di Lucia De Sanctis
Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.
Cosa ne pensa della legalizzazione delle droghe leggere?
Se il termine “legalizzare” significa regolamentare, controllare e vigilare, allora, sono pienamente d’accordo sulla legalizzazione delle droghe leggere. A onor del vero, sono stato e sono tuttora favorevole a un’azione volta a rendere legale, sotto il controllo diretto dello Stato, la vendita e la coltivazione della cannabis e dei suoi derivati per scopi terapeutici. Il concetto di legalizzazione che intendo io, implica una “libertà condizionata” nella produzione e nella vendita delle sostanze leggere e non di certo la nascita di un libero mercato delle sostanze stupefacenti. Se si impostasse il tema su simili direttrici, non ci vedo nulla di pericoloso nel consentire la produzione e il libero commercio, nel rispetto della legge, delle droghe leggere e dei suoi derivati per scopi sanitari, ludici e ricreativi.
Cosa la fa propendere per la tesi di Cafiero de Raho, lo spiega?
Ciò che dice lui ora l’ho scritto circa dieci anni fa quando non la pensava così. Sono convinto che la tenue pericolosità delle droghe leggere giustifichi, all’interno di tale prospettiva, la scelta di legalizzazione che alcuni Stati potrebbero adottare, e ciò assume anche validità scientifica soprattutto se si considera che sostanze come alcol e tabacco, valutate da molti studiosi come più dannose delle droghe leggere, siano da sempre tollerate e regolarmente commerciate. Alcol e tabacco, sono responsabili di migliaia di vittime ogni anno e godono persino dei benefici della pubblicità. Credo che una legalizzazione “condizionata” delle droghe leggere possa evitare il pericolo concreto per i più giovani di entrare in contatto con ambienti delinquenziali e soprattutto possa garantire a chi ne fa uso un controllo sul prodotto e conseguentemente meno rischi sulla salute.
Legalizzerebbe anche la cannabis per scopo terapeutico?
Assolutamente sì. Non riesco a comprendere che male ci sarebbe nel consentire l’uso della cannabis per scopi terapeutici. Voglio solo ricordare che questa droga è già coltivata negli stabilimenti dell’Esercito italiano. Una volta prodotte con simili meccanismi, le droghe leggere poi dovrebbero essere somministrate attraverso il circuito delle farmacie e sarebbero certamente meno pericolose poiché non conterrebbero quegli additivi chimici e inquinanti che fanno più danni dello stesso principio attivo e che sono stabilmente usati dalle organizzazioni criminali per incrementare gli introiti economici.
Quale connessione c’è tra droghe leggere e criminalità organizzata?
La legalizzazione delle droghe leggere, con interventi mirati, potrebbe sottrarre terreno al traffico e allo spaccio e avrebbe il vantaggio di far concentrare la magistratura sulle organizzazioni criminali e sulla filiera economica che ne deriva. Sappiano inoltre che la microcriminalità è alimentata soprattutto dai giovani che proprio per procurarsi queste sostanze si rivolgono al mercato nero e commettono delitti come furti, scippi e rapine. La legalizzazione contribuirebbe certamente a far diminuire anche questi reati. A sostegno delle mie argomentazioni porto l’esempio di un Paese europeo molto vicino all’Italia: il Portogallo. Nel 2000 questa Nazione ha deciso la depenalizzazione del possesso di qualunque tipo di droga, dalla marijuana all’eroina. Premesso che noi siamo per la legalizzazione delle sole droghe leggere, oggi, a prescindere dalla nostra opinione, si può affermare che la misura intrapresa dal Parlamento portoghese ha avuto successo. In Portogallo, le autorità di polizia non arrestano più chi è trovato con una dose pari al consumo medio individuale per massimo dieci giorni (vale a dire, un grammo di eroina, ecstasy o anfetamina, due grammi di cocaina, venticinque grammi di cannabis). Chi commette delitti legati alle sostanze stupefacenti riceve un mandato di comparizione, che lo costringe a presentarsi davanti a dei “comitati di dissuasione” composti di giuristi, psicologi e assistenti sociali.
Il Portogallo quindi potrebbe essere un esempio?
Il Portogallo ha fatto passi da gigante anche per quanto riguarda il sistema di sanità pubblica, con vasti programmi di prevenzione, di trattamento e moltissimi effetti deflattivi sulla giustizia penale. In società dove le droghe sono meno stigmatizzate, i consumatori sono più inclini a cercare delle cure. Sono venticinque i Paesi che hanno introdotto qualche forma di depenalizzazione, ma il modello portoghese è unico nel suo genere. Dall’entrata in vigore della legge sulla legalizzazione delle droghe nel 2001, i casi di HIV in Portogallo sono diminuiti drasticamente, passando da 1016 a 56 nel solo 2012, mentre le morti da overdose sono scese da 80 a 16.
Quindi molti reati in materia di stupefacenti in Portogallo sono depenalizzati?
No, affatto. Le droghe sono ancora illegali in Portogallo e i trafficanti e gli spacciatori continuano a essere spediti in prigione e con pene severe. La legalizzazione ha un senso e funziona se all’origine ci sono: una seria attività di prevenzione, servizi sanitari efficienti, la disintossicazione, le comunità terapeutiche e le possibilità d’impiego per le persone che consumano droga. Per affrontare con cognizione di causa questo delicatissimo argomento, allora, occorre ragionare sul fatto che stiamo parlando di dipendenza, di malattia cronica, di un problema di salute. Il fatto che tutto ciò stia al di fuori del sistema penale, a mio giudizio, rappresenta un fattore positivo. Il problema, dunque, va affrontato con molta attenzione ma liberandolo da pregiudizi che spesso frenano possibili e utili riforme.