di Adolfo Giuliani
Domani, 21 marzo 2020, inizia la primavera, una primavera insolita, diversa dalle altre, una primavera da ricordare, in quanto anch’essa invisibile come il piccolo virus influenzale che la sta caratterizzando. Una primavera che non potremo né vedere né salutare, né godere come in passato. Le sacrosante prescrizioni governative, sia pur “condizionate”, come altrove già sostenuto, da uno sciacallaggio politico, che alla fine potrebbe risultare più dannoso del virus, ci costringono, infatti, a forzate, quanto necessarie, “reclusioni” domiciliari.
Questo virus, tanto più minaccioso in quanto invisibile, ci minaccia e ci costringe a barricarci in casa, spaventati e, spesso, anche in preda al più totale panico, col timore che, nonostante tutte le precauzioni adottate, possa infiltrarsi nelle nostre relegate vite attraverso un agente del tutto imprevisto. Ci sorregge quotidianamente la speranza di farcela, di vedere la fine del contagio, di vivere la realtà di un vaccino.
Molti governi stranieri non hanno perso tempo e hanno adottato le nostre stesse misure di difesa chiudendo dentro casa tutti i cittadini, con l’obbligo di non uscire, se non in caso di necessità. Quasi tutto il mondo è, dunque, prigioniero di un virus che non conosce, di un nemico da combattere, al momento, senza alcuna arma se non quella del preventivo isolamento. Così, questa volta, non potremo assistere al risveglio della natura dal letargo invernale, non potremo godere lo spettacolo di innumerevoli alberi in fiore e non potremo ascoltare, se non da qualche sporadico balcone di città, il canto degli uccelli che istintivamente festeggiano per il ritorno alla vita della natura. In tutto questo non è mancato un messaggio positivo molto importante, che ci solleva dalla tristezza: era da molto tempo che le famiglie non si riunivano per stare insieme e adesso, costrette a restare tutte a casa, riscoprono gli affetti, l’amore e il calore che produce lo stare insieme. Inoltre, questa situazione di drammatica emergenza ci fa riflettere sulla nostra fragilità e sulla nostra insignificante presunzione di essere. Ci eravamo un po’ persi, nella frenetica società del terzo millennio, si viaggiava, mentalmente e materialmente, ognuno per i fatti propri, da soli. In questo momento di particolare difficoltà per tutti, si riscoprono la famiglia, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, l’importanza di essere uniti e di volersi bene e si avverte la mancanza fisica degli amici. Allora sono necessari i disastri, le catastrofi, i terremoti, le epidemie, le guerre, per unire le persone e per capire che da soli non si vive bene e che la famiglia e le amicizie sono una ricchezza che non può essere dispersa o sostituita con altro? La famiglia, in particolare, è il bene più prezioso che l’uomo possiede e non deve mai perderlo. Speriamo che anche in futuro, possibilmente in assenza di virus, si riscoprano i valori immateriali della vita. Si potrebbe istituire la “giornata mondiale del virus”, una volta all’anno, per ricordare, per riflettere e per stare tutti insieme, come adesso, chiusi in casa a guardarci negli occhi.