Antonio Troise
E’ un’Italia scoraggiata, quasi avvilita, quella che viene fuori dall’ultima istantanea sul mercato del lavoro scattata da Eurostat. La fotografia, puntuale, del grande esercito dei disoccupati, un’intera generazione che rischia di saltare a piè pari l’appuntamento con il mercato del lavoro. Dramma europeo, dopo la più grave e lunga crisi che il mondo occidentale ricordi. Ma un dramma che, in Italia, assume connotati e caratteristiche più allarmanti. Qui, infatti, c’è un esercito di persone che non solo non trova lavoro ma ha smesso di cercarlo. Si è ritirato nell’ombra, probabilmente dopo le tante porte chiuse in faccia e le decine di domande di assunzione inviate alle aziende pubbliche o private e rimaste lettera morte. Sono almeno 3 milioni e seicentomila gli italiani che si trovano in questa condizione, il 14,1% della forza lavoro, il triplo della media europea. Perfino la Grecia, che se l’è vista sicuramente peggio da punto di vista della crisi, non raggiunge simili vette. Se a questo numero, aggiungiamo i 3,4 milioni di disoccupati (ma che cercano un impiego) e i dipendenti in cassa integrazione o in mobilità, si scopre che l’emergenza lavoro tiene a spasso circa 10 milioni di persone, un quinto della popolazione. Un’enormità. Mai, prima del 2015, si era toccato un simile record. E, nell’immediato futuro, c’è poco da sperare: anche per quest’anno ( la previsione è dell’autorevole Banca d’Italia) la situazione resterà “fragile”. Un eufemismo per dire che il lavoro continuerà ad essere un miraggio.
Ma perché non si cerca più un’occupazione? Prima di tutto il dato è, come è noto, molto più grave al Sud (dove l’esercito degli scoraggiati raggiunge il 30% della forza lavoro) e fra i giovani. La generazione dei cosiddetti “Neet”, acronimo che sta per “Not in Education, Employment or Training”, ovvero non impegnati a scuola, sul lavoro, o in attività di formazione, in Italia supera i due milioni di persone. Ma i dati diffusi ieri dall’ufficio di statistica europeo certificano anche il clamoroso fallimento di tutte le misure varate dagli ultimi esecutivi per creare lavoro. Il flop, segnalato proprio in settimana, dal ministro del Lavoro, del piano “garanzia Giovani” è solo l’ultimo di una lunga serie di insuccessi. Ora, con il jobs act, si cercherà di risalire la china, con una forte iniezione di flessibilità e con la cancellazione (solo nel settore privato) dell’articolo 18, trasformato negli anni nell’alibi per eccellenza degli imprenditori per giustificare lo scarso coraggio sul fronte delle assunzioni. Ma, la verità, è che il lavoro non si è mai creato per decreto. E difficilmente la situazione può cambiare se l’azienda Italia non si rimetterà in moto.
Di fronte al grande esercito degli scoraggiati, però, è anche arrivato il momento di uno scatto da parte della politica: il lavoro è la vera emergenza del paese, la priorità delle priorità, forse viene prima anche delle riforme istituzionali o dell’abolizione delle province. Per questo, dopo i numeri dell’Eurostat, non ci si può voltare da un’altra parte: significherebbe condannare alla disperazione un’intera generazione di italiani.