di Massimo Calise

Il dubbio mi è sorto giacché mi sembra che il già flebile dibattito sulla questione meridionale sia scadendo anche da un punto di vista qualitativo. Invece di analisi lucide, corroborate da dati certi e statistiche, di critiche costruttive, di confronti produttivi, si assiste a sfoghi, a prese di posizione stizzite di chi, non potendo essere ottimista, diventa permaloso.

Un esempio recente è l’articolo del Direttore del Mattino Barbano ”Il Mezzogiorno e gli ascari del pregiudizio” con il quale attacca lo storico Ernesto Galli Della Loggia (“Il governo e il Sud che non c’è. Lo scatto necessario” Corriere della sera del 21/12/2015) e Eugenio Scalfari (“Il Mezzogiorno è povero ma c’è. Il governo invece non c’è” La Repubblica del 27/12/2015) che, nei rispettivi articoli, hanno espresso la loro opinione sulla situazione del sud d’Italia.

Barbano li apostrofa “ … gli unici ascari del pregiudizio sono loro, emiri di un corporativismo culturale diverso negli esiti, ma simile per entrambi nella distanza dal corpo del Paese”, liquidando, in un sol colpo, loro e le rispettive testate.

Evidentemente, sia Galli Della Loggia sia Scalfari non hanno bisogno della mia difesa.

Mentre l’articolo del primo mi sembra pienamente condivisibile, qualche passaggio del secondo mi ha lasciato perplesso.

Ma qui mi preme, piuttosto, contribuire modestamente al dibattito che, mi sembra, risulti mortificato dai toni rozzi e dai contenuti superficiali.

Infatti il Direttore del Mattino continua citando e minimizzando gli studi di “un giovane storico, Emanuele Felice, in due libri che hanno goduto di un grande rimbalzo mediatico”. Sostiene che quest’ultimo attribuisce la colpa del ritardo meridionale alle classi dirigenti con uno scopo: “Separare le colpe dei governanti da quelle dei governati è un tentativo maldestro di sottrarsi all’accusa inevitabile di razzismo culturale”. Non c’è scampo; a chiunque si attribuisca la colpa (dirigenti, semplici cittadini, meridionali tutti) sarà rampognato dal direttore Barbano.

Anche qui, Felice non ha bisogno della mia difesa, le sue idee possono essere condivise o meno ma, non si possono sottovalutare visto il rigoroso approccio scientifico dell’Autore.

Ma Barbano ha una sua tesi; a chi sostiene che la questione meridionale sia un fenomeno storico che si trascina da almeno 150 anni dice “Che c’entrano infatti la storia e l’antropologia[sic!] con il ritardo e il destino del Sud? Il cui scarso capitale sociale e la stessa qualità delle classi dirigenti non sono una colpa genetica, ma piuttosto il termometro di un momento storico [si, dice “momento storico”] a cui non è estranea la disattenzione delle politiche attuali e recenti”. Si tratta, sostiene, di un fenomeno recente a cui non sono estranei: la globalizzazione, la presenza di luoghi più forti e di periferie, il federalismo, la crisi dei partiti e dei pensieri politici, le nuove forme della democrazia mediale-internettiana.

Insomma un guazzabuglio, un caos che sembra inestricabile.

Ma, alla fine, il nostro ha trovato la luce: “una politica meridionalista, che è stata rimessa in piedi da questo governo dopo due decenni di totale amnesia delle classi dirigenti nazionali”. Insomma, chi pensava che per il Mezzogiorno occorressero interventi strategici, strutturali deve rassegnarsi. Occorre accontentarsi del masterplan di Renzi derubricato ad alcuni interventi di carattere congiunturale. Meglio che niente, ma, per favore, nessuno chiami questo: politica meridionalista!