Il tema dell’autonomia differenziata è di nuovo nel fuoco del dibattito politico-istituzionale. Non c’è da restarne sorpresi, è logico che sia così. Anche se alla guida del Paese non ci sarà più un governo a trazione leghista, la riforma dell’ordinamento territoriale nato a fine anni Settanta con le istituzioni delle Regioni ha urgente bisogno di manutenzione, come dice qualche esperto. Inoltra la materia rientra tra gli argomenti oggetto di “contrattazione” tra le delegazioni dei partiti in vista dell’eventuale formazione di un nuovo governo.

Quanto mai tempestivo allora è il documento diffuso dall’Osservatorio sul Regionalismo differenziato sorto il 2 agosto scorso in seno all’Università Federico II (Dipartimento di Giurisprudenza). Con quale scopo? Rendere disponibile “un contributo critico, scientificamente fondato, delle Università” – metta in campo alcune prime risultanze, selezionando quelle ormai ferme nel dibattito scientifico.

Ecco di seguito i punti posti in evidenza dal documento:

 

RESIDUO FISCALE

Alla base delle richieste di autonomia di Emilia Romagna, Lombardia e Veneto c’è il concetto di residuo fiscale. Di cosa si tratta? Della differenza (positiva) che emerge tra la somma dei tributi pagati in ciascuna di tali Regioni del Nord e la spesa pubblica erogata in quelle medesime Regioni. Insomma, in quelle tre regioni i tributi pagati eccedono largamente la spesa. Risorse che le Regioni del Sud hanno sottratto e sottraggono a quelle del Nord. E che quindi debbono a esse “restituire”.

Ma è una richiesta priva di fondamento poiché tocca “al decisore politico garantire che, a parità di reddito, i cittadini ricevano eguale trattamento in qualsiasi parte del territorio dello Stato intendano risiedere”.

 

DICE LA SVIMEZ

Occorre poi segnalare quanto rilevato da SVIMEZ: se nella base di calcolo del residuo fiscale si comprendono anche gli interessi sul debito pubblico (Residuo Fiscale Finanziario), esso si assottiglia fino a scomparire.

Dunque, il residuo fiscale non sussiste, o è largamente inferiore a quanto enunciato. Nella parte in cui esista, dovrebbe fondare politiche di perequazione tra Regioni.

 

I CONTI PUBBLICI TERRITORIALI

A fondamento della proposta di massiccio trasferimento delle funzioni sono addotti i dati della Ragioneria Generale dello Stato, i quali comproverebbero il più basso livello della spesa pro capite nelle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata a confronto con le Regioni del Sud. Ma tali dati – ci dice ancora SVIMEZ – si riferiscono soltanto alla spesa pubblica regionalizzata, che è poco più del 43% della spesa totale dello Stato.

Se, invece, si considerano i dati del Sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT), riferiti alla spesa erogata dalla pubblica amministrazione nel suo complesso, le Regioni che chiedono la differenziazione balzano in cima alla classifica e la spesa per abitante e per settori risulta assai minore al Sud (con le conseguenze note sul livello di garanzia dei diritti sociali).

 

IL RUOLO DEL PARLAMENTO

In ogni caso va garantitoun percorso per consentire al Parlamento di entrare nel merito dei contenuti delle intese stabilite tra Regioni e governo. In caso contrari sarebbe difficile sfuggire a censure di illegittimità costituzionale. Tanto più se la si concepisse come una sorta di via tortuosa alla creazione di nuove Regioni ad autonomia speciale.

 

I LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI

E’ fondamentale la determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario, così come dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP). Senza questa premessa, sarebbero impediti interventi perequativi in favore dei territori meno dotati di servizi, continuando a consentire a enti inefficienti di perpetuare gestioni poco virtuose.

 

DISCRASIE E OMISSIONI

Nel complesso, le politiche in materia di autonomie territoriali vanno ricondotte nell’alveo costituzionale, correggendo discrasie e rimediando a omissioni in sede legislativa.

Del resto tali discrasie e omissioni hanno prodotto una distribuzione iniqua delle risorse, a vantaggio delle aree del Paese economicamente più forti, con la conseguenza di un grave aumento del divario Nord-Sud.