Di Luca Maimone

Ci si sente in colpa perché ci si sente soli, ci si sente in colpa perché depressi, ci si sente in colpa perché si ha voglia di girare liberamente, ci si sente in colpa perché manca lo svolgere semplici attività come praticare uno sport, ci si sente in colpa per il desiderio di cenare fuori, di voler bere in compagnia, di passarsi uno spinello in piazza, di avvertire la voglia di una scappatella (vabbé qui la colpa è ancora più forte), ci si sente in colpa di voler partire. In questo momento di pandemia e connessa claustrofobia, semplici attività piacevoli, che svolgevamo un tempo spesso svogliati, nella loro mancanza sentiamo la loro vitale importanza. Il senso di colpa, sentimento parassita che subdolamente si insinua quando il desiderio diventa forte e viola qualche norma consolidata della cultura di appartenenza, può essere un invisibile cappio che stritola la gola e la vita. Ora che in gioco ci sono i temi della salute e della sopravvivenza, alcuni governanti di tradizione maggiormente moralista, i media più filogovernativi e coloro che sono maggiormente spaventati dal virus che possono essere definiti affettuosamente restacasisti, discettano filosoficamente sulla distinzione tra bisogni essenziali e bisogni superflui, relegando la ricerca del piacere al campo del superfluo. Oltre all’arbitrarietà di tale discorso, in quanto la mia superflua voglia di birra, vino, etc…, potrebbe essere il bisogno essenziale del venditore di fornirmeli (per sostenere sé stesso e la sua famiglia), tale discorso ha tutto il tono di un paternalismo grossolano e autoritario che giudica la ricerca del piacere come qualcosa di secondario e quindi irrilevante, quasi fosse un peccato…Dal peccato quindi, soprattutto per noi che siamo nati in una cultura giudaico-cristiana, alla colpa il salto è brevissimo e oltre ai timori dell’ammalarsi e del fare ammalare i propri cari più anziani, si somma il parassitario senso di colpa per le proprie voglie di gioco e piacere, mentre il mondo è in lotta col virus malefico. Più peccatori di così! Ma l’uomo non è aristotelicamente un animale razionale, molto più realisticamente e in sintonia con Spinoza, l’uomo è soprattutto un animale desiderante. Qualche anno fa il filosofo anarchico Hakim Bey formulò il concetto di T.A.Z. (TemporaryAutonomous Zone – Zone Temporaneamente Autonome) tali zone descrivono la tattica sociopolitica di creare zone temporanee che eludono le normali strutture di controllo sociale, zone libere dai condizionamenti burocratico-religiosi. In questo regime di libertà vigilata allora ciò che possiamo fare per resistere alla paura, alla depressione e alla colpa è far sì che, con la collaborazione dei nostri – si augura – amati coinquilini, le nostre case diventino delle TAZ, oasi pirata di piacere e libertà, in cui celebrare nonostante tutto: danzando, ubriacandoci, ascoltando musica, colorando, massaggiandoci e facendo l’amore sperimentando con gli psichedelici, e passando anche uno spinello alla nonna, se vi sono sia la canna che la nonna. L’importante è ricordarsi che, con l’atteggiamento e la predisposizione giusta, si può essere liberi anche tra quattro mura. Da perdere non abbiamo nulla se non la nostra tristezza e rassegnazione.