In aula una settimana dopo, il 5 giugno e non più il 29 maggio, ma la legge elettorale sarà approvata entro il mese prossimo alla Camera. Matteo Renzi ottiene quel che ha fortemente voluto, ma ora che una testo per la riforma sulla carta c’è (il suo), che il Pd su quello ha deciso di andare fino in fondo per strappare il Mattarellum bis entro l’estate, ecco che apre ufficialmente i battenti il gran bazar del Senato. Perché se a Montecitorio il testo non incontrerà ostacoli e nel giro di poche settimane otterrà il via – come deciso ieri dopo una battaglia campale di due giorni l’ufficio di Presidenza convocato da Laura Boldrini ieri sera- il percorso si preannuncia in salita, ai limiti del proibitivo a Palazzo Madama. L’accelerazione del Pd viene bollata come forzatura da chi non la vuole; e da chi teme che la fretta sulla riforma elettorale, condivisa da Matteo Renzi con la Lega di Matteo Salvini, sia solo una trovata per l’ultimo tentativo di andare a elezioni anticipate. I sospetti abbondano, sebbene a volte riflettano anche pregiudizi reciproci. Fotografano un centrosinistra e un centrodestra divisi al proprio interno, prima che contrapposti agli avversari; e segnati dalle scissioni e dalle questioni di leadership. L’impressione, però, è che il vero rischio di una riforma affrettata sia quello del pasticcio.
Romano Prodi ieri sera a Otto e mezzo ha parlato soprattutto del Pd, di Matteo Renzi e delle speranze di rivedere in campo un centrosinistra: perché, sostiene il padre di quello che fu l’Ulivo, si può vincere soltanto «se si rimettono insieme» tutte le anime che hanno composto la coalizione.
Silvio Berlusconi studia le mosse per raggranellare più consensi: «Oltre a quella di Fi e degli alleati che ci vorranno stare, presenteremo una serie di liste che cercheranno di avvicinarsi il più possibile ai cittadini». Così starebbe pensando ad una lista ad hoc che potrebbe intercettare la sensibilità degli animalisti.
