di LAURA BERCIOUX
Mare Nostrum conclude la sua missione umanitaria e si affaccia la nuova operazione per i migranti: Cettina Restuccia è responsabile della sezione sulla tratta degli esseri umani per l’associazione Penelope. Penelope gestisce i progetti del Dipartimento per le Pari Opportunità per le provincie di Ragusa, Messina, Siracusa, Palermo, Augusta. C’è anche un numero verde 800290290 che risponde h 24 con mediatori in lingua e mette direttamente in contatto i migranti sbarcati con i centri più vicini territorialmente. Penelope si occupa anche dei senza fissa dimora, dei soggetti dimessi dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Cettina è anche il presidente dell’associazione EVALUNA Onlus contro la violenza alle donne vittime di stalking, violenza psicologica.
Signora Restucci, Mare Nostrum cambia volto. Che cosa succederà?
“L’operazione Mare Nostrum era diventata, nello specifico, un corridoio umanitario per salvaguardare l’incolumità, durante la traversata, dei migranti. Prima ancora di entrare nelle acqua internazionali, venivano presi e portati direttamente in Italia. In questo momento, con la modifica di Mare Nostrum, il pattugliamento e l’obbligo di prendere in carico i migranti scatta al 30° chilometro dalla costa italiana quindi si riduce enormemente il numero delle imbarcazioni, aumentano i rischi di naufragio, i rischi di incolumità dei viaggiatori perché i tempi di traversata con il brutto tempo e con le perturbazioni atmosferiche aggravano assolutamente i rischi. E se pensiamo che molti dei migranti sono donne in stato di gravidanza e minori, si mettono in serio pericolo tante vite umane”.
E’ contraria alla nuova operazione?
“Assolutamente sì, perché la vita delle persone che cercano di arrivare sui nostri territori è più importante di quello che può essere la “salvaguardia” dei territori o della normativa sull’immigrazion. Purtroppo queste persone scappano situazioni di grave violenza, guerra, persecuzioni politiche, religiose. Sono molte le donne che scappano per situazioni di gravissima violenza fisica e sessuale, soprattutto in Siria, Eritrea e che diventano a loro volta, vittime, nuovamente, soprattutto nei centri di detenzione libici. L’arrivo sulle nostre coste è l’unica possibilità di salvezza”.
La nuova operazione è molto limitata rispetto a prima: è un deterrente per i migranti?
“No. Lo stato di disperazione di queste popolazioni fa sì che comunque sia, la partenza non è né rimandabile né procrastinabile: va fatta in tutto e per tutto, perché lo stare nei Paesi di origine è altrettanto pericoloso che intraprendere il viaggio in mare. La disperazione di questa gente è enorme e nessuno può limitare la libera circolazione degli individui”.
Lei è per l’abolizione del permesso di soggiorno come sostiene il Sindaco Orlando?
“E’ una bella proposta che credo non sarà presa neanche minimamente in considerazione rispetto alla normativa vigente. Si vuole a tutti i costi chiudere le frontiere piuttosto che aprirle. Non credo che gli stati europei e una buona parte della politica sarebbe propensa a una proposta del genere”.
Facciamo un passo indietro: il secolo scorso erano gli italiani a partire per gli Stati Uniti e venivano controllati, esaminati, guardati con sospetto. Dopo cento anni, la storia si ripete: c’è chi arriva perché è disperato, c’è chi viene sfruttato nei campi, c’è chi delinque…
“La percentuale di chi delinque, visto che lei ha citato questo dato, rispetto agli italiani che andavano in America, credo sia più o meno la stessa. Il problema, in questo momento, è che il lavoro manca agli italiani, siamo in una situazione di grande recessione e quindi, giustamente, un arrivo così massiccio di migranti, pone in crisi un intero sistema che non funziona”.
Avrà conosciuto tanti migranti: una storia che l’ha colpita?
“A Messina, il 20 luglio, è attraccata una petroliera con all’interno oltre 600 migranti: su questa nave, nella cella frigorifera, era conservato il corpicino di un bambino di 15 mesi. E’ morto nel trasbordo. La magistratura sta indagando se la morte è da imputare agli scafisti. La famiglia era una famiglia benestante siriana: padre, madre, tre figli. Amed era il più piccolo, era bel tempo, però non oso pensare quale deve essere stata la disperazione di queste famiglie, per vendere tutto e mettersi su una bagnarola con i bimbi piccoli al seguito”.
Com’è morto Amed?
“Pare che nel trasbordo il bimbo avesse il giubbotto di salvataggio: lo scafista ha lanciato il bimbo in acqua alla mamma che era troppo lontana e non è riuscita a recuperarlo: il giubbotto di salvataggio si è sfilato e il bambino è annegato. La magistratura sta indagando. Noi come associazione abbiamo aiutato questa famiglia che ha denunziato gli scafisti: sono stati inseriti in un programma di protezione sociale, dopo aver testimoniato per essere tutelati per l’aiuto che hanno dato alla Magistratura italiana”.
Agli scafisti che vengono arrestati, cosa li attende?
“Le pene sono veramente severe. La magistratura a Messina, a Ragusa, a Siracusa ha innescato delle prassi per cui velocemente eseguono gli incidenti probatori, anche perché i testimoni si allontanano lasciando i processi in bilico”.
Che cosa bisognerebbe fare?
“Fare pressioni sull’Europa. Non si può bloccare un flusso migratorio. La storia dell’umanità ci insegna che non si possono sbarrare le frontiere, non si può limitare la libera circolazione degli individui. L’unica cosa è fare in modo che la popolazione si possa spostare al meglio e andare nei paesi in cui la rete familiare, amicale è molto forte. Ad esempio molti dei siriani che arrivano vogliono andare in Svezia perchè hanno parenti o amici, comunque sono soggetti ben accetti poichè molto ben formati offrendo una manodopera valida, un po’ come succede in Italia: braccianti agricoli, esperti di pastorizia, operai edili, badanti, colf. Fanno generi di lavoro non sempre appetibili dalle popolazioni autoctone dei nostri territori. Se non ci fossero i braccianti stranieri per esempio in Trentino le mele si perderebbero o la raccolta del pomodoro pachino non si potrebbe fare come per le fragole di Siracusa”.
C’è molto sfruttamento di questi migranti?
“Assolutamente sì, su questo non ci sono dubbi. L’articolo 18, proprio per questo motivo, ha esteso le sue competenze al grave sfruttamento lavorativo proprio negli ambiti di cui stiamo parlando: agricoltura, igiene e cure delle abitazion. C’è stato un’indagine a Napoli che ha dimostrato un dato di fatto: se si dovesse applicare regolarmente l’articolo 18 nell’agricoltura, tutti i lavoratori dovrebbero avere il permesso di soggiorno. Non c’è ne uno che non risulterebbe gravemente sfruttato…”.
Quali sono i porti con più sbarchi?
“Soprattutto Pozzallo, Augusta e Messina, Palermo, Lampedusa non è porto, quindi non adatta alle navi della Marina Militare. Abbiamo una situazione drammatica a Messina con 96 minori ancora nella tendopoli. Sono soli e senza genitori: con questi arrivi massicci il problema si è diffuso ed è stato posto in carico ad alcuni comuni che non avevano esperienza con queste problematiche. Con gravi effetti sui bilanci”.
Perchè tanti minorenni?
“Le famiglie vendono tutto e partono: hanno capito che il figlio maggiorenne può essere rispedito, quello minorenne non è rimpatriabile, in quanto non accompagnato. Lo fanno per garantire un futuro ai propri figli tentando, in alcuni casi, il ricongiungimento familiare non sempre legale”.
Quanto spendono i migranti per questi per i viaggi?
“Dai tremila ai quattromila euro e c’è in atto una guerra tra poveri: lo vedi da come sbarcano. Soprattutto le famiglie siriane più agiate, spendendo mille euro in più, hanno garantito il giubbotto di salvataggio e l’acqua”. C’è stata una situazione straziante: una famiglia del Mali aveva venduto tutto per far partire il più giovane della famiglia che voleva poi andare in Francia: questo ragazzo quando è arrivato stava già male. Aveva un bozzo enorme sulla pancia. Era in fin di vita, necessitava di un trapianto di fegato. Abbiamo girato tutti i centri poi quando abbiamo organizzato il viaggio per il suo Paese, è morto. La sua famiglia ha perso dunque un figlio ed è rimasta in completa povertà.
Ebola e la paura delle malattie dovute agli sbarchi
“I migranti provengono da molto paesi come l’Eritrea e la Somalia, si fermano in Libia per mesi prima di poter ripartire. Se Ebola ha 20 giorni di incubazione, si sarebbero dovuti ammalare in Libia dove sostano per forza, molti mesi se non anni, prima di intraprendere il viaggio con gli scafisti. Ci restano molto tempo e finiscono pure con il prostituirsi per raccogliere i soldi necessari. Sulle navi della Marina c’è lo staff medico che fa tutte le analisi ai migranti prima ancora che sbarchino nei nostri porti per verificare lo stato di salute, con gli screening fatti prima dello sbarco. C’è una strumentalizzazione sul rischio Ebola e di altre malattie, da parte della politica e della stampa. Durante uno sbarco si vociferava che c’era un caso di vaiolo: in realtà era varicella. La scabbia ce l’abbiamo anche noi perché endemica, come la TBC: quindi non credo che la portino loro”.
Qualche che ce l’ha fatta a salvarsi e a ricostruire una nuova vita?
“Certo. Tanti migranti, presi da noi in carico, sono riusciti a rifarsi una vita dignitosa. Ci mandano le foto dei loro bambini appena nati, foto della carta di soggiorno, c’è chi ha preso la patente. Una ragazza che è arrivata a Messina era incinta: siamo riusciti ad aiutarla con una rete molto forte di sostegno sociale che l’ha aiutata a farla rimanere qui. Abbiamo recuperato il marito che era sbarcato altrove: ora vivono insieme nel Centro SPRAR, sono centri per i rifugiati politici e richiedenti asilo e finanziato dal Ministero dell’Interno. Abbiamo aiutato un altro ragazzo che ha denunciato gli scafisti: siamo riusciti a rintracciare la moglie, arrivata con un altro sbarco, e ora sono ricongiunti.”