Rai: scoppia una nuova grana per il Governo nel giorno del debutto a Piazza Affari di Rai Way, la spa del gruppo proprietaria della rete di diffusione del segnale radiotelevisivo. Il Cda della Tv pubblica ha infatti dato il via libera al ricorso contro il decreto Irpef con cui l’esecutivo ha imposto una spending review di 150 milioni all’emittente di Stato. Una mina piazzata all’ordine del giorno dal consigliere Antonio Verro e che nemmeno il tentativo di mediazione del direttore generale Gubitosi è riuscita a disinnescare; sei i voti a favore, due i contrari, mentre la presidente Tarantola si è astenuta. Il ricorso, definito “inopportuno” dallo stesso Gubitosi, ha spinto alle dimissioni la consigliera Todini, che si è così voluta dissociare da una decisione “inaccettabile e irresponsabile”; positiva invece la reazione dell’Usigrai che ha parlato di “atto indispensabile per riaffermare il principio di autonomia della Rai”. Il premier Renzi, molto contrariato, si è sfogato con i fedelissimi dicendo che “la decisione del Cda si commenta da sola, il Paese capirà che noi siamo nel giusto”.
Italicum: si allontana il rischio di elezioni anticipate dopo che Gaetano Silvestri, ex presidente della Consulta, davanti alla commissione Affari costituzionali del Senato ha detto, senza mezze parole, che serve una norma che estenda l’applicazione del nuovo sistema elettorale anche al Senato, ipotesi che l’attuale testo non prevede. Senza questa modifica entrambi i rami del Parlamento dovrebbero essere eletti con il sistema uscito dalla sentenza della Corte Costituzionale, un proporzionale puro con preferenza unica. Escluso che si possa votare alla Camera con l’Italicum ed al Senato con il proporzionale, come si riteneva all’indomani del primo via libera alla riforma elettorale a Montecitorio. Anna Finocchiaro, presidente della Commissione e relatrice dell’Italicum, ha confermato la necessità di una disciplina transitoria per Palazzo Madama; le possibilità sono varie, compresa quella del ritorno al Mattarellum, ipotesi che manderebbe in frantumi il patto del Nazareno.
Politica estera
Papa: si acuiscono i timori sulla sicurezza del Pontefice, forse anche solo come riflesso del disorientamento psicologico, oltre che geopolitico, dell’Occidente. Le sempre più cruente e crudeli immagini di esecuzioni che arrivano dal nuovo Stato islamico, oltre a fare proseliti in Europa alimentano la paura di un possibile attacco diretto contro Papa Francesco. Ai fantasmi dell’attentato di Alì Agca contro Giovanni Paolo II, nel 1981 in Piazza San Pietro, tra la folla, si somma lo spettro di un’azione eversiva del fondamentalismo islamico; motivi di apprensione che sono anche giustificati dall’insofferenza con la quale il Pontefice vive le misure di prevenzione adottate per i suoi spostamenti. Nelle ambasciate occidentali a Roma si avverte una certa inquietudine, tra i diplomatici ci si scambiano impressioni che danno corpo agli scenari più foschi, ma i servizi di sicurezza italiani e vaticani appaiono più cauti; per ora, spiegano, il pericolo non è quello di grandi attentati ma dell’atomizzazione dell’eversione.
Obama: il presidente americano annuncerà questa sera, con un messaggio televisivo alla nazione, una misura che segnerà una svolta nelle politiche seguite nei confronti dei lavoratori stranieri privi di documenti. Non ancora la sanatoria definitiva che aveva promesso, ma pur sempre un provvedimento, temporaneo e di portata limitata, che però alimenterà un nuovo durissimo scontro tra la Casa Bianca ed il Congresso, ormai a maggioranza repubblicana. La misura dovrebbe applicarsi a circa 5 milioni di immigrati, sui circa 11 che vivono negli Usa, e prevede una sospensione temporanea delle deportazioni dei clandestini; sarà presentata come un’estensione dell’atto, varato nel 2012 dallo stesso Obama, per mettere al riparo dal rischio di arresto e di rimpatrio i giovani figli di clandestini che sono cresciuti ed hanno studiato in America.
Israele: il governo di Tel Aviv teme che il virus Isis contagi i giovani arabi e corre ai ripari con un’offensiva di dichiarazioni pubbliche tese a scongiurare un’Intifada religiosa. Per disinnescare la sovrapposizione fra nazionalismo palestinese e jihadismo si muovono i leader religiosi ebrei, musulmani, greci-ortodossi e cristiani latini; l’incontro è avvenuto nella sinagoga teatro del sanguinoso attacco di martedì, al termine il presidente del Consiglio islamico di Israele ha riassunto alle tv un messaggio collettivo contro tutte le violenze e le guerre religiose. Sul terreno intanto l’esercito israeliano ha distrutto ieri la casa del palestinese che il 23 ottobre scorso investì e uccise una bimba di 3 mesi ed una giovane donna di 22 anni. Netanyahu ha inoltre autorizzato la costruzione di 78 nuove costruzioni nei quartieri ebraici a Gerusalemme Est, innescando la protesta dei palestinesi, che parlano di “escalation che vanifica gli sforzi per riportare la calma”.
Economia e Finanza
Lavoro: sarà il 12 dicembre il giorno dello sciopero generale, indetto da Cgil e Uil contro la politica economica del Governo e la riforma del mercato del lavoro. Un inedito nella storia delle relazioni sindacali, perché la Cisl non ha condiviso l’iniziativa e limiterà la protesta al settore pubblico con l’astensione dal lavoro il primo di dicembre; “una scortesia” come l’ha definita la Camusso, alla quale la Furlan ha ribattuto affermando che “lo sciopero non è mai stato in agenda”. Sindacati spaccati quindi, ma scontro sempre più acceso fra Cgil – Uil e l’esecutivo Renzi; ieri il ministro Poletti è stato fischiato al congresso della Uil, che domani eleggerà il suo nuovo segretario Carmelo Barbagallo, dopo aver rinunciato ad intervenire dal palco proprio a causa della proclamazione dello sciopero. Anche il presidente di Confindustria Squinzi ha criticato la decisione delle organizzazioni dei lavoratori, dicendo che “in un momento come questo gli scioperi non risolvono nulla”.
Manovra: si profila un giudizio favorevole da parte della commissione europea per la legge di stabilità italiana, una promozione condizionata ma comunque sufficiente ad evitare, almeno per il momento, la richiesta di interventi aggiuntivi. Il nostro esecutivo ha già accettato ritocchi rispetto all’impianto originale della propria manovra, che comportano un rapporto deficit/Pil per il 2015 abbondantemente al di sotto della soglia del 3 per cento ed una correzione strutturale pari a circa la metà di quella richiesta da Bruxelles. Restano altri punti deboli su cui la commissione europea non potrà sorvolare, dal tema del debito pubblico alla fragilità di alcune coperture della manovra, ma l’orientamento, a seguito dei contatti tra il nostro governo e il presidente Juncker, è comunque verso un’apertura di credito.