Sì d’accordo, c’è la variante Omicron. Sì è vero, potrebbe contagiare un europeo su due nei prossimi anni, secondo le previsioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ed è anche vero che l’ondata dei contagi non concede tregua, tanto che Italia si va verso la saturazione dei posti letto. Ma c’è un altro allarme che incombe sul vecchio Continente ed è da codice rosso. E non è una cometa che promette un impatto catastrofico, come nel film “Don’t look up”.
COSA C’E’ DI NUOVO
C’è di nuovo che, ancora una volta, è dal fronte orientale che in Europa può sprigionarsi l’innesco di un conflitto. Dopo l’attentato di Sarajevo per la Prima e l’invasione nazista della Polonia per la Seconda guerra mondiale, oggi il pericolo per l’Europa viene dalla crisi Ucraina che mostra tutte le intenzioni di chiedere alla Nato di entrare nella coalizione. Premessa per la possibilità concreta che siano allestite postazioni missilistiche alle porte della Federazione russa, eventualità che Putin non può tollerare in nome della esigenza di salvaguardare la sicurezza dei propri territori. Ed ha quindi ordinato lo schieramento di centomila soldati ai confini.
A Ginevra, Vienna e Bruxelles fervono, da lunedì 10 gennaio, le trattative per evitare un devastante scontro, nel quale rischiano di essere coinvolti anzitutto i Paesi dell’Unione europea. Nella migliore delle ipotesi, soffiano venti da nuova guerra fredda. E le ricadute, se il conflitto non passa alle armi, consisteranno in gravi ricadute economiche e, soprattutto, energetiche in quanto è da Mosca che arriva un prezioso contributo al fabbisogno di gas di molti partner europei.
LE FORZE IN CAMPO
Riepilogando i termini della questione, da una parte c’è lo schieramento della Nato, che rifacendosi ai suoi principi fondativi, sostiene che il suo impegno è tenere le porte aperte a qualsiasi Paese richieda di farne parte (e l’Ucraina è pronta a passo). Dall’altra c’è un Putin molto determinato a respingere l’ipotesi della espansione della Alleanza atlantica spinta fino alle porte del suo Paese. In mezzo c’è, appunto, l’Europa che al momento tace, anche se è del tutto evidente che le nazioni europee sarebbero le prime a far le spese di uno scontro armato. Ed anche l’ipotesi ventilata da l presidente USA Biden di inasprimento delle sanzioni avrebbe un duro effetto sull’Europa. E sul Mezzogiorno.
SUD PENALIZZATO
Se tutto va bene, quindi, siamo rovinati. Come europei (e italiani e meridionali), non solo per il costo della bolletta energetica destinata ad aumenti di entità mai vista. Nel caso in cui si scegliesse di mettere il doppio lucchetto agli scambi commerciali tra Europa e Russia, lo scenario sarebbe tutt’altro che positivo. Oltre a rimediare altrove per quel 47 per cento di gas russo usato oggi per sopperire al fabbisogno energetico, l’Italia dovrebbe rinunciare a 7 miliardi di esportazioni annue verso Mosca.
E il Sud? Si sa che l’export meridionale si basa da sempre su quattro settori principali, denominate le 4A: Abbigliamento, Alimentare, Arredocasa, Automotive. E moda e food sono le principali voci della domanda russa riguardante prodotti made in Italy. Ora, se l’export del Sud nei primi nove mesi del 2021 è tornato a crescere, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, registrando un rotondo + 16,6% (rispetto a + 20,2% del Centro Nord), è evidente che una nuova stretta alle esportazioni tarperebbe le ali alla ripresa economica del Mezzogiorno affidata al PNRR.
SILENZI E GRIDA
Ma torniamo all’Europa. Nel complesso l’Unione è un gigante dal punto di vista manifatturiero e tecnologico, il suo Pil è ancora il secondo nella classifica mondiale dopo quello USA. Ma il suo peso politico e militare è da sempre irrilevante. Stiamo ai fatti. Dalla crisi ucraina fino a quella afghana passando per la Cina, l’Unione Europea non ha mai saputo (o potuto) assumere una posizione autonoma. Un silenzio che si può definire assordante se si pensa alla Francia di Macron, che è timoniere del semestre di presidenza europea scattato il primo gennaio.
E l’Italia? Mario Draghi avrebbe la stoffa e forse anche i titoli per assumersi il ruolo di mediatore tra Nato e Cremlino. Nel corso degli ultimi mesi ha avuto almeno quattro colloqui telefonici con Vladimir Putin. Durante la conferenza stampa di fine anno ha rammentato come l’Unione europea non possegga strumenti militari propri per intervenire in Ucraina in caso di conflitto aperto. Sottolineando anche che le misure economiche che potrebbe prendere rischiano di rivelarsi controproducenti. «Se noi vogliamo prendere delle sanzioni – ha affermato il primo ministro – che prevedano anche il gas, siamo veramente capaci di farlo? Siamo forti abbastanza? È il momento giusto?”. Domande a cui ha dato un solo, inequivoco responso: “Chiaramente la risposta è no”. Ma al momento il premier italiano appare impegnato (distratto?) dalla corsa al Quirinale. Ha credibilità e reputazione per assumere il ruolo di mediatore ai più alti livelli. Vedremo se avrà voglia e modo di misurarsi anche con questa sfida.