ALESSANDRO CORTI
Lo aveva promesso non appena insediato. E, il neo presidente dalla Camera, Roberto Fico, ha mantenuto la parola: da novembre deputati e senatori dovranno dire addio ai “vitalizi”. Vale a dire, a uno dei privilegi più odiati della cosiddetta “casta”, quello che ha fatto infuriare milioni di italiani, costretti a sgobbare per anni prima di incassare uno straccio di pensione. L’esatto contrario di quello che accadeva fra Montecitorio e Palazzo Madama, quando i parlamenti, con poche legislature alle spalle, potevano ottenere dall’Inps un assegno calcolato non sui contributi effettivamente versati ma sul molto più conveniente sistema retributivo. La delibera proposta da Fico di fatto equipara le pensioni dei parlamentari a quelle di tutti gli altri cittadini. E da questo punto di vista, è davvero difficile contestarla.
Ma, il presidente della Camera è andato anche oltre, decidendo che il nuovo sistema di calcolo “contributivo” sarà applicato in maniera retroattiva, coinvolgendo anche i parlamentari che hanno già maturato il diritto di andare in pensione con le vecchie regole. Un’estensione che ha innescato l’immediata reazione degli ex parlamentari, con minacce di “class action”e richieste di risarcimento danni.
Chi ha ragione? Partiamo da un dato: è la prima volta che si interviene “retroattivamente” sulle pensioni. E’ vero che negli ultimi anni ci sono stati tagli sui trattamenti più elevati, con i contributi di solidarietà. Ma mai ci si era spinti fino a riconsiderare addirittura il sistema di calcolo degli assegni, con forti decurtazioni ex post.
Tutto sembra lecito quando si combatte contro la casta e quei privilegi che hanno gonfiato le vele dell’antipolitica. Ma compito del governo e delle istituzioni è anche quello di trovare soluzioni che trovino il giusto equilibrio fra il rispetto delle norme, a cominciare da quelle costituzionali e le richieste che arrivano dal “popolo”. Governare, insomma, significa dare certezze, trovare compromessi accettabili, muoversi nel solco delle norme. Nessuno, naturalmente, vuole difendere i privilegi accumulati da generazioni di politici. Una battaglia persa in partenza. Ma una volta rotto il tabù della retroattività, ci potrebbe essere una forte spinta anche a intervenire sulle pensioni in essere, incidendo quindi su intere categorie di cittadini che hanno poco e niente a che fare con la casta della politica. Le pensioni e i diritti acquisiti sono argomenti seri e delicati. Sui quali, forse, sarebbe sempre opportuno imboccare la strada più faticosa del dialogo istituzionale fra tutti i soggetti e gli interessi in campo. Mettendo da parte il desiderio, sia pure legittimo, di “vincere facile” per continuare a incassare consensi.