Antonio Troise
L’Europa c’è. Dopo anni di rigore e parametri, di sacrifici e diktat, l’accordo sul Recovery fund segna una svolta nelle politiche del Vecchio Continente. Eppure, nella giornata dell’intesa storica raggiunta a Bruxelles, le note più stonate arrivano proprio dall’Italia. Dovremmo essere soddisfatti: con una dote di 209 miliardi, siamo uno dei Paesi che ha incassato più fondi. Invece, è proprio su questa montagna di soldi che si è scatenata una vera e propria guerra all’interno alla maggioranza. Tanto che lo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha evoca apertamente lo scenario di una “verifica” sulla tenuta dell’esecutivo in tempi rapidi, sicuramente subito dopo il varo della lege di Bilancio.
A far scoppiare la mina è stato il solito ex rottamatore, Matteo Renzi, che con un’intervista (rilasciata non a caso ad un giornale spagnolo proprio nel giorno del vertice europeo), ha sparato a zero contro il premier italiano e la sua idea di creare una di “cabina di regia” per la gestione dei fondi, con tanto di supermanager e un piccolo esercito di esperti e consulenti. Un modo, visto dal leader di Italia Viva, per mettere ai margini i partiti e la politica, affidando al presidente del Consiglio un ruolo quasi da “super-commissario” per la gestione dei nuovi fondi.
Una polemica tira l’altra, con una escalation di dichiarazioni che hanno proiettato più di un’ombra sul futuro del governo. Eppure, mai come in questo momento, sarebbe difficile sottrarre un’eventuale crisi dell’esecutivo all’impressione di trovarsi di fronte alle ritualità della vecchia politica e alle tradizionali manovre da Palazzo da Prima Repubblica. Si può discutere sulla legittimità o sulla necessità di una “cabina di regia”. E si può anche discettare sui poteri del premier. Ma quello che davvero non possiamo permetterci è un Paese bloccato dal solito teatrino dei partiti, fra veti incrociati e continui rinvii, con il vizio italico di disperdere le risorse nei mille rivoli degli interessi di parte.
Dopo l’Europa tocca all’Italia fare la sua parte. Gli alibi sono finiti per tutti. Se il Recovery plan italiano fallisce, la sconfitta è di tutti e non di questa o quella parte politica. Se non riusciremo a spendere bene, in maniera efficace e trasparente i fondi a disposizione, non potremo neanche addossare le colpe a Bruxelles. Anzi, l’Unione avrà tutto il diritto di imporci una nuova stagione di austerità. I partiti, nessuno escluso, sono avvertiti.