di Pasquale Martucci
Nelle attuali società, si avverte la tendenza a seguire il motto: il fine giustifica i mezzi, quando invece il mezzo dovrebbe essere strumento delle finalità da realizzare.
Questo il punto di partenza provocatorio di Maurizio Bolognetti (giornalista e scrittore radicale), che si è confrontato con Sergio Mantile (sociologo) su Radio Libertà il 3 ottobre 2022.
L’intento era di porre l’attenzione su alcune questioni sociali legate alle attuali forme democratiche e sulla specificità della sociologia territoriale e le inevitabili connessioni con la società più estesa.
Lo scopo dei sociologi è quello di attivare l’interconnessione del sociale, che significa individuare i nessi nella ricerca per avere opportune chiavi di lettura della società. Per fare ciò si deve coniugare la conoscenza teorica e quella pratica, contestuale.
Mantile, che è segretario ANS (Associazione Nazionale dei Sociologi), Dipartimento Campania, è convinto assertore di una ricerca applicata alle dinamiche territoriali.
Da qui partono i progetti dell’ANS Campania, i Simposio-Laboratori di sociologia.
Sono coordinati dall’ANS nazionale e realizzano attività di formazione, ricerca e valorizzano eventi specifici del territorio. L’assunto propedeutico è che, nell’ambito della società complessa, interessano i prodotti intellettuali, quelli delle attività rivolte a pubblici disparati, a persone che hanno pensieri diversi.
Il laboratorio di sociologia si interessa dei territori per portare a compimento progetti e iniziative, focalizzandosi in particolare su due aree: la Terra dei Fuochi da un lato; il Cilento, una miniera di bellezza, natura e tradizioni, dall’altro.
Nella conversazione con Bolognetti, si sono colte due specificità interessanti.
- La prima è legata proprio alle attività da svolgere con il coinvolgimento e la crescita della sociologia, attenta ai riscontri territoriali. Uno degli aspetti che ha convinto nell’analisi di Mantile è proprio l’osservare le aree di riferimento a partire dalla letteratura sociologica e non solo, quella della complessità che mette insieme le “culture” presenti nella società. La finalità formativa e professionale è essenziale per l’assenza di un’adeguata formazione idonea a fare ricerca e a studiare i fenomeni. Tutto ciò per trovare risorse umane (sociologi) in grado di potersi rapportare alle analisi della vita quotidiana, con la particolarità di occuparsi delle disfunzioni sociali che pervadono la comunità. Al centro si deve instaurare il rapporto tra soggetti che hanno voglia di costruire per una condizione sociale, non certo migliore perché sarebbe pura presunzione, ma quanto meno attivando la tendenza al confronto, per crescere e vivere, conoscere. Questa presa d’atto dovrebbe poi produrre progetti concreti per individuare le criticità, arrivare ai finanziamenti che però sono solo l’inizio, poi il tutto deve essere affidato a processi virtuosi svolti in autonomia.
È la stessa posizione, e non poteva essere altrimenti, assunta in una conversazione recente con il presidente dell’ANS Campania, Domenico Condurro, che ha rivendicato la specificità di un lavoro, quello sociologico, imprescindibile dal rapporto stretto con le aree di riferimento e con la valorizzazione di figure professionali che si occupino di spazi comuni, per studiarli ed osservarli. Basta crederci ed investire in formazione, studi e cooperazione. - Il secondo aspetto ha visto un confronto e un interscambio su alcuni concetti rilevanti in qualsiasi analisi che si voglia realizzare: globalizzazione, democrazia, capitalismo, ovvero i pilastri di ciò che è diventata la società in cui viviamo.
Dico subito che la convergenza di idee è parsa subito evidente. I temi che connettono questi tre concetti riguardano: sviluppo tecnologico dirompente; attenzione alle sole attività finanziarie; burocrazia come limite allo sviluppo; democrazia ridotta e svalutata nel suo modello rappresentativo; accentuazione della privatizzazione dei servizi (per Bolognetti sono tantissimi quelli che dovrebbero ritornare al pubblico); scarsa attenzione alla formazione critica dei giovani, che al contrario sono ridotti all’acquisizione di competenze per esigenze produttive.
Si è sviluppato, per entrare nello specifico, un capitalismo di Stato senza opposizione, con un’informazione spessissimo al servizio dei ceti dominanti. Qui si avverte una sorta di dittatura magari non cruenta, ma praticata come negazione del dissenso. I processi sociali non sono stati accompagnati da libertà di scelta. Bolognetti afferma il sillogismo: produci, consumi, crei.
Un altro elemento è la narrazione quale espressione di potenza. Mantile sostiene la gestione della potenza da parte delle attuali democrazie, in cui accade che la narrazione assume connotazioni più importanti della stessa potenza. Ed allora si abbandonano idee, teoria, confronti e relazioni, scelte etiche. Si afferma una supremazia militare, economica, come competizione per escludere, che tradotto significa egemonia del mercato che regola tutto, invadendo la funzione dello Stato che dovrebbe essere regolamentativa.
L’analisi di Bolognetti e Mantile, affidata a molti riscontri e citazioni bibliografiche, riguarda ciò che è accaduto negli ultimi decenni del novecento, con la minaccia della forza, per imporre un modello alternativo al comunismo. Si è con coinvolgimento unanime vagheggiato libertà democratica ed economia di mercato, puntando decisi al welfare come economia solidare, con dinamiche redistributive. Eppure è accaduto il contrario: la fine della storia di contrapposizione e l’uniformismo delle scelte. L’assenza di antagonismo ha reso sempre più arrogante il sistema prevalente, quello vincitore.
Le privatizzazioni sono state la conseguenza; si è lasciato il mercato libero di agire, con Stati deboli e con la mobilità di un capitale che non avesse più confini, salvo poi accorgersi che, con la crisi in Ucraina e la guerra, è limitato inspiegabilmente tutto ciò che era ritenuto indispensabile: il commercio globale.
È la crisi della democrazia, con l’abbandono di un giusto equilibrio tra mercato e Stato. A dire il vero, per Mantile mancano analisi storico-sociali di lungo periodo, sul modello weberiano per intenderci, perché ci si affida solo all’immediato. Un’indicazione è di guardare ai poveri, rivolgendo l’attenzione al sud e all’Africa, come nuova frontiera di interlocuzione economica. Il futuro è nell’interazione collettiva e nell’equilibrio tra Stato e capitalismo, tra soggetti che vanno coinvolti, perché è solo il sociale che permette di puntare al progresso con il coinvolgimento e non con le esclusioni (Bolognetti).
Il mondo è pieno di variabili e il capitalismo ha ignorato la sofferenza che è evidente e crescente. Pare strano ma sono proprio gli sconvolgimenti geopolitici che possono modificare lo stato delle cose, con coinvolgimento, innovazione e creatività economica. Ammesso che non si continui a credere che solo piccoli aggiustamenti nell’ambito del solco tracciato possano cambiare le cose.