“Perché un popolo liberato dalla tirannide di un governo “negazione di Dio sulla terra”, si ribella ai liberatori?” Si chiedeva, subito dopo l’Unità d’Italia, Lord William Ewart Gladstone, esponente del Partito Liberale Inglese e Primo Ministro del Regno Unito per ben quattro volte.

La risposta, per la verità, la darà qualche anno dopo Antonio Gramsci, spiegando che “Lo Stato italiano è stata una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri, che gli scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di Briganti…”.

Una guerra fratricida, con i piemontesi che si sono macchiati di crimini orrendi, come nel caso del massacro di Pontelandolfo e Casalduni che solo oggi a distanza di oltre 150 anni è stata ammessa anche dagli storici. Scrive lo scrittore Carlo Alianello: «Finiamola di definirci i buoni d’Europa, e nessuno dei nostri fratelli del Nord venga a lamentarsi delle stragi naziste. Le SS del 1860 e degli anni successivi si chiamarono, almeno per gli abitanti dell’ex Regno delle Due Sicilie, Piemontesi. Perciò smettiamola di sbarrare gli occhi, di spalancare all’urlo le bocche, a deprecare violenze altrui in questo o in altri continenti. Ci bastino le nostre, per sentire un solo brivido di pudore. Noi abbiamo saputo fare anche di peggio”. Una strage dimenticata, liquidata in poche righe nei libri di storia ufficiali.

“Se si volessero conoscere in maniera più dettagliata gli atti relativi al periodo del brigantaggio – rivela Pasquale Pollio in “Sud..nditi” – bisognerebbe recarsi presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito a Roma, dove dovrebbero ancora essere conservati degli atti e dei documenti inerenti al Brigantaggio post-unitario. Anche se ho dei seri dubbi che ne siano rimasti tanti e, inoltre, non credo che sia facile poterli consultare. Infatti, la leggenda che si narra sui documenti è la seguente, ma vi prego di prenderla con il beneficio dell’inventario in quanto non abbiamo riscontri documentali in merito. Nel 1866 il comando delle truppe piemontesi di Napoli inviò all’archivio di Firenze 73 fascicoli privi di indici e senza ordine contenenti rapporti militari, processi, relazioni, foto, cartine geografiche, manifesti e disegni. Nel 1871 le cartelle furono inviate, senza effettuare alcuna catalogazione, all’Ufficio Storico di Roma. Tra il 1892 ed il 1894 furono inviati a Roma i restanti documenti di Napoli inerenti il brigantaggio, compreso i diari di guerra  luogotenente Cialdini, che sarebbe veramente interessante consultare. Giunsero altri documenti dalla Calabria, Sicilia, Puglia e dalla Lucania. Un tal tenente Gilberti fu assegnato all’archivio con il compito di mettere in ordine i documenti, ma si limitò a dividere le materie e nel 1897 fu spostato ad altro incarico. Nel 1908 fu assegnato all’incarico un certo capitano De Bono che riuscì a sistemare i documenti del periodo 1860-1862, poi nel 1913 lasciò l’incarico al capitano Cesari che completò l’opera. Probabilmente molti documenti furono distrutti”. Forse, dopo 150 anni, sarebbe anche venuto il momento di conoscere la verità sulle stragi che hanno insanguinato il nostro paese fra il 1860 e il 1870.