Economia e finanza

Analisi costi-benefici per la Tav. Matteo Salvini affonda il colpo sull’analisi costi-benefici sulla Tav redatta da Marco Ponti e dalla sua squadra. «Non mi ha convinto», afferma il vicepremier leghista. «Posso solo dire che più viaggiano veloci le merci e le persone meglio è». Sulla relazione si abbatte anche il contro-dossier presentato da Paolo Foietta nel suo ultimo giorno di mandato da Commissario di governo per l’Alta Velocità.  L’intervento di Foietta arriva alla conferenza stampa convocata dalle 33 associazioni piemontesi che in questi mesi si sono mobilitate a sostegno dellaTav. E che annunciano per il 9 marzo un incontro con deputati, senatori ed europarlamentari piemontesi. Dalla analisi costi benefici sulla Tav condotta dal professor Ponti e di tre dei suoi collaboratori risulta che i quattro non hanno nozioni elementari dell’economia. Da un lato Ponti e i suoi hanno messo le imposte indirette nei costi della Tav, mentre non fanno parte del Prodotto netto della nazione. A ciò hanno aggiunto un secondo errore, perché hanno calcolato il costo del lavoro al netto delle imposte dirette, mentre esso entra nel prodotto nazionale, lordo di imposte dirette e contributi sociali. Con il primo errore hanno sopravalutato i costi della Tav, con il secondo hanno sottovalutato il costo del trasporto via Tir. Ed ecco il terzo errore. L’analisi benefici non è una mera «tecnica», perché include giudizi di valore etico-politico sulla giustizia fra generazioni. Un altro costo sociale in cui contano i giudizi etici riguarda «beni intangibili» come la vita umana, le invalidità dovute a incidenti stradali e inquinamenti: qui non bastano i calcoli delle assicurazioni. Un quinto errore di questa analisi è, invece, d’ordine tecnico. Il costo per l’Italia della Torino-Lione, prima di iniziarla, riguarda il tratto italiano per il 60% perché il 40% è a carico dell’Europa. II sesto errore di questa analisi è di teoria della crescita economica. Essa sembra ignorare che mentre le ferrovie ad Alta velocità sono industrie a costi decrescenti, dovuti all’aumento della velocità nel tempo, che riduce i costi fissi del lavoro e del capitale per unità di cosa o persona trasportata le strade ed autostrade sono industrie a costi crescenti, a causa della congestione dello spazio.

La valutazione di Moody’s. L’agenzia di rating americana Moody’s abbassa le stime sul Pil italiano nel 2019, per la mancanza di politiche che favoriscono la crescita e per l’incertezza politica. Ad annunciarlo è stata la capo analista per il nostro paese, Kathrin Muehlbronner, durante la Credit Trends Conference di Milano. «Avevamo una stima dell’1,3% sulla crescita del Pil italiano. Quest’anno sarà sicuramente sotto l’1%, probabilmente un valore tra 0 e 0,5%». Riguardo al rating, ha detto che «abbiamo un outlook stabile. Copre un arco di 12-18 mesi e non vediamo cambiamenti. Abbiamo assunto una crescita bassa, per un paio di anni al massimo, e sotto 1%». Sul deficit, invece, «stimiamo un 2,5%, sia quest’anno e che il prossimo».  E vede per il nostro Paese un «significativo rischio» di elezioni anticipate, che potrebbero arrivare dopo il voto per le Europee. Su questo l’analista di Moody’s sostiene che «non è chiaro cosa succederà al governo dopo le elezioni europee e, anche da un punto di vista di mercato, la situazione resta nebulosa perché gli investitori fanno fatica a “prezzare” il rischio politico». A peggiorare il quadro ci sono poi fattori esterni all’Italia. Da questo punto di vista Moody’s sostiene che il «rischio maggiore per l’economia globale deriva» dalla guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina ma «tensioni possono derivare anche dal rallentamento della Cina».

Politica interna

Autonomia delle regioni. I ministri del M5S non sono arrivati impreparati al ruvido confronto con i colleghi della Lega sull’autonomia regionale. Salute, Infrastrutture, Beni Culturali, Ambiente, Energia, Lavoro, Mezzogiorno: materia per materia, i grillini che siedono al governo hanno messo di traverso sul tavolo circolare del Consiglio dei ministri robusti paletti da piantare lungo la strada del regionalismo differenziato chiesto dai governatori leghisti del Veneto e della Lombardia e dall’Emilia a guida Pd. Una procedura che, per il M5S, sta andando avanti «troppo di fretta» e in «modalità troppo riservate». La posta in gioco nella maggioranza è altissima, anche perché si è innescata una contrapposizione tra Nord leghista e Sud grillino. Il muro del dissenso eretto dal M5S, il timore che il regionalismo differenziato pensato per il Nord possa impoverire il Sud, dove i grillini hanno il bacino elettorale più ampio, manda quindi a monte i piani del Carroccio. In nemmeno un’ora il consiglio dei ministri apre e chiude la pratica: le bozze, così come sono non vanno, dovranno essere riviste. «Il Movimento 5 Stelle – si legge nel dossier dei gruppi parlamentari grillini – esige che il Parlamento mantenga un ruolo centrale nella valutazione delle legge che recepisce le intese, con la possibilità di correggerle se necessario». Sarà il premier a predisporre un nuovo disegno di legge che tenga conto delle obiezioni del Movimento e soprattutto del Ministero dell’Economia. Secondo il Mef bisognerà innanzitutto assicurare «l’invarianza finanziaria del trasferimento di funzioni alle regioni interessate per il bilanci statali e per i saldi di finanza pubblica». In sostanza, visto che le nuove “attribuzioni” consentiranno di ottenere maggiori entrate, occorre stornare le spese fin qui sostenute dallo Stato, così da scongiurare un indebito vantaggio per le regioni autonome.

Rissa alla Camera. Rissa sfiorata ieri alla Camera durante il dibattito sulla riforma costituzionale del referendum. Tutto è cominciato quando in un clima già non disteso Giuseppe D’Ambrosio, del Movimento 5 Stelle, fa il gesto delle manette in direzione del collega del Partito democratico Gennaro Migliore. Il Pd comincia a protestare. I toni crescono. Enrico Borghi prende la parola e si rivolge al presidente di Montecitorio, Roberto Fico (M5S): «Questa non è un’azione tollerabile. Lei e il collegio dei questori dovete intervenire. Altrimenti noi usciamo dall’Aula». Fico replica: «Come avete ascoltato, D’Ambrosio ha avuto un richiamo formale. In questo momento, oltre non vado. Vedremo con il collegio dei questori. Ma in questo momento va così». Poi, mentre i deputati pd cominciano ad uscire, li saluta con un «arrivederci». Ed è qui che la bagarre esplode. Qualcuno, che i grillini indicano come il deputato pd Davide Gariglio, lancia un mucchio di fogli contro lo scranno della presidenza. Gennaro Migliore, deputato pd cui il collega del M5S Giuseppe D’Ambrosio ieri ha indirizzato il gesto delle manette, non trova né soddisfazione né giustificazione nel comportamento del presidente della Camera. «E intervenuto in maniera blanda, come sempre quando i grillini offendono e buttano tutto in caciara per impedire che si discuta delle questioni vere. Hanno bisogno di scatenare la rissa perché non sono in grado di fare altro», continua. Migliore non approva che un suo collega abbia lanciato dei fogli verso il tavolo della presidenza: «Non bisognava farlo. Anche se ci sono cose che pesano bendi più».

Politica estera

Brexit. Sconfitta numero dieci per Theresa May in Parlamento. La mozione su Brexit presentata dal Governo è stata bocciata ieri con 303 voti contrari e 258 voti a favore, dimostrando ancora una volta che la premier britannica non ha il sostegno di Westminster e soprattutto del suo partito.  I Brexiter si sono rifiutati di sostenere la mozione della May perchè secondo la loro interpretazione avrebbe escluso l’opzione “no deal”, l’uscita dalla Ue senza accordo che molti di loro caldeggiano ma che la maggioranza dei deputati vuole evitare. Questa ennesima sconfitta mette in evidenza la difficoltà oggettiva di trovare una maggioranza a Westminster per un compromesso su Brexit. A fronte di questa nuova dimostrazione della debolezza della premier, l’Unione europea difficilmente ammorbidirà la sua posizione di chiusura sulla riapertura dei negoziati e avrà ancora meno incentivi a riscrivere parti dell’accordo. Intanto la premier britannica riprende, fin da oggi, la sua frenetica diplomazia telefonica, nel tentativo di convincere gli europei a venirle incontro. E va notato che, almeno fino a ieri, queste consultazioni avevano del tutto saltato l’Italia: la May aveva trovato il tempo di conferire addirittura con i leader di Cipro e di Malta, oltre che con romeni, austriaci e altri Paesi di questa taglia. Ma non aveva mai composto il prefisso telefonico di Roma. Da Downing Street assicurano comunque che è solo una questione di agenda e che le telefonate continuano.

Trump e il Muro. Una firma per evitare un nuovo «Shutdown», la paralisi dell’amministrazione, e poi «altri decreti esecutivi, compresa la dichiarazione di emergenza nazionale» per finanziare il Muro al confine con il Messico. Per tutta la mattina il presidente ha fatto filtrare la sua insoddisfazione per il compromesso raggiunto dalla commissione bipartisan formata da 17 parlamentari. La cifra più importante del provvedimento è quella destinata all’installazione di «barriere fisiche» lungo 88 chilometri di frontiera: 1,38 miliardi di dollari. Un quarto rispetto ai 5,7 miliardi di dollari considerati dalla Casa Bianca il minimo indispensabile, inoltre quei 1,38 miliardi non potranno essere usati per edificare muri in cemento. Per evitare un nuovo shutdown, senza perdere la faccia davanti ai suoi elettori, Trump firmerà il bilancio senza Muro. Ma poi dichiarando lo stato di emergenza si procurerà i fondi per costruire quella barriera: dirottandoli da altre voci di spesa. Molti esperti di diritto costituzionale sostengono che l’opposizione potrebbe bloccare lo stato d’emergenza facendo ricorso alla magistratura ordinaria.