Ieri con una nota affidata all’Agi il senatore Tonino Gentile ha fatto sapere che se Scopelliti si candiderà alle europee lui non potrà che essere felice, in quanto lo ritiene un «amico». Poi ha pontificato sul sicuro successo del suo partito in diversi centri della Calabria e sul proposito di «intercettare i bisogni della popolazione». Credo che la coscienza civile di tanti calabresi che si sono fatti vivi con me negli ultimi tre mesi e specialmente dall’Oragate in poi, sia abbastanza matura per non abboccare all’amo, come si suol dire. Le parole del senatore invece sono un’interessante conferma alla ragione dell’assurdo silenzio di Scopelliti sulla pesante censura che abbiamo subito la notte tra il 18 e il 19 febbraio, silenzio abbinato a un altrettanto assurdo atteggiamento elogiativodifensivo verso Gentile, che in verità con gli intimi ha sempre detto di non amare affatto. Il motivo di tutto ciò era salvare il proprio potere fortemente minato dal caso Fallara e senza l’ausilio dei fratelli Gentile sarebbe stato difficile se non impossibile. Nell’unica telefonata che mi ha fatto Scopelliti dopo la questione della mancata andata in stampa, il pomeriggio del 19 febbraio, mi ha detto che con la conferenza stampa in cui denunciavo le pressioni subite per togliere la notizia sull’apertura dell’indagine a carico del figlio del senatore, stavo facendo “troppo casino” e che questo “casino” avrebbe “danneggiato la sua coalizione”. Come se l’Ora fosse un organo dell’Ncd e come se essere dell’Ncd significasse dimenticare delle libertà costituzionalmente garantite. Ma non dovevo stupirmi. Perché ricordo che nell’unica volta in cui lo incontrai a Reggio, all’inizio della mia direzione, a pranzo, esternò molta collera verso Il Quotidiano che in quel periodo lo stava attaccando. Disse che avrebbe potuto distruggerlo. Mi vennero i brividi. Notai dopo alcuni giorni che la linea della testata suddetta nei suoi confronti, magari per una semplice coincidenza, si era piuttosto ammorbidita. Nella stessa conversazione, Scopelliti mi parlò malissimo del mio collega Consolato Minniti, onesto, coraggioso e documentato, (che io non conoscevo neppure) dipingendomelo come una penna al servizio del suo accusatore, Demetrio Naccari Carlizzi. Oggi capisco il senso di quelle esternazioni: nella logica scopellitiana-gentiliana del potere o si è con loro o bisogna essere tacitati, screditati. È il sistema del bavaglio e delle quiescenze. Ora che Scopelliti sa che ragiono con la mia testa, ora che io e miei colleghi abbiamo lanciato uno squarcio sul suo alleato di comodo, Gentile, i galoppini del presidente vanno dicendo in giro che è tutto il nostro giornale al servizio di Naccari Carlizzi: ridicolo e nello stesso tempo deprimente. L’ultima prova della nefasta strategia ieri alla conferenza stampa convocata da consiglieri di maggioranza e assessori regionali in cui mi si è anche accusato di aver dato spazio a dichiarazioni intimidatorie da parte di Naccari Carlizzi: e l’opionione che l’Ncd ha più volte espresso sul nostro giornale a proposito dello stesso Naccari? Noi non abbiamo due pesi e due misure, non vogliamo e non mettiamo bavagli. Ci pensi quel senatore che rivolge domande ad arte in pubblico, come fosse un giornalista, imbeccato da Scopelliti, solo per screditare chi non è suo corifeo. Pensi che è molto più intimidatorio cercare di condizionare la stampa, spargendo accuse gratuite, sull’onestà dei cronisti e di un direttore, di cui dovrà tenere conto in sede legale. Come vi avevo già rivelato il nostro giornale ha accumulato nell’esercizio precedente un forte passivo. L’editore non è più in condizione di ricapitalizzare e quindi domani verrà nominato un liquidatore. De Rose, il nostro stampatore, che minacciò Alfredo Citrigno usando le vicende giudiziarie che riguardano la sua famiglia e il presunto potere che avrebbe potuto esercitare su di esse il senatore Gentile, per convincermi a “cacciare a cazzi e notizia” sul figlio di Tonino, avrebbe fatto sapere che acquisirà, come principale creditore, questa testata che in questo periodo sta registrando ottimi risultati, in termine di vendite e di introiti pubblicitari. Io spero per la Calabria intera, per i valori in cui non smetterò mai di credere, che ciò non accada. Ma se dovesse succedere, non gongolino i De Rose, gli Scopelliti e i Gentile. Noi non taceremo, continueremo la nostra lotta per la libera informazione. Non so per quanto ancora andremo in edicola. Da domani potrebbe essere l’ultimo giorno, non abbiamo certezza di alcunché, a parte del nostro credo fermo nella verità e nella giustizia. Ma crediamo anche nei calabresi, numerosi, che ci stanno sostenendo, e che di certo non assisteranno passivi a ciò che si sta consumando, e riconosceranno un’eventuale Ora della Calabria “imbavagliata”. Se questa dovesse essere la nostra ultima uscita, permettetemi di dire grazie innanzitutto a voi lettori. Poi un altro grazie immenso alla mia squadra, che ha lavorato nelle condizioni più difficili e proibitive per tante ragioni. Tutti, nessuno escluso, anche quelli che ho potuto vedere di meno perché lavorano nelle redazioni periferiche, ho sentito vicini e partecipi a un modo nuovo ma giusto di fare giornalismo, anche opponendosi a poteri forti e a volte sotterranei, un modo che, era stato messo in preventivo, può pagarsi con la chiusura di una testata. Mi viene in mente il docente di Storia Americana mio relatore alla tesi di laurea alla Luiss, Raimondo Luraghi, che citava spesso Father Ryan, un poetico religioso d’origine irlandese che scrisse versi sulla caduta del Sud dopo la Civil War: “Ci hanno sconfitti e distrutti, ma non uccisi, perché resterà sempre vivo il nostro messaggio, sempre presente il nostro grido di libertà”. Un grazie affettuoso anche all’editore Alfredo Citrigno, che ha creduto in me e mi ha chiamato a dirigere questa testata. Abbiamo condiviso prove difficili in questi tre mesi. Lo ringrazio poi per avermi permesso di esercitare il mio lavoro liberamente, anche quando gli veniva chiesto in termini temibili di mettere a tacere me e la redazione. Arrivederci a tutti, comunque vadano le cose.