Lo scenario politico ci restituisce una situazione di sostanziale parità tra le grandi forze: il Movimento 5 Stelle vicino al 31%, il Partito democratico poco sotto il 30%, il centrodestra nel suo insieme vicino al 29%. Il tripolarismo consegnatoci dalle elezioni 2013 rimane la condizione stabile. In questo difficile contesto, sia il governo sia il presidente del Consiglio migliorano lievemente le valutazioni registrate un mese fa. Entrambi crescono di tre punti nell’indice di gradimento. L’aumento può dipendere da molti fattori: da alcune misure previste dalla legge di Stabilità alla «voce grossa» contro l’Europa su deficit e migranti. Molto probabilmente si aggiunge l’effetto referendum. Gli elettori vicini, in occasione di una scadenza elettorale rilevante, tendono a ricompattarsi. Le voci critiche rientrano e ci si stringe intorno al proprio rappresentante. Il risultato è una evidente polarizzazione. La trasversalità iniziale di Renzi, capace di conquistare consensi al di là della propria area, è rientrata. Anche se segnali di apprezzamento vengono altresì dal centrodestra, in particolare da Forza Italia (un elettore su quattro). Quanto al voto per i partiti, va notato, nel centrodestra, il parziale ridimensionamento della Lega (passata da ottobre ad oggi dal 12.1% all’11.3%). Le ipotesi nazionali e «lepeniste» di Salvi-ni hanno raggiunto il tetto massimo dei consensi, che tendono a diminuire. Oggi in Italia lo spazio per questo tipo di proposte è ridotto per la presenza dei 5 Stelle che aggregano gran parte del voto di protesta. Salvini oggi è in difficoltà: troppo debole per diventare il leader di tutto il centrodestra, troppo forte per diventare gregario. Il Pd mantiene i propri risultati con segnali di contrazione rispetto all’inizio dell’anno. La battaglia referendaria ha accentuato le divisioni interne. Questo non produce crolli nel consenso (la «fronda» sembra essere interna al partito e poco presente nell’elettorato) ma non aiuta a espandere la propria forza.