Antonio Troise
Non sarà una schiarita definitiva. La trattativa sull’Ilva è ancora tutta in salita. Ieri, però, anche il governatore pugliese, Michele Emiliano, ha seguito l’esempio del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, rinunciando alla richiesta di sospensiva al Tar sul decreto del governo che contiene il piano di risanamento ambientale del centro siderurgico. Una mossa che fa tirare un respiro di sollievo al ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda: “È un segnale positivo – scrive in un tweet – che scongiura il rischio spegnimento il 9 gennaio. Ora lavoriamo insieme per il ritiro del ricorso”. In pratica, un invito alla ripresa della trattativa dopo la fumata nerissima del 20 dicembre. Pomo della discordia: il ricorso contro il piano del governo firmato da sindaco e Governatore con l’obiettivo di mantenere alta la pressione sul governo. Una battaglia sostenuta anche dal presidente della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, ma che potrebbe essere condizionata dalla campagna elettorale ormai ufficialmente iniziata.
La posta in gioco è comunque altissima. Arcelor-Mittal, la cordata multinazionale che si aggiudicata lo stabilimento dopo una gara che ha avuto il disco verde anche da parte dell’Ue, ha già chiesto al governo una clausola di salvaguardia sul piano di investimenti da oltre 2 miliardi già previsto a Taranto. Una sorta di “fideiussione” che Calenda ha già fatto sapere di non voler firmare. Dall’altra parte, il governatore pugliese non vuole cedere. E, prima di ritirare il ricorso, vuole avere dall’esecutivo garanzie “concrete” sui tre punti all’ordine del giorno: bonifiche, contenimento dei fumi e copertura del parco. Un’operazione che dovrebbe essere finanziata in parte con la dote sequestrata ai precedenti proprietari, i Riva, in base al principio del “chi inquina paga”. E il resto con il ricorso ai capitali privati.
Da questo punto di vista, un ulteriore segnale di distensione è arrivato ieri proprio dagli attuali commissari che hanno saldato tutti i debiti accumulati con i fornitori fino al 10 dicembre scorso, per un ammontare complessivo di 30 milioni di euro. Una cifra, fanno sapere dell’azienda, che rappresenta “la quasi totalità delle cifre esigibili mentre il pagamento di una piccola parte residuale, avverrà a seguito delle verifiche necessarie previste, nei primi giorni di gennaio”. Soldi che finiranno nelle casse di circa 300 piccole imprese dell’indotto.
I riflettori sono ora puntati sul 9 gennaio, quando comincerà l’esame di merito del ricorso di Emiliano. Ma non è escluso che il governo giochi d’anticipo, ricucendo il dialogo e tornando a mettere sul tavolo l’ipotesi di un protocollo di intesa, con impegni netti sui controlli sanitari e un cronoprogramma di interventi per la bonifica definito nei dettagli. Una strada che convince anche il sindaco di Taranto, che vorrebbe però ripetere la strada già seguita nel caso del centro siderurgico di Genova, con la firma di un “accordo di programma”. Uno strumento che, però, piace pochissimo ai sindacati. Il motivo? Semplice: troppi i soggetti in campo per arrivare ad un risultato in tempi rapidi. A Genova, ricorda Antonio Talò, segretario della Uilm di Taranto, “dopo dodici anni di interventi, sono rimasti irrisolti praticamente tutti i problemi in campo, dalla bonifica alla reindustrializzazione”.