Matteo Renzi salirà alle 16 al Quirinale per presentare al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “Questione di ore e chiudiamo tutto”, assicurava ieri il premier incaricato. Pochi però immaginavano che avrebbe anticipato di un giorno la tabella di marcia, che prevedeva per sabato l’incontro col Capo dello Stato. Anche perché l’annuncio segue e smentisce quanto era filtrato appena poche ore prima: ovvero che dal vertice avuto nel cuore della notte con Angelino Alfano non sarebbe stato sciolto il nodo più corposo, riguardante l’inserimento del Nuovo centrodestra nello schema disegnato per il governo. Gli ultimi rumors di Palazzo, invece, accreditano come assai verosimile l’ipotesi che Alfano resti al Viminale, anche se tale opzione potrebbe entrare in contrasto con la richiesta anche di restare vicepremier, dal momento che Renzi vorrebbe segnare una discontinuità più forte col governo Letta. Ipotesi ritenuta indispensabile dai suoi “uomini”, tanto che il senatore Roberto Formigoni si è spinto a definirlo un punto su cui “non si deve neppure discutere”. Si direbbe dunque risolto anche il rebus del ministero dell’Economia, figura attorno alla quale si concentrano le maggiori aspettative di discontinuità nell’azione di governo. Le quotazioni salgono per Pier Carlo Padoan, economista dell’Ocse, promosso in mattinata anche dal leader della minoranza Pd Gianni Cuperlo (una “figura di assoluta competenza e autorevolezza, con inoltre un certo grado di consuetudine con gli affari europei”). Mentre per il ruolo di ministro della Giustizia nelle ultime ore è accreditata la possibilità che sia ricoperto da Dario Franceschini.
Ieri era stato il capogruppo di Ncd al Senato, Maurizio Sacconi, a parlare – a vertice di maggioranza ancora in corso – di “molte criticità nel programma di governo”. E stamattina, incalzato da Maurizio Belpietro a “La telefonata”, lo stesso Sacconi spiegava che quello nascente “non è necessariamente un governo di legislatura”. E sempre ieri Fabrizio Cicchitto aveva definito addirittura “leggende metropolitane” il mancato accordo sulla lista dei ministri, visto che non sarebbe stata “neanche sfiorata” come argomento dal momento che tutta l’attenzione era concentrata “sulle fondamentali questioni programmatiche”. Critici invece i Popolari per l’Italia, che ieri al termine dell’assemblea congiunta dei parlamentari ieri avevano respinto la possibilità di maggioranze variabili sulle riforme (Pd-Fi), che li taglierebbe fuori e avevano chiesto a Renzi di chiarire “natura, perimetro e proiezione temporale della coalizione”. E oggi il senatore Tito Di Maggio a SkyTg24rincara: “L’unica certezza è che al momento, al Senato, Renzi non ha la maggioranza. Stamattina abbiamo avuto un nostro incontro per ragionare su quanto successo alla riunione di maggioranza di ieri e ci siamo resi conto che la nostra disponibilità non è così scontata”.