Antonio Troise
“Cambia prima di essere costretto a farlo” diceva Jack Welck, uno dei manager più potenti degli Stati Uniti, amministratore delegato della General Electric. E’ forse la frase che meglio sintetizza il viaggio americano del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Basta sostituire la parola “cambiamento” con “riforme” per comprendere il senso del discorso che il premier ha scandito davanti ai ragazzi italiani che hanno fatto nascere, nella Silicon Valley, 150 start-up innovative. Un messaggio inequivocabile diretto ai tanti, forse troppi, che in Italia hanno sempre seguito (e continuano a farlo) la vecchia massima del Gattopardo: “cambiare tutto per non cambiare niente”. Con l’inevitabile conseguenza di un paese bloccato da oltre 40anni, che ha il tasso di crescita più basso d’Europa e una disoccupazione galoppante. La scommessa di Renzi è tutta nelle riforme, in quella tabella di marcia che, dopo lo sprint dei primi tre mesi, si è trasformata nel “passo dopo passo” dei mille giorni di governo. Una strada in salita, come dimostrano gli scontri sull’articolo 18. Ma anche l’unica possibile per evitare scenari più foschi. E, soprattutto, per scongiurare il rischio di un commissariamento. Piuttosto che farcele imporre dall’alto, avverte il premier, forse è meglio farsele in casa e da soli.
Ma per centrare questo obiettivo, come ammonisce il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, occorre mettere da parte posizioni pregiudiziali o corporative e far seguire agli annunci le misure concrete, i regolamenti e i decreti attuativi, quello che è sempre mancato negli ultimi anni.
Il problema non è solo italiano. Forse è stato eccesivo il presidente della Bundsebank che ha addossato le responsabilità della crisi europea ai paesi, Italia e Francia in testa, che non riescono a fare le riforme. Ma un dato è certo: uno dei principali motivi della bassa crescita, ha spiegato il presidente della Bce, Mario Draghi, è proprio l’incapacità dei governi di attuare quei “cambiamenti” in grado di far ripartire l’economia. Perché senza un cambiamento radicale del nostro sistema economico, della nostra burocrazia e del nostro stato sociale, con l’obiettivo di renderlo più flessibile e adeguato al nuovo contesto post-crisi, difficilmente l’Italia (ma anche l’Europa) riuscirà a imboccare la strada della ripresa. Per questo, il viaggio americano di Renzi, che dopo New York volerà a Detroit per incontrare Marchionne, ha un valore più che simbolico: rompere i ponti con il recente passato e dimostrare che questa volta l’Italia vuole fare sul serio. E anche in fretta. Il conto alla rovescia dei mille giorni è già cominciato e sarà costantemente monitorato, soprattutto dall’estero.
Fonte: L’Arena