Ciro Ferrara, intervistato da ‘La Repubblica’, racconta che Diego Armando Maradona, nella sua casa sulla collina di Posillipo, al numero 3 di via Scipione Capece, si allenava anche in cantina. ”Un tapis roulant, Diego – ricorda – si era sistemato una specie di palestra in cantina, sapete, i nostri erano tempi artigianali. Ci correva sopra. E lo faceva anche quando non veniva ad allenarsi con noi, quando era rimasto a dormire un po’
troppo, quando tutti lo davano per perso: e invece Diego galoppava da solo, là sotto”. Parla poi del dolore per la scomparsa del campione.
”La parola giusta – afferma – è amore. Ho cominciato ad amare Maradona quando avevo diciassette anni, giocavo nel Napoli e gli davo
del lei. E ho continuato per trent’ anni. Bellissimi. Perché non c’erano distanze, non c’erano oceani tra noi. L’ho stimato, l’ho
conosciuto credo come pochi ma amato come tantissimi: era impossibile non farlo”.
Ferrara spiega inoltre di aver amato Maradona, “per la sua profonda, straripante umanità. Per la vicinanza con tutti. Era un dio, ma
nessuno – sottolinea – è stato più umano di lui. Mai una volta l’ho visto salire sul piedistallo, essere superbo. Quando doveva dirti che
avevi sbagliato un pallone, un passaggio, una giocata, aspettava che lo spogliatoio si svuotasse, ti prendeva da parte e ti spiegava. Nella
mia vita, Diego è stato una presenza immensa”. Sulla vita del campione fatta di luci e ombre afferma poi: “Non si possono separare e non
sarebbe giusto. Lui non si è fatto mancare niente, ha vissuto ogni cosa al massimo, smodatamente. A volte, la notte sentivo alzarsi dal
garage il rombo della sua Ferrari. E così il giorno dopo, al campo d’allenamento, quando Diego tardava e i compagni mi guardavano
interrogativi, ‘e allora, Ciro, lui che fa?’, io rispondevo ‘ragazzi, mi sa che oggi non viene’. Ma poi lo trovavo ad allenarsi da solo,
come un forsennato”.