Economia e finanza
L’agenda del governo per il Sud. Il Sole 24 Ore: l’estensione della decontribuzione per le nuove assunzioni oltre il 2020, con un meccanismo decrescente, è la principale novità dell’agenda del governo per il Mezzogiorno emersa ieri al tavolo convocato a Palazzo Chigi con le parti sociali in vista della manovra. A questo secondo incontro con una trentina di parti sociali convocate in orari diversi, dopo il primo dedicato al fisco la settimana scorsa, per il governo erano presenti oltre al premier Giuseppe Conte, il ministro dell’Economia Giovanni Tria, il vicepremier Luigi Di Maio, il ministro per il Sud Barbara Lezzi e per la Lega il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. Tra i temi affrontati anche la riforma della giustizia e le difficoltà di accesso al credito per le Pmi. Il Messaggero: rispunta la Banca del Mezzogiorno. Nella riunione di ieri tra governo e parti sociali, dedicata specificamente al tema del rilancio del Sud, il ministero dell’Economia Giovanni Tria ha illustrato il progetto di un nuovo soggetto finanziario a cui toccherebbe spingere gli investimenti nelle aree più svantaggiate del Paese. Mancano però al momento dettagli, come hanno fatto notare sia Maurizio Landini della Cgil che Annamaria Furlan della Cisl. Di Maio intervistato dalla Gazzetta del Mezzogiorno: “L’autonomia si farà, ma sarà equilibrata e dovrà avere criteri fondamentali. Ad esempio non verranno spacchettate autostrade e scuole, non è mia intenzione dividere a metà il Paese. Se qualcuno vuole penalizzare le regioni del centro-sud quello non sono io. Dunque non lo permetterò. Lo dico chiaramente: questa autonomia non dovrà danneggiare le altre Regioni. Dovrà essere un’autonomia che ci permetterà di fare anche un investimento straordinario per il Sud. Il nostro piano sarà caratterizzato da poli industriali basati sull’innovazione. Andremo a coinvolgere investitori che punteranno sul nostro territorio, un territorio che dovrà vedere la diffusione capillare della fibra ottica, del 5G e di tutti gli strumenti che permettono di sviluppare le idee. Così il Sud potrà diventare una grande «Casa delle tecnologie».
L’ultimatum di Salvini “Se salta la Flat tax il governo va a casa”. Sulla Stampa: sono tanti, innumerevoli, secondo i leghisti, i fatti che provano il nervosismo e le gravi difficoltà in cui naviga il capo M5S: fa resistenza sull’autonomia regionale, dice che la flat tax è un oggetto misterioso, presenta al Senato una mozione contro la Tav, dimenticando che il governo ufficialmente ha dato il via libera. Continua a ricordare che per fortuna ci sono i grillini a fermare il malaffare ovunque si annidi, come «il bussiness di Siri sull’eolico con la mafia»: lo ha detto ieri in una riunione del Movimento a porte chiuse con gli attivisti a Catanzaro, parlando di “atteggiamento insopportabile della Lega”: “Ogni volta che si deve approvare un provvedimento, in Parlamento o in Cdm, ci dobbiamo sedere a un tavolo io, Conte e quell’altro là e dobbiamo fare un accordo”. Quell’altro è Matteo Salvini. Ma al di là di questo l’importante è che la prossima settimana vada in porto il decreto sicurezza bis. Salvini è anche convinto che la stessa autonomia potrà portarla in Veneto e in Lombardia. Ma teme che la flat tax avrà seri problemi sia a Palazzo Chigi che al Mef. L’avvertimento dalla Lega è chiaro ed è affidato al capogruppo del Senato Riccardo Molinari: «Senza flat tax potremmo non votare la manovra». Sempre dall’intervista rilasciata da Di Maio alla Gazzetta del Mezzogiorno: “Sulla flat tax aspettiamo di capire le intenzioni della Lega. Noi siamo pronti a sostenerla ma aspettiamo di capire da loro che tipo di piano economico hanno in mente e dove troveranno le risorse. Io intanto posso dire che andremo avanti con il progetto del taglio del cuneo fiscale, che farà risparmiare alle imprese circa 4 miliardi. Così potremo anche realizzare il salario minimo che non andrà a pensare sulle tasche degli imprenditori”. Intanto però per Confindustria l’Italia quest’anno non andrà oltre lo 0,1 per cento. I motivi? Indebolimento della domanda interna ed estera e «nel terzo trimestre si stima una sostanziale stagnazione della produzione, dopo il calo rilevato nel secondo».
Politica interna
Tensione per un audio tra Salvini e Di Maio. Repubblica:«Sì, ci sarà il Consiglio dei ministri sulle autonomie, mercoledì pomeriggio. Ma Di Maio non dice che vuole interamente riscrivere il testo, che va cambiato? E poi Bonafede che invoca la riforma della giustizia, sbaglio o non c’è nemmeno un testo?». Matteo Salvini, in polo rossa della Polizia di Stato, ondeggia ormai tra la rassegnazione e lo sconforto. E’ appena tornato da Somma Vesuviana dove ha partecipato ai funerali del vice brigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega. La giornata è stata già mesta di suo. «Io non parlo, lascio parlare gli altri, fanno tutto da soli». Gli altri sarebbero gli alleati, sempre più presunti. «Stamattina mi hanno girato una decina di dichiarazioni di Di Maio, erano tutti dei no, no all’autonomia, no alla Tav». Ma la situazione precipita non solo quando il capo del Movimento in mattinata stronca per l’ennesima volta il progetto di autonomia avanzata, sostenendo che va interamente riscritto. Ma soprattutto quando nel pomeriggio viene diffuso dal sito Lac News 24 l’audio di una riunione del vicepremier coi militanti 5 stelle in Calabria di due sere fa. «A volte dobbiamo subire l’atteggiamento della Lega che è insopportabile – si sente – Ogni volta che si deve approvare un provvedimento dobbiamo sedere a un tavolo io, Conte e quell’altro là». E le distanze tra i due si fanno incolmabili. In questo clima il governo affronta le forche caudine dei prossimi sette giorni. Domani il Consiglio dei ministri sulle autonomie che, date le premesse, difficilmente porterà al via libera preteso dalla Lega. Il Corriere della sera: Matteo Salvini è «quell’altro». La Lega «insopportabile». E c’è «un partito unico che vuole la caduta del governo». Luigi Di Maio ormai da tempo ha smesso ogni inibizione politica e racconta, con una certa durezza, il suo stato d’animo. E lo stato dei rapporti nel governo che, a leggere le cose dette dal vicepremier ma anche dai leghisti, risulta più tempestoso e litigioso di quello di una coppia sull’orlo della separazione. A condire il menu coniugale, la polemica quotidiana, che ieri si è concentrata sulla riforma delle autonomie. L’occasione per lo sfogo è una riunione con gli attivisti, a Cosenza: «A volte dobbiamo subire l’atteggiamento della Lega che è insopportabile – dice Di Maio – Dopo le elezioni non avevamo alternativa: o andavamo all’opposizione o cercavamo di portare a casa il più possibile nelle peggiori condizioni. Ogni volta che si deve approvare un provvedimento, ci dobbiamo sedere a un tavolo io, Conte e quell’altro là e dobbiamo fare un accordo». L’audio è registrato durante la riunione con i militanti. La replica: «Posso non stare simpatico ma ho un nome, Matteo…». Sempre Di Maio inaugurando l’Osservatorio per l’autonomia alla Federico II di Napoli: «Stiamo scrivendo una nuova autonomia, migliore. Nessuno può permettersi di indebolire il Centrosud». La replica del ministro leghista Erika Stefani: «Non capisco di quale nuovo testo sulle autonomie parli. Sento parlare di quest’osservatorio per la prima volta». Intanto a Palazzo Chigi proseguono gli approfondimenti con le parti sociali in vista della manovra. Il ministro Tria propone una «Banca per il Sud». Nome che, c’è da scommettersi, piacerà pochissimo alla Lega.
Scenario. Repubblica: Luigi Di Maio ci ha provato a tendere la sua trappola: «Sulla Tav la Lega non ha i numeri in parlamento: senza i voti del Pd non può farcela». L’ennesima provocazione di questi giorni indirizzata a Salvini ma anche un chiaro riferimento, per nulla gradito, a un “soccorso rosso” che, sulla mozione contro l’opera presentata dai 5 Stelle al Senato, arriverebbe alla Lega da parte dei dem. Un tentativo di sparigliare le carte, di distogliere l’attenzione dal fatto che M5S deve spiegare agli elettori il sì del suo governo alla prosecuzione dei lavori, di additare il «partito del cemento» che metterebbe sullo stesso fronte il partito di Zingaretti e il centrodestra. E soprattutto di nascondere un bluff che si svela ogni giorno di più: specie da quando è stato depositato a Palazzo Madama l’atto dei pentastellati. Che, a sorpresa, sulla sospensione del cantiere della Tav non impegna il governo, come previsto nella maggior parte di mozioni e risoluzioni. Ma impegna, al posto dell’esecutivo, il Senato. E in tanti si chiedono cosa possa fare un ramo del parlamento per fermare un’opera che, peraltro, ha già avuto il via libera del premier Conte. Un bluff che però costringerà i dem a muoversi con circospezione in aula, trovandosi all’improvviso, nella necessità di conciliare due esigenze: far risaltare la propria posizione storicamente favorevole alla Tav senza apparire schiacciato sulle posizioni analoghe della Lega e del centrodestra. La soluzione sarebbe quella di una propria mozione a favore dell’opera che sottolinei le contraddizioni della Lega.
Repubblica: era la vita di chi costruisce in silenzio, un semplice che si ignora. Ha avuto un funerale con trombe, picchetti e uniformi storiche di cui probabilmente avrebbe sorriso. E che forse resterà anche nello sguardo dei bambini piccolissimi trascinati dai genitori nella commozione delle grandi occasioni, solo molto più composta, immensamente più triste. Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso a Roma da due spiantati criminali americani, è stato avvolto nel tricolore, a trentacinque anni, per tornare alla “sua” parrocchia gremita d’autorità, sindaci, parlamentari, sottosegretari, vertici giudiziari di varie Procure, tutti i responsabili delle forze dell’ordine. Soprattutto gli esponenti del governo sono venuti a rendergli omaggio. A cominciare da Salvini e Di Maio. Oltre duemila persone. Il comandante dell’Arma Giovanni Nistri: «Non infliggiamogli noi, ora, la dodicesima coltellata. Non è tempo di polemiche, oggi».
Politica estera
Usa-Cina la guerra fredda ora è tecno. Si segnala Federico Rampini su Repubbblica: ripartono oggi i negoziati commerciali Usa-Cina dopo mesi di minacce reciproche. La vera posta in gioco non sono gli squilibri import-export, macroscopici ma forse aggiustabili. La “nuova guerra fredda” dovrà decretare un vincitore nella gara per la supremazia tecnologica. È un conflitto dove le tecnologie per usi civili e militari si mescolano e si confondono, i confini tra il business e la difesa o lo spionaggio militare sono ambigui. Imporrà scelte di campo agli europei, messi di fronte a ultimatum: poco spazio per le “terze vie”, bisognerà schierarsi o con Washington o con Pechino. La grande differenza rispetto alla prima guerra fredda: l’Urss fu una superpotenza bellica e ideologica ma rimase un nano economico, poco integrata e ininfluente negli scambi internazionali. La Cina ha 1,4 miliardi di abitanti e 13 mila miliardi di dollari di Pil, un’economia equivalente a quella americana; è penetrata nei tessuti industriali e finanziari dei nostri paesi. E’ uno scenario senza precedenti. Una delegazione dell’Amministrazione Trump è a Shanghai da oggi per riprendere le trattative. I temi sul tavolo fanno comprendere quanto siano cambiati i tempi: al primo posto c’è intellectual property cioè tutto ciò che riguarda la protezione del know how, segreti industriali, su cui l’America accusa la Cina di furti sistematici. Al secondo posto il tema del technology transfer, che include le contestate normative cinesi che obbligano molte multinazionali occidentali a prendersi un partner locale rivelandogli ogni segreto. Insomma l’America intera, in particolare la Silicon Valley, si è distratta al volante e non ha visto il bolide che si avvicinava nello specchietto retrovisore. Ora tenta di correre ai ripari, ma potrebbe essere troppo tardi.
Il Sole 24 Ore: il capo degli 007 americani, Dan Coats, tra due settimane lascerà l’incarico dopo mesi di tensioni con Donald Trump, soprattutto sulla linea della Casa Bianca nei confronti di Russia e Corea del Nord. Il presidente ha nominato al suo posto un fedelissimo, John Ratcliffe, il repubblicano del Texas che ha incalzato l’ex procuratore speciale per il Russiagate, Robert Mueller, durante le sue audizioni in Congresso.
Nomine Ue/migranti. Il Sole 24Ore: dopo Zagabria (oggi) e Madrid (domani), venerdì 2 agosto il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen sarà a Roma per incontrare per la prima volta il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Quello che si prepara è un incontro a tutto campo sui temi della nuova legislatura europea, dalla crescita all’immigrazione al rilancio del Mezzogiorno. Ma è quasi scontato che la presidente della Commissione sonderà il premier italiano anche sui nomi che il Governo italiano intende proporre per il collegio dei commissari. Del Governo giallo-verde l’ex ministro della Difesa tedesca conosce bene solo la sua ex collega, Elisabetta Trenta il cui nome, peraltro, era circolato come possibile candidata alla Commissione dopo l’uscita di scena del sottosegretario leghista, Giancarlo Giorgetti. Un’ eventuale candidatura della Trenta per Bruxelles potrebbe essere scambiata con i due ministeri (Difesa e Infrastrutture) che a quel punto rientrerebbero nell’orbita della Lega. Del resto anche la candidatura dell’uomo del Governo più vicino a Bruxelles, ossia il ministro degli Esteri, Enzo Moavero (le cui quotazioni restano sempre molto alte) lascerebbe scoperta la poltrona della Farnesina che andrebbe anche quella coperta da un uomo vicino alla Lega. Insomma rebus commissario Ue legato ancora al rimpasto.
La Stampa intervista Sandro Gozi, ex sottosegretario Pd in Italia con delega agli Affari Ue, già candidato alle Europee in Francia con il partito di Emmanuel Macron, En Marche, da oggi sarà il responsabile delle politiche europee per il governo francese. «Ho ricevuto critiche in Italia e in Francia dall’estrema destra. Mi considero un uomo di confine che lavora per abbattere i confini della politica nazionale. Questo non vuol dire addio agli Stati nazione, ma che l’unico progetto europeo è transnazionale, come è quello di Macron ed era quello di Marco Pannella. Dirò di più: siamo noi i veri sovranisti». «Solo un’Europa davvero sovrana e democratica ci permetterà di vincere molte sfide e di tutelare i nostri interessi contro gli Stati imperi continentali, come Cina, India, Russia, Usa». Sempre La Stampa: resta in rada ad Augusta, in Sicilia, la nave Gregoretti: a bordo ancora 115 migranti. Registrati alcuni casi di scabbia. Il governo italiano in pressing per una maggiore redistribuzione: «Gli altri Stati europei facciano la loro parte». Berlino apre: pronti ad accoglierne una parte. Ma le altre capitali tacciono. Il portavoce dell’Unhcr: «Flussi gestibili, serve più sicurezza per i rifugiati».
«Haftar vuole vincere con le armi, soluzione in Libia lontana». Così, al Corriere, l’ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Buccino Grimaldi. «Poche speranze di un accordo, la strada è in salita — prosegue — ma noi continueremo a cercarlo. Escludo partenze di massa dalla Libia». Il ruolo dell’Eni, «la società straniera più importante» nell’economia libica.