Economia e Finanza
Manovra per la crescita. Un intervento per affrontare l’emergenza salariale e anche quella demografica. Lo ha annunciato il premier Giuseppe Conte nell’incontro con le parti sociali, convocate ieri al tavolo di Palazzo Chigi che è proseguito dal primo pomeriggio fino in tarda serata in vista della manovra economica, dove ha sottolineato la forte contrazione del potere d’acquisto subita dalle retribuzioni dei lavoratori negli ultimi anni. Il premier ha parlato dell’avvio della “seconda fase” nell’azione di governo, sino ad oggi concentrato con misure e provvedimenti per contrastare povertà ed esclusione, impegnandosi a «un significativo taglio del cuneo fiscale» per liberare risorse a favore delle buste paga dei lavoratori. Ieri al terzo e ultimo round di incontri con sindacati e imprese – avvenuto alla presenza anche del vice premier Luigi Di Maio, dei ministri Giovanni Tria (Economia), Giulia Grillo (Salute) e Alessandra Locatelli (famiglia) -, il premier Conte ha inquadrato queste misure all’interno di un patto per la crescita e lo sviluppo sociale che il governo vuole siglare con le parti sociali, costruito intorno a quattro assi: protezione e sicurezza sociale, politiche attive e formazione, fisco dedicato alla competitività, sostegno agli investimenti privati e pubblici. Il premier Giuseppe Conte ieri ha ribadito che le misure che entreranno a far parte della prossima manovra di bilancio saranno discusse (non soltanto comunicate) con le parti sociali e terranno conto dei loro suggerimenti. Tant’è che ora partiranno i tavoli tecnici in vista di nuovi incontri a Palazzo Chigi a settembre. Un’agenda, quella dettata dal premier, che ostenta serenità sul futuro del governo, come se i continui penultimatum di Matteo Salvini non esistessero. Per ora il confronto governo-parti sociali è ancora alla compilazione dell’indice della manovra. Ma la vera novità rispetto allo scorso anno – quando le decisioni furono prese in splendida solitudine tra i principali azionisti del governo – resta il metodo con il ritorno in campo della concertazione.
Guerra dei dazi Usa-Cina. I mercati continuano a risentire della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, dopo che il presidente americano Donald Trump ha ribadito la volontà di introdurre dazi al 10% su 300 miliardi di dollari di merci cinesi (finora esduse da tariffe doganali) a partire dal primo settembre prossimo. La mossa ha provocato uno scossone della valuta cinese, scesa sul dollaro ai minimi da 11 anni. Ieri per acquistare un dollaro occorrevano 7,1087 renmimbi, contro i 6,2 di appena un anno fa. Sul «sentiment» dei mercati, non soltanto asiatici, ha pesato inoltre la preoccupazione per gli scontri di piazza ad Hong Kong, importante crocevia della finanza internazionale. A Wall Street è panico, con gli indici in forte calo e vendite decise soprattutto sul settoredei tecnologici. In Europa, Milano (-1,3%) e Madrid (-1,3%) hanno fatto leggermente meglio degli altri mercati, mentre Londra ha guidato i ribassi. Lo spread ha chiuso in rialzo a 209,4 punti (+6,1 punti). Piazza Affari è stata puntellata dalle banche. Altra benzina sul fuoco è venuta dalla richiesta cinese alle imprese a controllo statale di sospendere le importazioni di beni agricoli dagli Stati Uniti. Mentre i titoli Usa hanno invertito la curva dei rendimenti. Elementi che fanno pensare a un rischio di recessione.
Politica interna
Decreto sicurezza approvato. Il Senato ha approvato la questione di fiducia posta dal Governo sull’ok definitivo al decreto legge sicurezza bis. Ma Salvini non ha nemmeno bisogno di attendere l’esito della fiducia: è talmente sicuro di aver vinto anche questa partita da abbandonare l’aula del Senato poco dopo aver espresso il suo voto. «Ottanta per cento sbarchi in meno, dimezzamento dei morti, stretta e sequestro delle navi di chi aiuta i trafficanti: quindi meno Carola e più Oriana Fallaci, per riassumere». afferma il ministro degli Interni. Il pallottoliere gli darà ragione sui dissidenti 5 stelle anche stavolta. Anche per la versione bis del suo decreto Sicurezza, pochi mesi dopo il primo. Passa con 160 voti e 57 contrari, un senatore in meno rispetto alla soglia della maggioranza, è vero. Ma i leghisti arrotondano e cantano vittoria anche per via delle assenze giustificate di Umberto Bossi e del neo sposo Massimo Canduro. I malpancisti del gruppo di Di Maio si fermano a cinque (Elena Fattori, Matteo Mantero, Virginia La Mura, Michela Montevecchi e Lello Ciampolillo) ma si limitano a uscire dall’aula. L’elefante delle polemiche ha partorito il topolino dell’ennesima subordinazione al diktat salviniano. L’altro vicepremier, Luigi Di Maio, non dice una parola sul decreto Sicurezza, che pure il Movimento 5 Stelle ha contribuito a far passare. Come ammette sempre per il M55 Gianni Marilotti, «solo il 20% dei nostri senatori approva il decreto ma il no porterebbe al voto». Pure se Matteo Salvini esalta le doti del decreto sicurezza bis, sono in molti a vederla diversamente nel Pd: che al Senato stancamente prova a dare battaglia in splendida solitudine, senza la sponda di azzurri e Fdi. Tuona il Pd contro una legge «mostruosa che criminalizza chi salva vite umane», per dirla con Francesco Verducci. Mentre Forza Italia e Fdi, favorevoli al provvedimento che stringe le maglie contro l’immigrazione clandestina, si astengono, così come gli esponenti delle Autonomie.
Difficoltà nel M5s. La fase due dei Cinque stelle non decolla. Il capo politico Luigi di Maio vorrebbe congelare la riorganizzazione del Movimento alla luce del primo (deludente) tour tra le assemblee locali degli attivisti. Più che un confronto, ogni incontro è stato un processo politico contro il ministro dello Sviluppo economico e la corte magica. Per oscurare il dissenso della base, Di Maio ha imposto il divieto per riprese video delle assemblee, foto e dirette streaming. Da Napoli a Bari. Dal Trentino alla Sardegna: il vicepremier ha incassato solo picconate. E le dimissioni di Massimo Bugani, socio di Rousseau, dallo staff di Palazzo Chigi sono il segnale di un malcontento che ormai è anivato al vertice del Movimento. Tradotto: Davide Casaleggio, vera anima grigia dei Cinque stelle, sta per perdere la pazienza. L’idea di scaricare Di Maio comincia ad essere un’opzione. Il tempo, per imporre una sterzata alla linea politica del Movimento, è quasi esaurito. Il cerchio su Di Maio si sta stringendo. Dopo Beppe Grillo, Roberto Fico, Alessandro Di Battista, l’ultimo scudo (Casaleggio) sta per frantumarsi. I grillini stanno vivendo dunque momenti di grandissima apprensione, si capisce: costretti a qualsiasi contorsione politica, danno l’idea di un esercito in balia del proprio avversario. Alternative non ce ne sono, almeno finché Di Maio resterà capo politico del Movimento (in caso di crisi, come farebbe infatti a dialogare con quello che ha definito il “partito di Bibbiano”?). E non basterà a salvarsi l’anima la citazione di Rino Formica che ha fatto ieri il senatore anti-Tav Alberto Airola per giustificare la sua giravolta sul decreto. La politica sarà pure “sangue e merda” ma ha una coerenza spietata: il debole soccombe sempre, il forte prende tutto e non fa prigionieri.
Politica estera
L’India revoca l’autonomia del Kashmir. In pochi minuti l’India ha cancellato oltre 70 anni di storia. Nel 1947, dopo la tragica «partizione» dell’antica colonia britannica in due Stati — l’India a maggioranza induista e il Pakistan musulmano — una parte della regione himalayana del Kashmir, a maggioranza islamica, aveva accettato di rientrare nell’orbita di New Delhi a patto di ottenere uno statuto speciale. Un’altra parte ricadeva sotto l’amministrazione pachistana, secondo l’accordo strappato dall’Onu ai due giganti asiatici che rivendicavano, come oggi, ciascuno l’intera regione. Ieri il ministro degli Interni indiano Amit Shah ha presentato in Parlamento un decreto che cancella l’articolo 370 della Costituzione, quello che riconosce più autonomia all’unica regione indiana a maggioranza musulmana: la possibilità di legiferare per conto proprio, una bandiera separata, un’indipendenza di governo (tranne che in politica estera e difesa). Una decisione destinata a riaccendere le tensioni in una regione contesa da due potenze nucleari. La mossa senza precedenti è stata accompagnata da una serie di provvedimenti che sembrano tradire il nervosismo del governo indiano per quanto potrebbe accadere nei prossimi giorni: una parte dei collegamenti telefonici e Internet sono stati interrotti; i turisti – non solo stranieri – sono stati obbligati a partire; alcuni dei principali leader politici locali sono stati messi agli arresti domiciliari e decine di migliaia di soldati e paramilitari sono stati aggiunti alle centinaia di migliaia che già stazionano stabilmente in uno degli angoli più militarizzati del pianeta. Il ministero degli Esteri pachistano ha risposto alla decisione indiana annunciando il ricorso a «tutte le opzioni possibili per contrastare questi provvedimenti illegali».
Paralisi a Hong Kong. Centinaia di voli cancellati, metro bloccate, violenti scontri nelle strade del centro, 82 arresti, città in tilt. La crisi politica più grave di Hong Kong dal suo ritorno alla Cina nel 1997 ha vissuto ieri una giornata drammatica. Lo sciopero proclamato dopo due mesi di proteste contro il governo di Carrie Lam ha causato la cancellazione di metà dei voli dell’aeroporto internazionale “Chek Lap Kok”. Gruppi di attivisti hanno impedito la partenza dei treni da stazioni chiave della metropolitana, mentre decine di migliaia di dimostranti sfilavano in sette cortei simultanei. In serata, come già accaduto nei giorni scorsi, i manifestanti sono stati aggrediti da gruppi di picchiatori armati di bastoni. La polizia – che finora si e limitata a contenere le sassaiole contro l’Ufficio di collegamento col governo della Repubblica popolare, il Parlamento locale e le caserme – ieri ha riassunto il suo operato dall’inizio dei primi cortei, il 9 giugno scorso: mille candelotti lacrimogeni e 160 proiettili di gomma esplosi, 420 dimostranti arrestati e 139 agenti feriti. Su una cinquantina degli arrestati pesa l’accusa di «rivolta» che potrebbe voler dire anche dieci anni di galera. Sale anche la violenza da parte dei manifestanti che con enormi fionde improvvisate hanno lanciato mattoni sulla polizia in tenuta antisommossa che ha risposto sparando lacrimogeni e proiettili di gomma per disperderli. E ancora una volta sono scesi in campo anche misteriosi uomini armati di bastoni che hanno attaccato chi manifestava. Anche in questo caso si sospetta che siano legati alle triadi, la mafia cinese, che si sarebbero schierate con Pechino. La govematrice della città Carrie Lam ha indetto una conferenza stampa lanciando un avvertimento a chi è sceso in piazza