Borse e spread, rally estivo in attesa delle banche centrali. Dalla prima del Sole 24 Ore: Borse europee e Wall Street in rialzo in attesa del meeting di Jackson Hole (che apre oggi) dove i presidenti di Fed e Bce potrebbero annunciare le prossime mosse di politica monetaria. Anche ieri il presidente Usa Trump ha attaccato pesantemente Powell, sollecitando un taglio dei tassi. Tra le Borse, Milano è la migliore (+1,7%), anche sulle attese di una conclusione rapida della crisi di governo. Bene anche lo spread BTp-Bund, in calo a 201 punti dopo essere sceso sotto quota 200. La politica ultra-accomodante delle banche centrali ha comunque risvolti negativi: in sei mesi i rendimenti sottozero sono costati alle principali banche italiane 467 milioni sul piano dei margini. Repubblica: come stanno i conti del Paese? In sicurezza, per ora. Ma il quadro può deteriorare rapidamente. Ecco perché il Quirinale corre con le consultazioni. E punta a chiudere in fretta la crisi politica. Il messaggio ai partiti è chiaro: non disperdere i sacrifici fatti sin qui. Grazie alla correzione del bilancio dello Stato dei primi di luglio – un assestamento da 7,6 miliardi – il deficit è stato abbassato dal 2,4 all’1,9% (il tetto da non superare è il 3%). L’Italia ha così evitato una procedura di infrazione europea per violazione della regola del debito, potenzialmente devastante. E abbassato la febbre da spread, tornato attorno ai 200 punti. Grazie a questo duplice effetto – assestamento e minore spread – il 2020 può contare su quasi 8 miliardi già messi in cascina. È come se per cancellare l’aumento dell’Iva e delle accise sui carburanti servissero non 23 miliardi ma 15. Un risultato ottenuto nonostante le bizze dei due ex partiti di governo – Lega e Cinque Stelle – inclini alla spesa facile e alle pulsioni no euro. La moral suasion del Colle, la gestione iper prudente del ministro Tria e la dovuta collaborazione del premier uscente Conte, hanno insomma evitato il peggio.
Il Sole 24 Ore in tema di spending review: sarà uno dei passaggi obbligati della prossima manovra, soprattutto per la necessità di recuperare risorse da destinare allo stop degli aumenti di Iva e accise da oltre 23,1 miliardi. La spending review, magari in forma soft con una dote di 2 miliardi, non potrà essere evitata anche da un eventuale governo “giallorosso” che si troverebbe a fare i conti con una manovra minima da non meno di 30 miliardi: 27,6 miliardi, come indicato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, per sterilizzare le clausole di salvaguardia 2020 e far fronte alle spese indifferibili; altri 3-5 miliardi, al netto della correzione per rispettare i parametri Ue sui conti pubblici, da utilizzare per una possibile prima sforbiciata al cuneo. Ma anche un esecutivo di garanzia, chiamato a gestire la fase preelettorale in caso di elezioni anticipate, potrebbe essere costretto a far ricorso ai tagli di spesa per puntellare un decreto legge da varare per far slittare di quattro mesi (fino ad aprile) l’aumento dell’Iva. L’obiettivo minimo resta quello indicato dall’ultimo Def presentato in primavera dal Governo dimissionario: 2 miliardi nel 2020.
La Stampa: sarà il grande ostacolo alla trattativa fra Pd e Cinque Stelle, ed è una delle ragioni che ha spinto Matteo Salvini a lasciare il governo in pieno agosto. Fra Quirinale, Tesoro e Commissione europea negli ultimi giorni non si parla d’altro: come evitare di far scattare il primo gennaio ventritré miliardi di aumenti dell’Iva nel caso in cui non ci fosse soluzione alla crisi? Un decreto per il governo appena insediato o un’intesa in Parlamento in caso di voto anticipato. I funzionari di Bruxelles hanno già fatto sapere di non avere obiezioni

L’allarme del presidente di Confindustria. Vincenzo Boccia: per l’Italia «c’è un rischio stagnazione e possibile recessione, soprattutto per il rallentamento della Germania». Per Boccia «serve una manovra economica che ponga attenzione al lavoro e alla crescita». Il nuovo Governo? «Non conta il colore politico ma le risposte all’economia». Il Corriere: “Il partito del Pil, almeno per ora, non vuole esporsi su voto sì/voto no. In una primissima fase Matteo Salvini, in virtù dei legami e dell’ampio consenso di cui gode presso i ceti produttivi del Nord, pensava di trovare negli industriali uno sponsor incondizionato dei propri progetti elettorali. Ma dopo le prime dichiarazioni pro-voto (corrette il giorno dopo) del veneto Matteo Zoppas e del lombardo Marco Bonometti, ora tutti sono attenti a non sbilanciarsi. La Confcommercio tiene ovviamente il punto sul tema consumi all’insegna di «fate tutto quello che volete ma guai se aumentate l’Iva» e ieri è uscito allo scoperto il presidente di Confindustria Vicenza, Luciano Vescovi che ha chiesto provocatoriamente ai partiti «qual è la vostra agenda? Quando iniziamo a parlare di cose importanti anziché di tematiche da spiagge?». La sortita più pesante della giornata è stata però quella, in abbinata, di Vincenzo Boccia (Confindustria) e Annamaria Furlan (Cisl). A Rimini i due sono apparsi d’accordo su tutto e hanno chiesto ai politici litiganti di mettere al primo posto i contenuti (e il taglio del cuneo fiscale). Boccia ha insistito sui rischi di recessione, Furlan ha parlato di «necessaria discontinuità» rispetto alle scelte economiche del governo Conte. Insomma le parti sociali lamentano (giustamente) di essere state prese per il naso dal premier, da Di Maio e da Salvini che hanno istruito tavoli di consultazione in concorrenza tra loro ma alla fine con lo stesso obiettivo: produrre selfie piuttosto che soluzioni. «Non posso dimenticare che il governo uscente ha portato il Paese alla crescita zero» ha scandito Furlan. Il dato: nel primo trimestre, secondo i dati diffusi ieri dall’Ocse, il reddito delle famiglie italiane è cresciuto dello 0,5%. L’Italia è il fanalino di coda tra tutti i maggiori Paesi industrializzati del mondo. Nella media del G7, i redditi reali delle famiglie sono cresciuti nel primo trimestre dello 0,8%, quasi il doppio. La Stampa: e da questa settimana e per tutto il 2020 vanno in scadenza centinaia di posti nelle aziende pubbliche. Da Eni ad Enel, da Leonardo a Poste. E poi Terna, Sogei, Enav, per citare le più importanti. Ma il nuovo governo nascerà davvero? E quando? Per il momento il problema più urgente è fare i conti con la sua assenza. Ne sa qualcosa il numero uno di Cassa depositi e prestiti Fabrizio Palermo, che martedì riunisce il consiglio di amministrazione che dovrebbe rinnovare i vertici di tre importantissime controllate: Sace – la società pubblica per il sostegno delle imprese all’estero – Ansaldo energia e Cdp immobiliare, i custodi di un pezzo importante dell’enorme patrimonio edilizio dello Stato.

Politica interna

Parte la trattativa Pd-M5S. Il Corriere della Sera: partenza sprint per le consultazioni al Quirinale. Con un programma serrato che ha visto salire al Colle i presidenti di Senato e Camera, Elisabetta Casellati e Roberto Fico, e i rappresentanti dei partiti minori. Oggi, a partire dalle 10, sarà la volta dei partiti più grandi – Fratelli d’Italia, Partito democratico, Forza Italia, Lega e Movimento Cinque Stelle – e già stasera il presidente della Repubblica Sergio Mattarella avrà un primo quadro delle disponibilità per formare un governo sostenuto da M5S, Pd, Leu e altri ancora capace di tenere in vita la XVIII legislatura. In caso contrario, ma potrebbe servire un altro giro di consultazioni per certificare l’impossibilità di insediare un governo giallorosso, al capo dello Stato non resterebbe che sciogliere le Camere e mandare gli italiani al voto. Mattarella, infatti, non prevede altre soluzioni non avendo in testa alcun governo del presidente o governo istituzionale sponsorizzato dal Quirinale che metta una toppa alla mancanza di intesa tra i partiti. Il Pd ha già fatto un passo in avanti mettendo nero su bianco (con la relazione del segretario Nicola Zingaretti approvata all’unanimità in direzione) la «disponibilità a verificare se esiste la possibilità di dare vita a una nuova maggioranza parlamentare in grado di dare risposte serie ai problemi del Paese». Disponibilità accompagnata da alcuni paletti. Ma non si esclude la necessità del ricorso alle urne anche perché i dem non vogliono un Conte bis. Con una nota, il Movimento ha ribadito di essere il partito con il peso specifico e numerico più consistente in Parlamento. In altre parole, saranno i pentastellati a dare le carte. Oggi Fdl, FI e Lega chiederanno a Mattarella di andare al voto. La Stampa: alle cinque della sera, Sergio Mattarella guarderà negli occhi Luigi Di Maio, e quello che vi leggerà sarà forse più importante delle parole. Perché se il capo politico dei Cinque stelle gli sembrerà titubante o poco convinto, a quel punto il presidente della Repubblica prenderà atto che con le incertezze non si va da nessuna parte. Chiuderà l’ultimo colloquio della giornata senza neppure consentire un breve supplemento di negoziati con il Pd; chiamerà a stretto giro una personalità al momento ignota per mettere in piedi un governo super partes, e questo governo porterà l’Italia al voto forse il 27 ottobre. Il retroscena di Labate sul Corriere: II «nome» più atteso d’Italia potrebbe essere «terzo» rispetto ai due partiti. Da Francoforte, nel pomeriggio, fonti autorevoli della Bce hanno già fatto sapere che, seppure onorato dell’interessamento espresso da esponenti politici di più parti, Mario Draghi è indisponibile. Tolto l’asso di cuori, dal mazzo viene fuori una carta coperta, già oggetto del dialogo incrociato tra gli ambasciatori. «Il vero elemento di discontinuità, in grado di arrestare sul nascere la smania dei furbetti che potrebbero far nascere il governo per poi togliergli la fiducia a piacimento, sarebbe accordarsi su una donna presidente del Consiglio», riassume uno degli autorevoli «mister X» che fa la spola per tutto il giorno tra la Camera, il Senato e gli uffici in uso ai gruppi di Pd e M5S. E l’identikit assomiglia e molto a quello di Marta Cartabia, classe 1963, giudice costituzionale.

Macron: “Di Maio il vero perdente”. «La lezione che ci viene dall’Italia è una sola: quando ci si allea con l’estrema destra alla fine è l’estrema destra che vince». Emmanuel Macron commenta per la prima volta la crisi politica italiana. Durante un lungo incontro con l’Association Presse Présidentielle, il leader francese parla a braccio con i giornalisti accreditati all’Eliseo per un’ora e mezza dell’attualità internazionale in vista del G7 che la Francia organizza a Biarritz nel weekend. Rispondendo a una domanda di Repubblica, Macron si mostra compiaciuto dal fatto che Matteo Salvini potrebbe essere fuori da un futuro governo di coalizione. «Me lo auguro», dice senza mezzi termini il capo di Stato che però non rinuncia a una stoccata al leader dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio. «Faccio una semplice constatazione – argomenta Macron – chi era in testa nelle ultime elezioni politiche? Il Movimento 5 Stelle che poi ha deciso di governare con Salvini. E ora chi è il grande perdente dell’ultima sequenza? Di Maio». Il leader della Lega non è indebolito dall’attuale crisi politica? «Forse, me lo auguro», ribatte il presidente francese. «Ma pensare che allearsi con l’estrema destra sia un modo di reinventare la politica non funziona. Lo vediamo altrove, non funziona mai». Il breve flirt di Di Maio con il movimento dei gilet gialli ha lasciato tracce all’Eliseo. E ora Macron appoggia convinto l’ipotesi di un nuovo governo di coalizione per isolare la Lega.
Si segnalano poi le seguenti interviste: «Anche chi odia Matteo Renzi dovrebbe riconoscere che la sua mossa ha rovinato i piani a Salvini». Maria Elena Boschi, deputata dem ed ex ministra delle riforme, pensa che il Pd dovrebbe apprezzare l’iniziativa dell’ex premier nei confronti dei 5Stelle. Ed esclude a Repubblica di entrare in un possibile governo rossogiallo. Sul fatto di essere il bersaglio di Salvini: «Lo considero un punto di merito, sicuramente non ha gradito la mia proposta di presentare una mozione di sfiducia nei suoi confronti per lo scandalo dei rubli russi».
Il Messaggero: Nicola Zingaretti incassa l’unanimità in direzione sui suoi 5 punti: «Non si tratta di togliere alibi a nessuno. Il M5S accetta questi punti o fa saltare il banco e se ne prende la responsabilità. Ma almeno così è chiaro che da parte nostra, come Pd, non c’è alcun tipo di subalternità». Sul Conte-bis: «Zero. Conte non va bene: non si può dire che gli altri, ovvero Salvini, hanno sbagliato, e riprendere a governare come se nulla fosse cambiando solo alleato».

Politica estera

Migranti. I migranti che hanno raggiunto Lampedusa dopo 19 giorni di attesa in mare: “Non vogliamo rinunciare ai nostri sogni”. Il sogno di Aarif e degli sbarcati dalla Open Arms scappati da bombe e torture oggi nel reportage della Stampa. Repubblica: Dopo aver neutralizzato le navi umanitarie, Matteo Salvini voleva svuotare il Mediterraneo anche della Marina italiana facendo terra bruciata di ogni tipo di sistema di soccorso. L’ultimo attacco alla ministra della Difesa Elisabetta Trenta, accusata di aver «unilateralmente modificato le regole di ingaggio dell’operazione Mare Sicuro facendo segnare un chirurgico ma significativo arretramento nel contrasto all’immigrazione clandestina» si rivela un boomerang per Salvini perché, tra gli stracci che volano tra i due ministeri, Lega e M5S, viene fuori una lettera inviata a metà luglio dal capo di gabinetto del Viminale Matteo Piantedosi al suo omologo della Difesa in cui si invita a «non incrementare il pattugliamento aeromarittimo in acque internazionali nel timore che possa fungere da fattore di attrazione piuttosto che di deterrenza per le partenze dalla coste libiche».
Si segnala poi da Avvenire l’intervista a Moavero Milanesi: «Abbiamo dimostrato che i conti sono in ordine». Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi boccia l’antieuropeismo, non rinnega il lavoro svolto e pensa positivo: «L’Italia è solida, al di là di chi comanda».

Il caso americano. Rampini su Repubblica: Tempestoso ritorno dalle vacanze di Donald Trump. Mentre si appresta a partire per il G7 di Biarritz (ma auspica un G8 allargato a Putin) e cancella per ripicca la visita in Danimarca, lo preoccupano i rischi di recessione. Per ricompattare la sua base torna a proporre l’abolizione dello ius soli. E vara un nuovo giro di vite sull’immigrazione: stop ai limiti temporali sulla detenzione di famiglie migranti. Lo fa attribuendosi un merito umanitario: «Le gabbie per bambini al confine le costruì Obama nel 2014. Io riunifico le famiglie». Lo ius soli esiste dall’Ottocento. È un vecchio bersaglio di Trump che ha fatto propria la campagna contro gli anchor-baby o bébé-ancora. L’idea è che delle donne straniere vengano apposta negli Stati Uniti a partorire, perché i figli acquisiscono automaticamente la cittadinanza e in seguito possono regolarizzare i genitori con le procedure sul ricongiungimento. È dubbio che il fenomeno sia determinante nell’immigrazione clandestina perché ha tempi lunghi: il diritto a chiedere il ricongiungimento scatta al 18esimo anno del figlio. Abolire lo ius soli — stabilito in origine in favore dei neri dopo l’abolizione dello schiavismo — richiederebbe una revisione costituzionale. Invece dovrebbe entrare in vigore la nuova normativa sui migranti: detenzione a tempo indefinito per le famiglie di stranieri che attraversano la frontiera senza un visto valido