Alessandro Corti
Qualcosa si muove sullo scacchiere europeo. Il tradizionale asse franco-tedesco è ormai solo un ricordo. E Renzi torna a Roma, dopo il vertice di Ypres, con un risultato che forse va persino al di là della storica apertura della Merkel sulla flessibilità. Dopo gli anni bui dei sorrisetti maliziosi sull’affidabilita dell’Italietta, torniamo a contare nello scenario internazionale, riconquistato il rispetto perduto. Certo, dalla parte di Renzi, ci sono condizioni più uniche che rare. In tutta Europa il partito dei rigoristi a tutti i costi è diventato sempre più piccolo. La strenua difesa dei conti pubblici ha di fatto portato l’Europa sulla strada di un ineluttabile declino. La necessità di una svolta nelle politiche economiche orma è condivisa persino da una parte consistente della Germania. In questo contesto Renzi è stato abile, finora, a muovere le sue pedine aprendo una trattativa centrata prima sui programmi e dopo sui nomi. Ma a rafforzare la posizione dell’Italia è anche l’avvio del semestre di presidenza che, sia pure con tutti i limiti, consente al premier di sedere nella cabina di regia della nuova Europa.
Sarebbe un errore essere troppo ottimisti. L’apertura di credito concessa dalla Merkel ha un prezzo politico molto alto: Renzi dovrà mostrare nei fatti di poter realizzare quelle riforme che l’Europa ci chiede e che sono necessarie per far ripartire l’economia rispettando i vincoli di bilancio. Non sarà semplice ma neanche impossibile per un leader che ha ancora un grosso dividendo elettorale da spendere dopo il 40 per cento e passa incassato nelle ultime elezioni.
Ma tutto questo sarà insufficiente se anche l’Europa non sarà in grado di recuperare una diversa governance dandosi ambiziosi obiettivi di crescita economica e di sviluppo senza chiudersi a riccio nella mera difesa della moneta unica o dei parametri di Maatricht. Nel vertice di ieri non tutto è filato per il verso giusto, il compromesso raggiunto su Junker non ha sciolto tutti i nodi e, soprattutto, non si intravede ancora quella svolta nelle politiche economiche necessaria per dare una risposta ai milioni di disoccupati sparsi nel vecchio continente. Per ora siamo solo ai primi passi, la costruzione di un’Europa politica e non burocratica sarà lenta. Ma per una volta, nei prossimi mesi , l’Italia potrebbe far sentire la sua voce. A patto, ovviamente, che dimostri di sapere fare le riforme e non solo di annunciarle.
fonte: L’Arena