gi». Con quei suoi capelli rasati a zero per costringerla a indossare il velo islamico, Fatima parla alla nostra ragione. Tra quattro anni, al compimento della maggiore età, la ragazzina bengalese che ha trovato il coraggio di denunciare la brutalità dei genitori chiedendo aiuto alla scuola e, in definitiva, allo Stato, potrebbe diventare cittadina italiana. Potrebbe, sì, perché da studentessa modello quale è nella sua scuola di Bologna, completerà magari anche con successo il ciclo formativo rientrando nello «ius culturae», una delle fattispecie previste dalla riforma della cittadinanza. Potrebbe, ma forse no: perché l’agognata riforma, passata alla Camera è impantanata da un anno e mezzo alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, paralizzata da ottomila emendamenti. «Due mesi fa abbiamo siglato l’intesa per un Islam italiano. Indietro non si torna: chi vive nel nostro Paese deve rispettare le leggi e la Costituzione». Ripercorre la strada già tracciata nelle ultime settimane il ministro dell’Interno Marco Minniti, convinto che «la vera integrazione, non consente alcuna imposizione». Per questo, il giorno dopo la decisione della magistratura bolognese di allontanare dalla famiglia la quattordicenne che ha raccontato di essere stata «rasata perché non voglio portare il velo», dichiara: «Se davvero questa ragazzina ha subito una simile umiliazione, bene ha fatto la scuola a segnalare il caso e ancor di più i giudici a decidere di trasferirla altrove, per fermare possibili nuove violenze». Interlocutori privilegiati del titolare del Viminale sono stati, sin dal giorno del suo insediamento, i leader delle comunità islamiche.