La trama è la solita, una delle tante storie di abusi edilizi, autorizzazioni poco chiare ed ecomostri che lasciano profonde cicatrici sul volto dell’Italia. In particolar modo, quando vengono lasciati a metà per anni, a pochi passi dal mare. È proprio questa la vicenda del Crescent, edificio residenziale in costruzione sul lungomare di Salerno, disegnato dall’architetto catalano Ricardo Bofil. Lo scorso novembre, il cantiere era stato sottoposto a sequestro, mentre il sindaco Vincenzo De Luca e i componenti della giunta comunale del 2008 sono stati iscritti nel registro degli indagati. Tra i reati contestati: abuso d’ufficio, falso in atto pubblico e lottizzazione abusiva, in seguito all’approvazione della delibera del Piano urbanistico attuativo che ha portato all’acquisizione dell’area demaniale sulla quale sono poi iniziati i lavori di costruzione del Crescent.
Solo un mese più tardi, invece, il Consiglio di Stato ha giudicato legittime tutte le procedure relative al gigante edificio di Piazza della Libertà. Sono state riscontrate soltanto criticità formali dell’autorizzazione paesistica. Il Comune di Salerno, di conseguenza, non ha perso tempo, rinnovandola immediatamente a febbraio per far riprendere i lavori. Un’iniziativa che ha scatenato ancora una volta la rabbia di Italia Nostra Salerno e del Comitato No Crescent, associazioni contrarie alla costruzione della struttura e che, al contrario, ne chiede da tempo l’abbattimento. Accusano il Comune di aver applicato una norma non più in vigore dal gennaio 2010: la norma transitoria del Codice dei beni culturali e del paesaggio su cui si basa l’autorizzazione comunale è stata infatti abrogata. Esattamente opposto il parere della Commissione locale paesaggio del Comune che, nell’esposto inviato alla Procura di Salerno, fa notare come il Crescent trasformerà quell’area del lungomare da “non-luogo” a un “luogo”.
Dal Comune, inoltre, temono che la chiusura definitiva dei lavori causi la restituzione di 44 milioni di euro alla proprietà, il Gruppo Rainone. A spingere per la riapertura del cantiere sono anche le organizzazioni sindacali. In ballo il destino di oltre 150 operai, fermi da novembre. Secondo Gino Adinolfi, segretario generale della FILLEA-CGIL di Salerno, tutta questa bagarre rischia di avere come unico risultato quello di consegnare alla città un’opera incompiuta e di lasciare tanti lavoratori senza stipendio e con l’impossibilità di accedere agli ammortizzatori sociali. Nel frattempo, dal mare è facile scorgere quell’edificio lungo 300 metri e alto 30, ancora lì che aspetta di essere ultimato, oppure abbattuto. Lo stesso destino di altre 600 opere incompiute in giro per l’Italia.
Fonte:altreconomia.it