di SIMONA D’ALBORA
Goffredo Mameli deve essersi rivoltato nella tomba, magari ha resistito tutte le volte che i leghisti non hanno riconosciuto quel Fratelli d’Italia come inno nazionale e gli hanno contrapposto Va Pensiero. Ha resistito a qualsiasi contorcimento perché non gli si opponeva un compositore qualsiasi, ma Giuseppe Verdi, quel Verdi, simbolo del Risorgimento. Quel Verdi il cui Nabucodonosor, che contiene proprio l’aria Va Pensiero, è stata spesso letta come la sua opera più risorgimentale, poiché gli spettatori italiani dell’epoca potevano riconoscere la loro condizione politica in quella degli ebrei soggetti al dominio babilonese. Il suo nome veniva scritto sui muri delle regioni del nord da chi si opponeva agli austriaci per farsi beffa di loro, perché sciogliendo l’acronimo gli italiani riconoscevano in Verdi Vittorio Emanuele Re D’Italia. Del resto lo stesso Va Pensiero venne proposto come inno nazionale, ma fu scartato sia perché era il canto degli ebrei sotto il dominio babilonese e doveva venire riadattato, sia perché era il coro dei vinti.
Ma oggi Mameli si sarà rivoltato nella tomba a sentire quei ragazzini cantare l’inno d’Italia all’inaugurazione dell’Expo. Qualcuno ha infatti deciso di cambiare un verso dell’inno. Motivazione: regalare un segnale di speranza ai giovani. E così siam pronti alla morte si è trasformato in siam pronti alla vita, stravolgendo, anzi vanificando il senso stesso della canzone. Sì perché l’inno può piacere o non piacere, può essere considerato un concentrato di retorica, o addirittura essere considerato superato, ma cambiando siam pronti alla morte con siam pronti alla vita, si perde tutto il senso dell’inno e qualsiasi motivazione non giustifica questo scempio. Di questo passo per regalare la speranza ai giovani dovremmo mettere mano anche ai programmi scolastici: pensiamo a Leopardi ad esempio, il suo pessimismo cosmico quale speranza può regalare ai ragazzi? Pensiamo alla sua storia triste, così come ce la raccontano, fatta di “studio matto e disperatissimo” senza mai ‘na gioia, come direbbero oggi i giovani. Oppure pensiamo a Dei Sepolcri di Foscolo, quale speranza possono trarre i giovani da una poesia ispirata a ciò che era stato scritto nell’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel giugno 1804 sulla regolamentazione delle pratiche sepolcrali? Quale speranza, infine dalla Divina Commedia, di cui si salverebbero solo il Paradiso e forse il Purgatorio? Nessuna speranza da quelle anime morte nel peccato, costrette a pene regolamentate dalla legge dell’analogia o del contrappasso per tutta l’eternità. E allora sostituiamo tutto ciò che, secondo il genio che ha partorito la mostruosità del verso rasserenante potrebbe scoraggiare i giovani, con altro. Al posto di Leopardi, Dante o Dei Sepolcri, si potrebbe inserire nel programma scolastico Carramba che sorpresa! Quale migliore programma per restituire la speranza ai giovani?
Del resto la mia generazione è cresciuta cantando l’inno d’Italia, nonostante qualcuno dica che fino a che non è diventato obbligatorio insegnarlo nessun insegnante si preoccupava di farlo conoscere ai suoi alunni. La mia generazione è cresciuta cantando siam pronti alla morte e non è certo quel verso che ci ha tolto le speranze, piuttosto la disoccupazione, il mandare curriculum a vuoto, l’essere consapevoli di vivere in un Paese dove la raccomandazione soppianta la meritocrazia, il dover fuggire all’estero per trovare un’occupazione. Ci ha tolto le speranze una classe dirigente che ha rubato, la corruzione che ha portato alla distruzione dell’Italia. Ci ha tolto la speranza una nazione con problemi strutturali profondi, con scuole che crollano, strade ed autostrade che si sbriciolano, togliendoci non solo la speranza ma anche la sicurezza. Ci ha tolto la speranza la consapevolezza che i nostri terreni, la nostra aria, la nostra acqua, da nord a sud sono avvelenati e che se anche volessimo curarci, in molte regioni è stata tolta anche la speranza di curarsi e guarire. E allora restituiamo quel siam pronti alla morte, restituiamo la dignità al nostro inno, la nostra speranza non era riposta in quattro parole di una canzone, ma in chi è venuto prima di noi, in chi ci ha governato e ci governa, nella nostra classe dirigente. Sono loro che l’hanno tradita e il segnale di speranza deve venire prima di tutto da loro.