nel carattere di Julien ci sono tratti atroci, che sentiamo come veri, ma che ci fanno orrore. Il fine dell’arte non è mostrare questo lato della natura umana”.
Zola invece apprezza e loda Stendhal per la sua capacità di non esprimere giudizi morali “ L’opera del romanziere deve cessare dove comincia quella del moralista”. Spiega poi l’importanza svolta dal mito napoleonico nell’opera stendhaliana.
Stendhal ebbe in vita un estimatore d’eccezione: Honorè De Balzac.
Più tardi fu molto apprezzato anche da Sigmund Freud che, come abbiamo visto, fu anche lui vittima della cosiddetta sindrome di Stendhal.
Oggi tutta la critica è concorde nel riconoscere il valore e la modernità della scrittura di Stendhal, uno dei pochi autori, tra i suoi contemporanei, che sentiamo ancora attuali sia nei temi che nello stile.
Il romanzo e le trasposizioni filmiche
Dal romanzo sono stati tratti nel tempo diversi film, nessuno dei quali è riuscito ad avvicinarsi al capolavoro stendhaliano.
Ricordo ,tra gli altri : Il rosso e il nero di Mario Bonnard (1920); L’uomo e il diavolo (1954) diretto da Claude Autant- Lara con Gérard Philippe nel ruolo di Julien e Antonella Lualdi in quello di Mathilde; la miniserie televisiva del 1997 con Kim Rossi Stuart e Carole Bouquet.
Bibliografia
Diego Valeri : Introduzione alla traduzione de “Il rosso e il nero”. Einaudi 1957.
André Gide :Journal (1939)
Enciclopedia europea Garzanti.
Enciclopedia di La Repubblica.
Wikipedia.